Il mondo è sottosopra perché Trump ha deciso che la bilancia commerciale americana andava riequilibrata e lo sta facendo con una cura da cavallo – dazi e accordi commerciali volti ad aumentare le esportazioni americane e gli investimenti esteri in attività produttive sul suolo americano – sperando di riuscirci al più presto per non perdere credibilità. I commentatori sono tutti unanimi nel dire che i risultati saranno non solo molto inferiori alle aspettative, ma anche assai meno rapidi, ma ciò non dissuade Trump, convinto di avere ragione. Ciò che invece non viene mai sottolineato è che il problema che Trump sta affrontando è reale, presente da decenni e che nessuno dei suoi predecessori ha avuto il coraggio di farne oggetto di attenzione, continuando a ritenere che l’eccezionalità del dollaro come moneta di riserva internazionale bastasse a tenerlo sotto controllo. È un problema legato a doppio filo anche al deficit del bilancio dello stato americano, che pompa potere d’acquisto sul mercato statunitense.
Ora, John Maynard Keynes si era espresso su questi squilibri durante le discussioni di Bretton Woods dell’autunno 1944, che diedero origine al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e per la terza volta non venne ascoltato. Ricorderò che la prima volta in cui Keynes non venne ascoltato fu con il suo libro Le conseguenze economiche della pace del 1919, quando raccomandò di non opprimere la Germania, che invece venne sfiancata dal pagamento delle Riparazioni, fino a provocare l’appoggio popolare alla salita al potere di Hitler. La seconda volta fu quando con articoli e poi con il suo famoso libro Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936) dichiarò obsoleta la teoria vigente all’epoca che non dava alcun ruolo alla politica economica nei contesti di crisi, impedendo una ripresa come accadde nella crisi del ’29. Il terzo contesto in cui Keynes non venne ascoltato fu proprio quello di Bretton Woods, in cui lui aveva proposto l’istituzione di una banca mondiale, da lui provvisoriamente denominata Clearing Union, che avesse come obiettivo la cura degli squilibri delle bilance dei pagamenti, imponendo con appropriati strumenti un rientro dei paesi da deficit e avanzi che si procrastinavano nel tempo. Ciò avrebbe garantito una migliore distribuzione della produzione a livello mondiale e una maggiore stabilità dei cambi, eliminando alcune delle distorsioni dell’economia mondiale.
Ora è ben noto che quel FMI che andò in vigore nel 1947 è un’istituzione molto diversa dalla Clearing Union Keynesiana, essendo un fondo formato da conferimenti da parte dei paesi che vi partecipano, volto a sostenere temporanee difficoltà finanziarie dei membri, ma per nulla coinvolto in un riequilibrio del sistema mondiale dei pagamenti. La ragione fu che gli Stati Uniti intendevano dominare la nuova istituzione e ciò non sarebbe stato possibile con la Clearing Union di Keynes che avrebbe avuto una governance «neutrale», in quanto avrebbe applicato il riequilibrio dovunque si fosse reso necessario, dividendo l’onere del riequilibrio stesso tra paesi deficitari e paesi in avanzo. Gli effetti negativi di quella decisione non si videro tanto nei primi decenni dopo l’entrata in vigore del FMI, perché venne messo in funzione un sistema di cambi fissi garantito dal gold exchange standard che impediva la crescita di squilibri troppo gravi. Ma quando questo sistema venne abbandonato nel 1973, tali squilibri iniziarono ad allargarsi, permettendo ai paesi che per ragioni varie non volevano puntare troppo sul loro mercato interno di accumulare enormi avanzi delle loro bilance dei pagamenti senza che nulla venisse fatto per correggerli, mentre gli Stati Uniti lasciarono correre il loro disavanzo per consumare di più, produrre più armi, finanziare istituzioni internazionali, condurre guerre varie, di nuovo senza preoccuparsi che stavano preparando una situazione che sarebbe diventata insostenibile. In particolare, l’ascesa della Cina è stato il singolo evento che ha fatto esplodere il problema, mentre anche l’Europa, con la Germania in testa, ha fatto leva per il proprio sviluppo più sulle esportazioni che sul mercato interno. Ciò è avvenuto perché le enormi quantità di esportazioni rovesciate dalla Cina sul mondo intero, e in particolare negli Stati Uniti, hanno portato lo squilibrio a un livello mai sperimentato in passato, mentre anche la Germania si è attardata su questo modello «mercantilista» fino ad anni recenti.
In tutti i casi in cui Keynes non è stato ascoltato si sono avuti gravi ripercussioni negative – una seconda guerra mondiale e gravi crisi internazionali –, ma non sono in molti a ricordare quest’ultimo caso degli squilibri commerciali, che inevitabilmente produrrà sconquassi. Solo prendendo atto che il problema è reale si può cercare di limitarne i danni. Potrebbe il FMI fare qualcosa? Certamente sì, avvisando Trump che i modi che sta utilizzando per produrre il riequilibrio non sono adeguati e proponendone altri, ma non si sa quale ascolto otterrebbe da un Trump, che minaccia di tornare all’isolazionismo ottocentesco, uscendo da tutte le istituzioni internazionali (magari anche dal FMI). I paesi che intrattengono stretti rapporti con gli Stati Uniti, e in particolare l’UE, dovrebbero fare proposte che vanno nella direzione di un riequilibrio, senza utilizzare dazi o ritorsioni, controproducenti. Il vero problema è che occorrerebbe proporre un riequilibrio complessivo del commercio, come degli investimenti, come delle migrazioni in un mondo che non può più essere disconnesso, ma che deve ripensare le istituzioni internazionali che fin qui lo ha governato, perché esse non possono più essere basate sull’ «eccezionalismo» americano.

Giovanni Biondi dice
Complimenti. Un’esposizione che fa riflettere.
carmelo vigna dice
Grazie, Vera! Un’ottima messa a punto…