La cosa che più mi ha colpito leggendo la nota che Andrea Bixio ha scritto per ParadoxaForum è senz’altro il suo disinteresse per il ‘politicamente corretto’. Un disinteresse che, per contro, si è tradotto in una lucida analisi di ciò che ha costituito la dialettica tra fatti e misfatti (da cui un orizzonte di «dis-fatti») nello scenario politico e culturale dall’Italia dal dopoguerra ad oggi. Nell’ambito di tale dialettica, tra le righe della riflessione di Bixio, si inscrivono questioni centrali per il nostro tempo. Termini come ‘democrazia’, ‘libertà’, ‘conflittualità’, ‘universalismo’, ‘umanesimo’, in un’epoca che vede radicalizzarsi lo scontro tra forze democratiche e quelle populiste, declinano tematiche multidisciplinari fortemente votate all’esercizio di una praxis che tenga conto, insieme, delle origini della cultura europea e della capacità di dette origini di promuovere orientamenti emancipativi futuribili.
Riepilogando, le tesi di Bixio svolgono il nesso oppositivo tra integralismi politici e vita democratica (ricordando in merito l’insegnamento di Norberto Bobbio), nel tentativo di mostrare come i problemi dell’Italia di oggi siano ancora strettamente connessi ai nodi irrisolti di quella contrapposizione. Di qui l’idea che ai molti fatti nuovi della nostra vita politica e culturale si accompagnino rinnovate dis-fatte, nella forma regressiva di un diffuso impoverimento culturale e sociale. La prima grande dis-fatta trova le proprie radici nei falliti processi di pacificazione politica nella società italiana post-bellica. La seconda, le trova, invece, nella corporativizzazione della stessa società italiana. Nel primo caso, si è confuso il nazionalismo con la questione della nazionalità, avviando una deriva che ha spinto l’Italia verso implicite sudditanze neocolonialiste. Nel secondo, si è giunti ad una disintegrazione del tessuto sociale, senza un momento di sintesi che tenesse allineate le parti e i particolarismi in gioco. L’exitus delle due dis-fatte ha trovato peraltro un punto di convergenza nell’esaltazione degli interessi settoriali, mettendo al bando, anche in nome del relativismo, ogni tentativo di ricomposizione sovra-determinata rispetto alle parti medesime.
Sullo sfondo, a mio avviso, in questo giro di concetti, svetta il tema della razionalità. Già perché per riprendersi dalle disfatte di cui sopra serve proprio una dose massiccia di pensiero razionale, seppur criticamente ripercorso. Del resto, non vi è stata e non vi è nessuna prassi politica che non involva in sé un’idea di razionalità, un modo di intendere la ragione e il suo esercizio. Anzi, la stessa storia della civiltà occidentale è inscindibilmente connessa al concetto di ragione. E un filo ideale lega tale concetto all’Atene di Pericle, alla profondità del Diritto romano, alla contesa tra riformati e contro-riformati, per finire alle sue elaborazioni dell’Era Moderna, dagli enciclopedisti a J. Habermas, forse l’ultimo esponente fortemente arroccato su posizioni universalistiche in etica. Così, seguendo Bixio, un approccio ragionato alle questioni qui richiamate non può che avere una curvatura di tipo weberiano, dovendo tutti noi essere ricondotti verso un’etica della responsabilità, al cui interno il politeismo dei valori – la valorizzazione delle molteplici interpretazioni soggettive degli eventi – sia commisurato sempre a quell’universalismo dei diritti – e all’intrascendibilità del diritto stesso – per il quale, oltre le dis-fatte del nostro tempo, si potrà sì consentire ai Sikh di tenere il turbante e alle ragazze islamiche di portare il velo, ma non si potranno permettere, neanche in nome della più radicale laicità multiculturale, l’esercizio della violenza nei confronti dei minori o le mutilazioni genitali femminili. E ciò proprio tenendo ferma quella coscienza del mondo che è alla base della cultura europea e che costituisce la base critica per delineare, non soltanto nel nostro paese, nuovi scenari politici e sociali.
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