Le democrazie sono campagne elettorali permanenti, difficili a legittimare se gli elettori non partecipano. Il calo dell’affluenza alle urne in Italia è diventato un fatto scioccante perché improvviso e accelerato. Fino al 1979 i votanti in Italia erano più del 90%, ancora nel 2008 votava l’80,5%, oggi, alle elezioni dell’ultimo 25 settembre, si è recato alle urne il 63,8% del corpo elettorale. Un’analisi dell’IPSOS mostra che tra gli astenuti del 25 settembre il 41,5% sono donne, gli uomini il 36,9; i laureati il 28,9, quelli con bassa formazione scolastica (elementare, medie) il 42,5; si sono astenuti circa un terzo della Generazione Z (nati dopo il 1996) e dei Boomers (nati 1946-1964), in altre fasce generazionali l’astensionismo si è spinto oltre la soglia del 40%, con una punta del 50,8% nella popolazione ‘vecchia’ dei nati prima del 1946. Questi dati non sono poi così disastrosi se raffrontati con quelli delle altre grandi democrazie europee. Il CISE riporta che alle ultime elezioni in Francia ha votato il 47,5%, in Spagna il 66,2%, nel Regno Unito il 67,3% e in Germania il 76,6%.
Much ado about nothing? Non proprio, se si consideri che il 25 settembre hanno disertato le urne circa 16 milioni di cittadini (fonte IPSOS), dei quali 9 milioni per ragioni attitudinali e politiche (astensione politica), 2 milioni per motivi di salute e d’età (astensione di necessità) e ben 5 milioni perché fuori sede (astensione imposta). Per studiare e affrontare questo fenomeno, già nel dicembre 2021 il Ministro per i rapporti con il Parlamento istituisce una Commissione di esperti che produce il Libro Bianco Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto (2022). Riprendiamo qui alcune soluzioni per ridurre l’astensionismo, suggerite dalla Commissione, e ognuno giudichi.
- Voto postale o per corrispondenza. Questa modalità è praticata ampiamente negli USA e anche in Germania: comporta che l’elettore riceva la scheda elettorale a casa, voti e spedisca all’ufficio elettorale. Le modalità impediscono il riconoscimento dell’elettore, perché la busta dell’invio non è affrancata, né – ovviamente – registrata o firmata. Su questa modalità grava però l’interdizione di un pronunciamento della Corte Costituzionale, in quanto non garantirebbe il diritto costituzionale alla «segretezza del voto». Possiamo osservare almeno due cose. Il voto postale è già esistente nell’ordinamento elettorale italiano, visto che lo praticano i residenti esteri iscritti nelle liste AIRE, che stanno tra l’altro crescendo in numero e sono ormai quasi 6 milioni (dato 2022), dei quali oltre 4,7 milioni elettori. Di questi, il 25 settembre, in occasioni delle elezioni politiche, ha esercitato il diritto di voto 1 milione e 84 mila circa. Analoga norma è stata introdotta dalla Provincia di Bolzano. Perché la Corte ammette queste eccezioni? Forse che i cittadini AIRE non meritino di votare ‘in segreto’? In definitiva, punto secondo, quello della segretezza è davvero il nascondersi dietro una foglia di fico: tutti noi parliamo in casa, sul lavoro, con amici e conoscenti, cerchiamo di influenzare le reciproche inclinazioni, ci scaldiamo e discutiamo animatamente. Il voto o – meglio – le attitudini politiche di ciascuno di noi non sono affatto segrete e l’orientamento contrario al voto postale appare legato a preoccupazioni eccessive sui possibili inquinamenti di tale strumento.
- Voto anticipato o differito. Questo potrebbe essere un primo modo per contrastare l’astensione imposta (che riguarda soprattutto i fuori sede). Si tratterebbe di consentire il voto nei giorni precedenti alla giornata elettorale. Chi non avesse potuto andare al seggio il 25 settembre avrebbe potuto farlo qualche tempo prima. Naturalmente, ciò potrebbe avvenire presso le sedi amministrative (i comuni) di residenza, oppure negli uffici postali. Non paiono esserci possibili obiezioni giuridico-formali a questa modalità. Qualcuno potrebbe obiettare che si sovraccaricherebbero gli uffici pubblici. Un argomento puramente ostruzionistico del tipo: «Non si può fare… perché non si può e non abbiamo tempo».
