Com’è noto l’articolo 96 della Costituzione e la legge costituzionale 1/1989 prevedono che nel caso dei cosiddetti reati ministeriali la Camera di appartenenza possa evitare il processo a un ministro votando a scrutinio palese a maggioranza assoluta dei componenti «ove reputi…che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo».La Camera in questione non deve quindi decidere se ritiene innocente o colpevole il ministro in questione, ma se ritiene che egli abbia comunque agito sulla base di un così importante ragion di Stato che lo esonererebbe da responsabilità persino se avesse commesso dei reati.
I parlamentari quindi non devono sapere se il Ministro Salvini abbia commesso reati e non devono neanche deciderlo.
Di fronte a questi dati oggettivi, a questo parametro, non è difficile esaminare coerenze e incoerenze dei vari soggetti.
Il ruolo dei parlamentari che si oppongono alle politiche di Salvini è relativamente semplice: più volte i parlamentari di centrosinistra hanno denunciato che nei comportamenti di Salvini sulle politiche migratorie sono evidenti logiche elettoraliste e propagandistiche che vanno a ledere in modo inaccettabile la dignità di persone umane. È quindi logicamente impossibile quanto ha proposto tra gli altri Panebianco: chiedere ad essi di riconoscere nel comportamento di Salvini addirittura una ragion di Stato; non è questione di equilibrio di rapporti tra organi dello Stato a cui in sostanza vorrebbe ricondurci Panebianco, è questione di coerenza rispetto ai giudizi espressi in precedenza.
Piuttosto prevedibile, anche se non condivisibile, è anche l’atteggiamento di Forza Italia che in Parlamento non fa un’opposizione intransigente all’intero esecutivo, ma solo al Movimento 5 Stelle, nella speranza di ricomporre il centrodestra.
Ad essersi ritrovato in una strada senza uscita razionale è stato invece il Movimento 5 Stelle. Esso è partito da una visione del tutto distorta sui rapporti tra magistratura e politica: ritenendo la prima sempre e comunque infallibile, aveva da sempre sostenuto che tutte le forme di immunità dovessero cedere comunque rispetto a richieste della medesima. Ora invece, trovatosi di fronte a una strettoia, ha provato ex post a distinguere le autorizzazioni di cui all’articolo 68 da quelle del 96. È vero che le due tipologie sono tra loro diverse, ma tuttavia l’argomento per il quale il M5S si era sempre dichiarato favorevole alle richieste, la sostanziale infallibilità della magistratura, è stato di fatto smentito dal nuovo approccio senza volerlo ammettere. Del tutto surreale anche il metodo inventato per provare ad uscire da questo imbarazzo: il ricorso, nel frattempo divenuto rarissimo, alla piattaforma informatica Rousseau. Ora, se talvolta l’enfasi sul divieto di mandato imperativo di cui all’articolo 67 della Costituzione può apparire inflazionato, la base delle forze politiche può infatti pronunciarsi su alcune scelte di fondo di vita politico-parlamentare (meglio comunque con procedure più garantiste di quella affidata alla Casaleggio e associati), in realtà in questo caso il richiamo critico non è invece per niente improprio. Si è chiesto agli iscritti di sostituirsi ad una delle decisioni più delicate della vita parlamentare, dove il grado di conoscenza diretta delle carte da parte degli eletti, anche tramite l’apposito dibattito in Giunta e in Aula, è incommensurabile rispetto a quella di estranei al Parlamento. E questo a prescindere da tutte le anomalie da tutte le anomalie di un quesito, chiaramente orientato a confondere e ad orientare la decisione in senso favorevole a Salvini, cercando di dissimulare il cambiamento di linea e facendo di fatto capire che occorreva non mettere in pericolo a nessun costo la vita del Governo. Una sorta di ragion di Stato interna alla maggioranza. In altri termini il M5S è riuscito a passare da una posizione sbagliata (l’infallibilità assoluta della magistratura che avrebbe comportato l’accettazione indiscriminata di qualsiasi richiesta) ad una altrettanto sbagliata (salvare ad ogni costo il Governo).
Che cosa concludere quindi alla viglia del voto del Senato? Che Salvini scamperà al processo, ma che, tra tutti gli attori, uno ne uscirà fortemente punito perché ha seguito una traiettoria indifendibile da qualsiasi punto di vista, il Movimento 5 Stelle.
Carlo Fusaro dice
D’accordo con Ceccanti non con Cofrancesco né alas Mancina. Come si fa ad accettare il principio che non si procede contro un eventuale reato se il fine è politico? È vero: l’ha fatto per ragioni politiche. E allora? Se queste ragioni coincidono con un preminente interesse nazionale (valutazione politica legittima) nuente autorizzazione: ma se io denuncio un giorno sì e l’altro pure che le ragioni sono di mera propaganda elettoralistica, che non c’è emergenza (perché superata grazie a Minniti) e che perciò non c’è alcun interesse superiore anzi è il contrario, per quale ragione al mondo dovrei dire no all’autorizzazione?
