Malgrado l’eterogeneità della galassia dei populismi (europei) – per dettagli si veda M. Zulianello (2020) – la necessità condivisa di tutelare la sovranità popolare potrebbe indurci ad una rapida deduzione: i populisti davanti al conflitto in Ucraina dovrebbero schierarsi con il paese aggredito e con il Presidente Zelenski legittimamente eletto dal suo popolo. Una tale deduzione risulta subito troppo semplice e semplificatrice. Infatti, non è un dettaglio il fatto che, seppur con qualche eccezione, l’insieme dei populismi europei si sia trovato in un certo imbarazzo dovuto alla cosiddetta Russian connection.
Negli ultimi decenni, numerose testate giornalistiche hanno messo in evidenza almeno due filoni di interazione fra la Russia e alcuni dei rappresentanti populisti europei: (1) una dimensione di appoggio economico-finanziario e (2) una dimensione di sintonia culturale e valoriale, prevalentemente in chiave anti-americana (si veda anche anti-Israele). Non sorprendono allora le posizioni di appoggio alla politica di Mosca nel contesto post-annessione della Crimea da parte di eletti e leader populisti. Possiamo anche ricordare i voti nell’arena parlamentare europea contro la condanna delle violazioni dei diritti umani a Mosca. Simbolicamente alcuni rappresentanti dei partiti della galassia del populismo hanno partecipato come osservatori al referendum sullo stato autoproclamato della Repubblica Popolare di Donetsk/Repubblica Popolare di Luhansk (C. Mudde (2016), On Extremism and Democracy in Europe, Routledge, p 24). Da aggiungere anche l’elogio pubblico della leadership di Vladimir Putin, apprezzato per uno stile politico che mette assieme il culto dell’ordine e della disciplina con l’esaltazione della mascolinità e la difesa dei valori tradizionali. A questo si aggiunge una convergenza discorsiva e programmatica di più ampio respiro: lo squilibrio fra i principi e i valori liberal-costituzionali delle democrazie contemporanee e la necessità di tutelare i diritti, i benefici materiali e lo stile di vita della maggioranza. Il Primo ministro ungherese Viktor Orbán ne propone una sintesi sotto la formula della democrazia (cristiana) illiberale in base alla quale ogni Paese europeo ha il diritto di difendere la propria cultura cristiana (e rifiutare il multiculturalismo), il modello familiare tradizionale, i settori economici strategici, i propri confini e, infine, ha il diritto di tutelare i suoi interessi all’interno dell’Unione europea bloccando decisioni che potrebbero essere contrarie. Tale sintesi si basa sull’apprezzamento esplicito di un modello di sviluppo e successo internazionale che diminuisce l’importanza del rispetto dei principi e valori democratici, citando esplicitamente a tale riguardo la Russia.
Se queste convergenze e affinità sono state spesso riportate nel dibattito pubblico e scientifico in riferimento alle varianti del populismo di destra, è importante specificare che la sincronizzazione con la politica di Mosca emerge anche nel campo di altre varianti del populismo. Il caso del Movimento 5 Stelle non è affatto un’eccezione se si pensa che in piena crisi pandemica Jean-Luc Mélenchon criticava il governo francese per non aver utilizzato i vaccini Sputnik V e appoggiava l’idea di un’uscita dalla NATO affermando che «i Russi sono più affidabili». Ancora, posizioni filo-russe sono state difese pubblicamente da Syriza nel contesto post-Crimea, puntando il dito contro «i neo-nazisti ucraini».
Bisogna però tornare all’idea di inizio: nella casa del populismo vi sono molte stanze. Se in Francia, Germania, Italia, Ungheria o Austria le manifestazioni del populismo condividono una consonanza discorsiva e valoriale con la Russia di Putin, altre varianti del populismo sono state apertamente anti-russe già prima dell’invasione dell’Ucraina. È di sicuro il caso del partito Diritto e Giustizia in Polonia, noto per aver appoggiato i riformisti pro-occidentali ucraini e, più in generale, per essere un oppositore a livello europeo per una collaborazione rafforzata con la Russia. Dietro la posizione del partito di J. Kaczyński si nasconde un forte anti-comunismo e la valorizzazione di simboli a connotazione anti-russa (si veda il massacro di Katyn, 1940). Posizioni simili le ritroviamo nel caso del Partito dei Finlandesi i cui rappresentanti hanno in varie occasioni stigmatizzato il comportamento sleale dei partner (populisti di destra) europei che appoggiando la Russia non rispettano di fatto gli interessi della Finlandia dalla sua delicata posizione geografica. Una posizione simile è adottata anche dal Partito Popolare Conservatore Estone.
