Uno dei maggiori insegnamenti dell’epistemologia popperiana è che, nella scienza, occorre sempre essere aperti alla possibilità che le proprie tesi vengano falsificate. Esiste la verità ma occorre anche rendersi conto che essa va conquistata con fatica e, soprattutto, che la pretesa di averla raggiunta una volta per tutte è un’illusione, come del resto dimostra la storia della scienza stessa.
Sulla base di tali premesse alcuni filosofi della scienza del ’900 hanno affermato che il ‘metodo scientifico’ non esiste, nel senso che il processo della scoperta si svolgerebbe con procedure per lo più irrazionali o, addirittura, ‘anarchiche’ come sostenne Paul Feyerabend.
Intendiamoci, lo stesso Popper è in parte responsabile di questi esiti, giacché fu proprio lui, pur tra molti tentennamenti, a ipotizzare l’inesistenza del metodo scientifico. Eppure anche il suo falsificazionismo è un metodo, che egli intendeva contrapporre al verificazionismo del neopositivismo logico. Tuttavia alcuni suoi allievi trassero dal suo insegnamento conseguenze estreme. È il caso di Kuhn, dello stesso Feyerabend e di molti altri.
Occorre però chiedersi cosa succede se davvero l’attività scientifica non è governata da alcuna regola metodologica. Gli scienziati di professione possono in fondo ignorare la questione, certi che la loro ricerca progredisce in ogni caso. Non possono invece ignorarla i filosofi e tutti coloro che attribuiscono alla scienza un ruolo decisivo nel progresso della conoscenza umana.
È facile rendersi conto che, oggi, la questione di cui sopra ha un’importanza cruciale ed è pure gravida di conseguenze pratiche. Se la scienza avanza in modo anarchico e senza regole di sorta, allora il suo valore conoscitivo può essere revocato in dubbio. Non solo. La scienza diventa una prateria aperta alle scorrerie di predoni di ogni tipo.
In realtà la scienza non può essere per sua natura democratica. Per parlare con cognizione di causa al suo interno occorre, innanzitutto, acquisire competenze tecniche assai raffinate, e poi sottoporre le proprie tesi al vaglio di specialisti con competenze tecniche almeno pari a quelle di chi le propone.
In caso contrario abbiamo soltanto un chiacchiericcio indistinto e inutile, poiché si dà spazio a chi interviene senza sapere. Ed è proprio ciò che sta accadendo ai nostri giorni. Internet ha fornito a tutti – ma proprio a tutti – il diritto di intervenire su qualsiasi problema, indipendentemente dal grado di conoscenza posseduto.
Non occorre più studiare. Basta leggere Wikipedia per sentirsi scienziati (o politologi, o filosofi) a tutti gli effetti. Con un semplice click si interviene in un dibattito in corso, per esempio in quello sui vaccini o sui temi bioetici. Si esprimono opinioni non suffragate da conoscenze specifiche che, spesso, acquistano agli occhi del grande pubblico lo status di verità definitive.
Ebbene, il metodo scientifico è proprio lo strumento che consente di combattere tanto le bufale spacciate per verità, quanto l’incompetenza che pretende di farsi competenza. Purtroppo non c’è altro che possa salvarci dall’ondata di presunta democrazia mediatica che sta avanzando.
Naturalmente il metodo scientifico è assai meno semplice e monolitico di quanto ipotizzavano i neopositivisti. È invece flessibile e soggetto a continue modifiche. Ma sostenere che non esiste implica aprire le porte della conoscenza a dilettanti e improvvisatori di ogni tipo, con le conseguenze che tutti possono constatare.
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