È ormai convinzione comune che non esista più la ‘vecchia’ comunicazione politica, o che per lo meno sia in via di estinzione. Di chi è la colpa? Certo, della TV, almeno di certa TV. È da un po’ che lo diciamo. Anche se poi abbiamo visto che in televisione la politica ha trovato una nuova vita rispetto ai vecchi comizi in piazza. Ma oggi a mettere la lapide R.I.P. sulla tomba della comunicazione politica di ieri è la Rete che sta scalzando i vecchi meccanismi di potere e di controllo sulle opinioni pubbliche. La Rete ci riserva ogni giorno scenari inediti che anche gli studiosi faticano non solo a prevedere, ma a capirne gli sviluppi e le conseguenze: come d’ora in poi funzionerà la politica, che forma prenderà la società, cosa vorrà dire informazione, come si apprenderanno le conoscenze?
Intendiamoci, la politica non muore, non può morire, fa parte della vicenda umana, e finché il mondo non implode ci sarà sempre abbastanza materia per litigare, scontrarsi, far le guerre, riconciliarsi, costruire insieme un partito o insieme distruggerlo. Ogni epoca storica ha sviluppato, con la complicità delle tecnologie disponibili, i suoi propri formati di comunicazione. Quando non c’era la democrazia re, imperatori, dittatori, autocrati sapevano ottenere e mantenere il consenso con la propaganda e il manganello, due forme di comunicazione che sono state a lungo molto efficaci. In democrazia il manganello non si può usare (anche se alcuni a ondate lo auspicano) e la propaganda deve essere proprio ultrasofisticata perché esistono anche gli strumenti per smascherarla. Pensavamo ingenuamente che Internet sarebbe stato il toccasana della democrazia: niente più controllo centrale, niente più censura, disintermediazione totale, accesso libero, ecc. Invece ci ritroviamo con un presidente che insulta il mondo intero e i suoi avversari a colpi di tweet, disarmando un imponente fronte che usa la ‘vecchia’ carta stampata e la ‘vecchia’ televisione per plasmare un’opinione pubblica ‘contro’. Sappiamo chi è stato il vincitore in questo duello che, per decenni, ha visto i media mainstream condurre il gioco. I social hanno dunque spuntato le armi anche al Quarto Potere? In parte questo sta avvenendo, quando osserviamo come le testate giornalistiche e televisive si fanno sottrarre il potere di agenda setting da Facebook e Twitter, che vengono oggi usati dai leader con sempre maggiore destrezza e dagli utenti che amplificano la ‘voce’ dei politici condividendola e rendendola a volte virale. Oggi attraverso strategie comunicative costruite ad hoc Salvini tiene al guinzaglio, per fortuna in molti casi ancora soltanto in modo figurato, tutti i giornali italiani e, tramite i suoi 4 milioni di follower su Twitter e Facebook, ha di fatto sequestrato la ‘prima pagina’ del Paese.
Al di là della bontà o meno del credo salviniano, forse è questo il modello vincente della comunicazione politica post-postmoderna. Un’idea, un leader, un partito, una battaglia politica, hanno probabilità di successo solo nella capacità di ‘mobilitazione delle coscienze’ che si può ottenere con una strategia comunicativa a 360 gradi. Non bastano gli appelli volontaristici di questo o quell’opinion leader (o ‘influencer’), non bastano simpatici flash mob, non servono a nulla le ‘feste dell’Unità’. Oggi la comunicazione politica o è strategica o non è. Sono finiti i tempi in cui la Repubblica di Scalfari riusciva ad accompagnare l’eurocomunismo di Berlinguer e del suo PCI, o a far digerire la DC di De Mita a chi non voleva morire democristiano. A condurre il gioco non sono più i giornali, e i politici si devono costruire da soli la potenza di fuoco pianificando un uso spregiudicato dei nuovi media online, e sfruttando la debolezza dei media tradizionali. Non sono ammessi né timidezze né rincrescimenti, pena il fallimento di qualsiasi comunicazione politica. Lo sanno i Trump, lo sanno i Salvini, lo sanno (?) i Di Maio. Il trucco, cioè l’intelligenza, è il controllo dell’agenda. Sui media che non sono i tuoi e che possono non essere dalla tua parte, e sui social che invece sono tuoi e su cui puoi essere il dominus. Il PD, se c’è, o vuol esserci ancora, batta un colpo!
Gianpietro Mazzoleni dice
Ne hanno persa parecchia di capacità. Anche quelli ‘seri’, che pretendono di essere ‘watchdog’, hanno troppo inseguito le logiche commerciali della spettacolarizzazione e personalizzazione della politica. Oggi, in presenza di un flusso enorme – e alternativo – di informazione sui social, difficilmente governabile, il giornalismo dovrebbe ‘rifondarsi’ e tornare alla visione (normativa, d’accordo) di una funzione civica e politica di controllo del potere. Ma la vedo difficile.
Sergio dice
Mi chiedo se il prof. Mazzoleni ritenga che i giornali abbiano del tutto perso la capacità di influire sull’agenda, oppure se ritiene che possano tornare a incidere se il giornalismo cambiasse la propria strategia professionale.