Quando nell’estate del 2019 io e mio marito Stefano (Zamagni) accompagnammo in un giro di cinque giorni i nostri nipoti ormai grandi a visitare Mosca e San Pietroburgo toccammo con mano le difficoltà di visitare la Russia. Niente si poteva dare per scontato, né che ci avessero informato che il balletto di cui avevamo acquistato i biglietti era stato spostato di teatro, né che le pensioni dove dormivamo non accettassero le carte di credito, né che i bancomat (a San Pietroburgo) non riportassero scritte se non in russo e così via.
Ogni movimento doveva essere pianificato per tempo per affrontare le inevitabili sorprese. Ma certo osservammo un paese che aveva voglia di aprirsi. Oggi sotto le bombe sganciate sull’Ucraina questa speranza è in forte declino, anche perché l’economia russa non era fiorente prima dell’attuale guerra e avrà gravi difficoltà a riprendersi dalle sanzioni.
Ma perché l’economia russa non era fiorente? Qualche passo indietro nella storia ci aiuterà a capirlo. Che la Russia faccia parte dell’Europa fino agli Urali è un fatto geografico, ma è anche una condivisione di civiltà, a partire dal cristianesimo per continuare con i molteplici legami culturali e politici che l’hanno connessa agli sviluppi del resto dell’Europa. Ma le influenze che erano arrivate in Russia dalle invasioni asiatiche ispirarono regimi assolutisti che fecero perdurare più a lungo che altrove istituzioni, come quella della servitù della gleba abolita solo nel 1861, contrarie alla mobilità del lavoro e alla libertà di iniziativa economica.
Quando verso la fine de XIX secolo anche la Russia iniziò ad industrializzarsi, gli enti che normalmente hanno guidato questo processo – imprese e banche – non erano abbastanza forti e fu lo Stato a guidare e finanziare l’industrializzazione, avendo di mira non tanto il benessere dei cittadini, ma la politica di potenza della Russia. La partecipazione alla Prima guerra mondiale decretò la fine degli czar, aprendo un periodo di instabilità, da cui uscì vincitore, come è noto, il partito di Lenin. Fu così che lo Stato, già fortemente presente prima, regnò a questo punto incontrastato per i successivi 70 anni, eliminando il mercato e continuando quell’industrializzazione ‘pesante’ dall’alto già iniziata all’epoca degli czar. È questo il motivo per cui la Russia, poi Unione Sovietica, divenne militarmente forte, ma con un’economia ‘civile’ sottosviluppata, come riconosciuto da Gorbacev quando a fine anni 1980 dovette ammettere che la situazione economica russa era insostenibile.
Dalla caduta dell’URSS sono passati solo trent’anni, che non hanno potuto colmare i vuoti precedenti, perché la dirigenza economica e politica che si instaurò nel paese non era preparata ad una competizione sui mercati internazionali e seguì la linea di minor resistenza, ossia l’utilizzo delle enormi risorse naturali del paese (che geograficamente è il più grande del mondo, inclusa la parte asiatica, ma ha solo circa 150 milioni di abitanti), in particolare gas, petrolio, carbone, alluminio, oro, diamanti, rame, grano. E armamenti. Tale dirigenza non ha mai preso in considerazione piani di sviluppo manifatturiero del paese quali quelli adottati con grande successo dalla Cina a partire da Deng XiaoPing e dunque non ha visto il suo reddito crescere in maniera sostanziale, con un grave rallentamento dopo il 2014, anche a causa delle sanzioni occidentali successive all’annessione della Crimea in tale anno. Per continuare a contare sulla scena internazionale, la dirigenza russa scivolò dunque sempre di più nell’uso della forza, per impedire ai paesi che avevano sempre fatto parte dell’area d’influenza russa, poi sovietica, di venire attratti da un Occidente che prometteva miglioramenti di reddito e maggiore libertà. La prospettiva di diminuzione nell’uso delle fonti fossili, imposta dalla crisi climatica, poi, suonava un altro campanello di allarme per la dirigenza russa e aggiungeva frustrazione a frustrazione.
Le sfide che la Russia pone a sé stessa e al mondo sono dunque ancora più serie del solo dramma dell’Ucraina. Una volta chiuso questo, non senza morti e distruzioni che disonorano l’umanità, ci sarà necessità di politiche occidentali sagge e lungimiranti per impedire un’involuzione ancora più destabilizzante di quella parte di Europa che è stata e resta la Russia.
Ferdinando Mach dice
Putin é prigionero delle menzogne con le quali ha imbottito il suo popolo . Si é intrappolato da solo e sarà sempre troppo tardi il giorno in cui verrà deposto . Trascina nell’abisso l’onore del popolo che ha difeso Leningrado e conquistato Berlino nazista . I russi lo malediranno a vita , scrivendo la parola fine dell’epopea zarista e comunista .