Il 24 febbraio 2022, con qualche eccezione, le sedi decisionali dei partiti politici di cui sopra sono state assalite da giornalisti che chiedevano una presa di posizione sul conflitto. Nella maggior parte dei casi le dichiarazioni dei diretti interessati si limitano ad una condanna generale dell’azione militare, senza alcun accenno al ruolo del Presidente Putin. Dopo le prime esitazioni, convergono tutti nell’identificare la scintilla del conflitto nella politica di allargamento della NATO e, in particolar, nel mancato rifiuto esplicito della candidatura dell’Ucraina alla NATO. Pochi sono gli esponenti che rimangono coerenti con le posizioni precedenti, e fra questi c’è l’olandese Thierry Baudet che ha affermato che chiunque non apprezzi Putin vive nel mondo di Disney, chiosando in seguito che l’Ucraina non è uno stato ma piuttosto un conglomerato di almeno due popoli diversi, uno russo e uno antirusso.
Il paesaggio politico post-24 febbraio 2022 sembrava, così, piuttosto ostile alle personalità politiche e culturali vicine alla Russian connection. Il 10 marzo da Skopje, Francis Fukuyama scriveva un commento sulla guerra in Ucraina. Al centro della sua analisi si ritrova come esito indiretto della guerra ciò che chiama una chiarezza morale, ovvero la messa in luce dei vantaggi degli stati liberal-democratici. Fukuyama delinea anche uno scenario che prevede una perdita netta di prestigio di tutti coloro che, in contesti democratici, avevano inneggiato a Putin e ai valori dell’euroasianismo (Francis Fukuyama, Preparing for Defeat, 10 marzo 2022). Queste interpretazioni sembrano coerenti con il diffuso sostegno a favore dell’Ucraina e con le politiche di sostegno messe in campo a livello nazionale ed europeo. Parlare tuttavia di un vicolo cieco o, addirittura, di una scomparsa rapida della galassia populista per via della guerra in Ucraina si dimostra essere un calcolo troppo sbrigativo. Lo vediamo già il 3 aprile 2022 con la chiara vittoria alle urne del Fidesz di Viktor Orbán in Ungheria e del Presidente Aleksandar Vučić in Serbia. La Serbia, infatti, non aderisce alle sanzioni alla Russia e l’Ungheria rimane su una posizione cauta nelle condanne europee dell’aggressione russa. In entrambi i casi non sono gli aspetti valoriali che sono esibiti quanto aspetti pragmatici legati alla dipendenza energetica da Mosca. Una chiave di lettura simile risulta utile anche per l’exploit di Marine Le Pen alle presidenziali di aprile 2022 e del Raduno nazionale nelle elezioni legislative di giugno 2022. Stando alle analisi del CEVIPOF, la rilevanza della preoccupazione per la guerra fra l’elettorato francese diminuisce progressivamente nel mese di aprile e le preoccupazioni per le conseguenze economiche della guerra stessa diventano centrali nel periodo maggio-giugno.
Le frequentazioni pro-russe interessano decisamente meno rispetto a febbraio 2022 e i programmi incentrati su questioni sociali, servizi pubblici e redistribuzione sembrano aver mobilitato a favore dei populismi di destra e sinistra. A distanza di quasi cinque mesi dall’inizio della guerra la chiarezza morale di cui parlava Fukuyama sembra essere svanita davanti alle preoccupazioni per questioni economiche. La guerra in Ucraina non ha affatto ucciso il populismo, non lo ha nemmeno indebolito. I populismi nella loro complessità sono segno di un malessere che difficilmente potrebbe essere oscurato da un conflitto sempre più lontano dagli occhi e dagli interessi dei cittadini.
Gianfranco Pasquino dice
brava Sorina Soare. Aggiungerei e ripeterei senza fine e senza nausea che i populisti hanno una (in)certa concezione della democrazia: prostrazione e servilismo per il loro amato leader. Il resto è risibile manipolazione nella quale guazzano infangando quel che sta loro intorno