- Voto libero presso qualsiasi seggio. Significa che all’elettore, dovunque sia sul territorio nazionale, dovrebbe essere consentito presentarsi in qualsiasi seggio con certificato elettorale e votare. Questa modalità è respinta con l’argomento costituzionale che la rappresentanza (i seggi), dunque il voto, sono basati sulla popolazione residente in un territorio, il che significa che se sono – poniamo – di Trento e mi trovo a Barletta non posso alterare il corpo elettorale dei rispettivi territori. Ma si tratta di un ragionamento debolissimo tanto sul piano politico quanto su piano pratico. Sul piano politico, il rappresentante – da E. Burke in avanti – è sì eletto in loco ma è rappresentante della nazione. In altre parole, il rappresentante eletto in loco dovrà poi fronteggiare i problemi della politica nazionale e ‘servire’ anche gli interessi degli elettori tutti, non solo della sua parte, ma perfino di chi non l’ha votato. Sul piano pratico, il problema della rappresentanza territoriale sarebbe facilmente superabile: qual è l’impedimento a che presso un seggio elettorale – poniamo – di Barletta si stampi la scheda elettorale della circoscrizione del trentino ad un elettore che ne faccia quel giorno richiesta – specie oggi, con le facilitazioni della digitalizzazione e di internet? Davvero nessuno.
- Voto elettronico o telematico. Questa modalità – oggi – sembrerebbe l’uovo di Colombo. Ciascuno di noi potrebbe tranquillamente starsene a casa, ricevere a casa un codice PIN, ‘loggare’ nel sistema con delle credenziali (Codice Fiscale, n. tess. elettorale, n. carta id., SPID, chi più ne ha più ne metta), inserire il PIN e votare la scheda della sua circoscrizione territoriale, in qualunque parte della nazione si trovi, nel giorno deputato. Oppure, come nel caso delle nostre votazioni universitarie per eleggere le rappresentanze al C.U.N., recarsi presso il seggio elettorale e svolgere lì i passaggi prima descritti. Prima obiezione (futile): ci vorrebbero tanti computer. Risposta: tutti ce l’abbiamo, potremmo perfino votare dallo smartphone, inoltre visto che i seggi normalmente sono in scuole e uffici pubblici, lì l’unica cosa che non mancano sono le postazioni computer. Seconda obiezione (apparentemente seria, in realtà pretestuosa): ci sono gli hacker ed è un rischio per la democrazia. Può darsi che qualche rischio ci sia, occorrerebbe un’azione di controllo molto seria che solo tecnici e specialisti potranno garantire. Resta che tutte le ventilate azioni di hackeraggio – per es. nelle ultime elezioni americane da parte, si è detto, dei russi – sono rimaste illazioni non provate, tesi complottistiche che come tali sono irresistibili. Non si possono provare per definizione, perché l’ABC del ‘complottismo’ e l’indimostrabilità delle proprie tesi.
Più in generale, per chi ha a cuore davvero la democrazia, anche qui da noi dovrebbe essere una priorità quella di favorire la partecipazione al voto di chi vorrebbe andare a votare ma, per le più diverse ragioni, non riesce a recarsi ai seggi. Misure come quelle sopra ipotizzate hanno consentito l’anno scorso, in Germania, di votare lontano dai seggi al 47,7% degli elettori, quest’anno, negli USA, a quasi 48 milioni di elettori di esprimere il loro diritto di voto in forma anticipata o per corrispondenza. Solo da noi no?
Marta Regalia dice
L’astensionismo è una piaga dolorosa. Ma, credo, non per le sue conseguenze, più per quello che rappresenta. Davvero diamo così poco valore alla nostra democrazia?
Trovarci a cercare soluzioni che rendano il voto più semplice (e, gioco forza, meno sicuro quanto meno in termini di segretezza) ci mostra quanto poco peso ormai circa 9 milioni di italiani (quella fetta di astensione che gli autori chiamano astensione politica) diano al voto stesso. Mi fa un po’ male ricevere questa dura tirata d’orecchie (richiamo alla realtà) da parte dei miei concittadini: ci interessa così poco del futuro del nostro paese che non abbiamo intenzione di fare il benché minimo sforzo (il voto) per migliorarlo, nemmeno per dire la nostra quando siamo chiamati a farlo.
E mi viene in mente la mia amata nonnina che, gravida, nascondeva le fondine delle pistole sotto il pancione per portarle in montagna a chi ha combattuto, rischiato e a volte, troppo spesso, perso la vita per garantirci quel diritto (di voto) che adesso noi vediamo come un fastidio, un’odioso “diritto-dovere” persino troppo gravoso.
Agevolare, semplificare, facilitare l’espressione del voto sarà un palliativo se non agiremo per guarire la malattia, di cui l’astensione è solo un sintomo.
Marta Regalia dice
*un odioso
Giuseppe Ieraci dice
D’accordo, ma intanto lo “sciroppino” (o il palliativo, come Marta Regalia lo chiama) a questo malato diamoglielo, curiamo almeno i sintomi, poi certo sappiamo che salvare il malato (la democrazia) solo con questo “sciroppino” non è possibile.
Pino Pisicchio dice
Condivido l’impianto dell’articolo ed anche il ventaglio delle considerazioni-proposte finali, in particolare relative al voto elettronico che continua ad incontrare una certa resistenza da parte del Ministero dell’ Interno