L’emendamento Magi approvato nella legge di conversione di un decreto con la conseguente crescita di firme nel referendum cosiddetto eutanasia (già comunque avviato al successo) e ancor più in quello sulla cannabis hanno riaperto un dibattito su questo istituto che non va ristretto solo a questa giusta modernizzazione. Alcuni punti di tensione già c’erano prima di questa innovazione, ma ora si accrescono in modo deciso.
Niente da dire sui quesiti in corso, che ovviamente seguiranno le regole vigenti, ma dobbiamo porci sin d’ora, pro futuro, la soluzione dei problemi reali, dei punti di tensione obiettivi che esistono. C’è una responsabilità della politica che deve consistere nel ragionare in modo meditato sul lungo periodo, non in modo strumentale su quello che può giovare alla mia parte o alla mia opinione nelle successive ore o settimane. Ne propongo quindi tre su cui potremmo concentrare il dibattito dei lettori.
Il primo punto di tensione è quello del possibile rischio di inflazione di iniziative. Qualcuno ricorderà l’ipotesi formulata da Marco Pannella (pur molto cauto in altri contesti, anche rispetto all’istituzione di un referendum propositivo) nel 1995 di proporre ben 44 quesiti per realizzare un intero programma di governo per via referendaria. Ipotesi presto venuta meno, ma comunque prospettata. Ora, se è pur vero che la legge 352 del 1970 aveva inserito vari ostacoli burocratici interpretando in modo restrittivo l’istituto referendario rispetto alle potenzialità della Costituzione, ostacoli una parte dei quali cade ora con lo Spid, la soglia dei cinquecentomila era stata fissata nel 1947 quando gli elettori erano solo 29 milioni in luogo dei 50 attuali. Un innalzamento della soglia a ottocentomila sta quindi nelle cose.
Il secondo è quello del ruolo della Corte costituzionale che si articola in due aspetti. Anzitutto c’è un problema degli effetti del giudizio di inammissibilità in presenza di raccolte con molte firme, anche oltre il milione, ora molto più probabili. Ovviamente la Corte deve giudicare secondo diritto, il numero delle firme raccolte non rileva in questa chiave, tuttavia l’elemento di frustrazione che deriverebbe dal possibile annullamento di tantissime firme dovrebbe consigliare un rimedio: molto meglio un controllo dopo centomila firme per poi riprendere la raccolta in caso di ammissibilità che non azzerarle tutte, come abbiamo già proposto in Parlamento insieme al senatore Dario Parrini. Tuttavia c’è anche un problema ancor più rilevante: quello di dove debba arrestarsi il controllo. Fin qui si è escluso che esso debba valutare preventivamente anche la costituzionalità della normativa che risulterebbe dall’eventuale vittoria del Sì. Il controllo ora può essere solo successivo. Capisco i problemi di introdurre un’innovazione di questo rilievo, possiamo però permetterci, di fronte alla possibile moltiplicazione dei quesiti, di rendere molto più probabile un conflitto tra volontà popolare e limiti della Costituzione? Molto meglio quindi giungere anche ad un controllo preventivo di questo tipo piuttosto che demolire successivamente una normativa derivante da un consistente voto popolare.
Il terzo è quello del quorum per la validità della consultazione. Quello attuale, la metà più uno degli aventi diritto, è troppo elevato, è pensato per un periodo in cui era naturale che la partecipazione al voto superasse il novanta per cento, mentre oggi alle politiche ci si assesta poco sopra il settanta. Meglio quindi adottare una soluzione analoga a quella prevista dallo Statuto toscano per i referendum regionali: porre il quorum alla metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche, tenendo conto dell’astensionismo strutturale nel periodo attuale o, comunque, una qualche altra soluzione ragionevole di ridimensionamento del quorum.
Accanto a questi tre aspetti chiave da risolvere si possono immaginare anche ulteriori perfezionamenti del sistema: ad esempio, al momento della sottoscrizione via Spid, l’obbligo di leggere un sunto chiaro e oggettivo del quesito concordato in precedenza tra i promotori e un’autorità imparziale.
Vediamo comunque quali riflessioni, anche ulteriori, ci possono offrire i lettori di «Paradoxa».
Marta Regalia dice
Caro Professore, ricordo con piacere il suo corso a Forlì (e la mia (non) preparazione sulla riforma titolo V! Ahi ahi ahi…).
Lo Spid referendum rende ancora più evidente la tensione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Se si rivelasse uno strumento per riavvicinare i cittadini alla politica, andrebbe incoraggiato, favorito, facilitato. L’innalzamento a 800mila firme che propone, così come il preventivo giudizio di ammissibilità, paiono condivisibili. Sull’abbassamento del quorum sento invece molte voci favorevoli alla sua eliminazione, conseguenza di uno stato che garantisce a tutti istruzione gratuita fino ai 16 anni, e quindi la possibilità/capacità di comprendere l’importanza del voto, oltre che il quesito. Credo che, anche alla luce delle elezioni amministrative di ieri, il nemico da combattere sia l’astensionismo: potranno vigorose campagne referendarie riavvicinare i cittadini alla res publica? Se sì, allora si mettano in campo tutti gli strumenti per agevolarle. Non credo che dovremmo temere in alcun modo un utilizzo distorto dello strumento referendario.