Francesco dice
La giunta ha ritenuto che la condotta di Salvini sia stata informata alla tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante. La valutazione era quindi squisitamente politica e preliminare alla rilevanza penale del fatto di esclusiva competenza della magistratura. Bene ha fatto quindi il PD a votare per l’ autorizzazione ritenendo quel fatto non politico ( giuridicamente insindacabile) ma amministrativo e come tale suscettibile di essere penalmente apprezzato dall’ organo giurisdizionale. Detto ciò credo che la ” partita”, almeno a livello internazionale, non sia affatto finita. Il rischio concreto è che la Italia finisca davanti alla CEDU dove si ” giocherà” con regole diverse.
Bernardo Bonetti dice
sono pienamente d’accordo con Antonio Caratuozzolo
Bernardo Bonetti
Bernardo Bonetti dice
Condivido appieno l’analisi di Stefano Ceccanti, ma capisco anche la perplessità di Dino Cofrancesco .
Però ritengo che in questo caso il PD abbia agito bene perché il problema non era portare Salvini ad un processo, ma salvaguardare il principio che i ministri non possono violare la legge senza evidenti palesi e gravi motivi di tutela dell’ intersse pubblico.
La difesa dei principi è sempre lodevole e mi auguro che molti di coloro che avevano votato 5 stelle per questo motivi tornino al PD.
Bernardo Bonetti
Dino Cofrancesco dice
Sull’incoerenza del M5S concordo con l’amico Ceccanti ma per quanto la difesa dell’operato del PD il mio dissenso è totale. Come ha scritto uno dei pochi giuristi liberali che abbiamo in Italia, Carlo Nordio:«. Sarebbe stato un bel gesto se la sinistra avesse detto: ‘Noi ripudiamo indignati la scelta governativa, e protestiamo in nome delle ragioni umane e divine. Ma poiché è stata una scelta politica la combattiamo con argomentazioni politiche, e non pseudogiuridiche’. E invece no. La sinistra è caduta nella solita tentazione di valersi dell’ascia giudiziaria per invocare un processo che, chissà mai, avrebbe dato filo da torcere al roccioso avversario». Meglio non si poteva dire.
Claudia Mancina dice
Sono d’accordo con Cofrancesco
antonio cataruozzolo dice
Ida Dominijanni: “…l’ennesimo strappo ai princìpi dello stato di diritto costituzionale
È la regola numero uno dei populismi contemporanei: scagliare il principio di legittimità contro il principio di legalità, laddove le costituzioni novecentesche si basano precisamente sul loro equilibrio; riaffermare una concezione assoluta della sovranità, laddove le costituzioni nate dopo l’esperienza del nazismo e del fascismo la limitano ancorandola all’osservanza della legge: chi vince le elezioni governa, ma entro la cornice della legge e sotto il controllo della legalità esercitato dalla magistratura.
La prima posta in gioco nel caso Salvini ha dunque a che fare con la concezione della democrazia, della sovranità e della divisione dei poteri. Se, come tutto lascia prevedere, il no all’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro finirà con il prevalere, la torsione populista e sovranista della nostra democrazia ne uscirà rafforzata, e con essa l’idea che il potere esecutivo è gerarchicamente superiore a quello giudiziario, e che chi vince le elezioni è padrone assoluto del campo. È solo ovvio sottolineare che l’espediente proposto dal presidente del consiglio e dai cinquestelle, ovvero la responsabilità collegiale di tutto il governo nella gestione della vicenda Diciotti, non sposta di una virgola il problema. Meno ovvio è aggiungere che l’argomento del primato della politica, avanzato anche in aree intellettuali di sinistra per sostenere la tesi della non procedibilità di Salvini, è del tutto pretestuoso: il primato e l’autonomia della politica, principio sacrosanto, ha molti campi in cui esprimersi, primo fra tutti quello del rapporto con l’economia in cui invece non viene mai fatto valere, ma non è un primato che possa esercitarsi contro la legge.
La seconda posta non è meno consistente. L’aula del senato potrà infatti esprimersi contro l’autorizzazione a procedere solo se valuterà che Salvini “abbia agito per la tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante, ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio di una funzione di governo”. Se cioè accetterà la versione dei fatti fornita dallo stesso Salvini, per cui il sequestro dei 177 migranti era necessario per la difesa dei confini nazionali e per la trattativa con l’Unione europea. Senonché da nessuna parte nella costituzione è previsto, né sottinteso, che esista un interesse dello stato o un preminente interesse pubblico che comporti o consenta la soppressione dell’habeas corpus e della libertà personale, o la messa a rischio delle vite, o l’uso delle persone come ostaggi di una trattativa. Di nuovo, si tratterebbe del tradimento di un caposaldo delle costituzioni postfasciste, scritte apposta per tutelare la vita umana dagli eventuali soprusi di uno stato totalitario.
Quello che è in gioco nel caso Salvini è dunque qualcosa di ben più consistente della durata del governo, cui i cinquestelle sembrano essere pronti a sacrificare la loro nota vocazione giustizialista e forcaiola. La prevedibile vittoria del no sarà l’ennesimo strappo, quanto mai lacerante, ai princìpi dello stato di diritto costituzionale. Unito ad altri due strappi che sono già a uno stadio avanzato di preparazione: la legge sulle autonomie regionali, che manda all’aria il presupposto egualitario dell’unità nazionale e di ciò che resta dello stato sociale, e la proposta di legge dell’M5s sul referendum propositivo, che smantella di fatto la centralità del parlamento nel potere legislativo. In barba alla retorica sovranista, avanza a grandi passi il disfacimento dell’architettura costituzionale e istituzionale del paese.