Questa pandemia scatenerà un pandemonio. Il mondo intero e l’Italia non saranno più come prima. Quando la natura mostra il suo volto matrigno, velenoso (il virus, appunto) produce danni non soltanto alla salute, ma a tutto quel grandioso artificio che chiamiamo mondo umano, costruito proprio, non dimentichiamolo, affinché potessimo difenderci dalla natura (gli animali feroci, la fame, la sete, il freddo), quindi sopravvivere, e nel contempo poter vivere bene o almeno in modo decente.
Natura e mondo, natura e cultura, vita e vita buona sono da sempre i protagonisti di una contesa spesso cruenta, mai del tutto risolta, le cui figure paradigmatiche ed estreme, fatti salvi gli innumerevoli tentativi di conciliazione, sono la natura potentissima del passato, capace di tenere gli uomini alla sua totale mercé, e quella dei tempi moderni sempre più asservita, deturpata, bisognosa di essere protetta dall’umano potere.
Per certi versi il corona virus ci ricorda molto banalmente (e dolorosamente) la persistenza della natura, ci ricorda che l’organico non è stato affatto soppiantato totalmente dall’inorganico. E lo fa in modo subdolo, insinuandosi invisibile nelle nostre vite, vita contro vita, la vita del virus contro la nostra, nel tentativo di imporre quella che sembra essere la sua sola legge: la mors immortalis di cui parlava Lucrezio.
Da un punto di vista strettamente naturalistico questa legge rappresenta forse la risposta più rigorosa al mistero della vita, ma di certo lascia piuttosto perplessi di fronte alla vita umana, una vita che, natura anch’essa, non si accontenta della semplice sopravvivenza biologica e vuole essere invece buona, bella, piena di significato, spesso anche a costo della morte.
Platone direbbe che, per quanto anche le cose belle e buone siano destinare prima o poi a morire, la loro lucentezza, la lucentezza di ciò che è buono, bello e giusto, resta eternamente, senza essere minimamente scalfita dal loro tramonto. Diciamo pure che il fine della natura umana (ma forse della stessa natura che ci circonda) non è semplicemente la morte, la fine.
È alla luce di questa prospettiva che dovremmo imparare a rispettare la natura, a guardarla con riverenza e, all’occorrenza, anche a combatterla. Un compito che richiede giusta misura, consapevolezza di non esserne i padroni, fiducia nei nostri mezzi, e quindi soprattutto cultura.
C’è in fondo un nesso assai stretto tra l’illusione tecnicistica di poter tenere tutto sotto controllo e la paura che ci prende allorché bussa alle nostre porte l’ospite inatteso e inquietante. In entrambi i casi si tratta di un deficit in termini di cultura. Sì, purtroppo è possibile che l’abnegazione dei medici e degli infermieri che vediamo all’opera in questi giorni nel nostro Paese non sia sufficiente a sconfiggere il corona virus. Tuttavia nessuno scalfirà mai la bellezza di questa loro abnegazione.
In ogni caso, in attesa che i loro sforzi possano avere la meglio sul virus, proprio quando la situazione assume i contorni drammatici di oggi, ci rendiamo conto di quanto siano indispensabili, oltre alla medicina, anche risorse d’altro tipo, risorse che si chiamano fiducia, solidarietà, responsabilità, senso di umanità: le sole che potrebbero arginare la paura e il caos. Assaltare i supermercati e i treni per accaparrarsi quanto più cibo possibile e per scappare dal virus può essere una risposta dettata dall’istinto di sopravvivenza, ma non è una risposta all’altezza di un a vita che voglia essere buona. Lo stesso dicasi per il mare di sciocchezze che girano in rete su cause e rimedi di questo virus.
«Andrà tutto bene», si legge sui muri e sulle finestre delle case di molti italiani. Lo speriamo tutti. Lo meriterebbero in particolare i molti concittadini che in questi giorni, dentro e fuori degli ospedali, stanno facendo sacrifici inenarrabili per lenire il dolore di chi soffre e dare in questo modo all’Italia un po’ di fiducia e dignità. Ma sinceramente io temo che le cose andranno diversamente. E lo temo soprattutto per come siamo entrati in questa pandemia.
I nostri governi, la cultura politica e civile del nostro Paese erano infatti del tutto inadeguati già prima che arrivasse il corona virus. Tra qualche settimana, quando, speriamo prima possibile, ce lo saremo scrollati di dosso, non soltanto conteremo dolorosamente i morti, ma dovremo fronteggiare conseguenze economiche devastanti. Queste, a loro volta, andranno a sommarsi a uno scenario europeo e internazionale ancora più frammentato e soprattutto alla debolezza endemica del nostro assetto istituzionale e delle nostre élite politiche e culturali.
Rischiamo insomma di ritrovarci nel mezzo di una tempesta perfetta, un pandemonio, che certamente avvelenerà ancora di più il dibattito pubblico del nostro Paese, rendendo ancora più difficili il governo e le riforme di cui, non da oggi, lamentiamo il bisogno. Qualcuno si affannerà sicuramente a dare tutte le colpe al virus, alla natura, ma questo aggraverà semplicemente il malessere della nostra cultura.
Raffaella Gherardi dice
Come non essere d’accordo sui mali del nostro paese tanto lucidamente richiamati da Sergio Belardinelli?! Si potrebbe essere ancora più pessimisti e allargare il discorso al mondo intero, dato che si fa davvero fatica a individuare da qualche parte grandi nomi della grande politica, élites politiche e culturali, governi ecc. da additare quali esempi credibili di una progettualità ad ampio spettro. Quali siano le vie di un nuovo senso di responsabilità da parte delle istituzioni e degli individui è ora assai difficile da intravedere, ma occorre davvero sperarlo e tentare a ogni livello di renderlo effettivo, sia nel pubblico che nel privato, da parte di ciascuno. Si tratta innanzitutto di agire nel segno dei tanti e tanti eroi veri e ignoti di questi giorni difficili di coronavirus, alla cui lezione occorrerà tener fermo nel “dopo”. Che sia finalmente la stagione di lasciarsi alle spalle tanti vuoti “bla…. bla… bla” e di maturare perlomeno una potente avversione a questi? Sarebbe già un primo passo.
Dino Cofrancesco dice
“dovremmo imparare a rispettare la natura, a guardarla con riverenza e, all’occorrenza, anche a combatterla. Un compito che richiede giusta misura, consapevolezza di non esserne i padroni, fiducia nei nostri mezzi, e quindi soprattutto cultura”. Sono completamente d’accordo con quanto scrive Sergio in questo articolo profondo e meditato, come sempre