Confesso: sono un late comer nel mondo del ChatGPT. Codesto marchingegno digitale, offerto anche a gratis in rete, altro non è se non un software, che simula ed elabora scritture e conversazioni umane, basato su Intelligenza Artificiale e apprendimento automatico. Ci sono arrivato per vie universitarie, quando abbiamo dovuto adottare un sistema antiplagio che dovrebbe mettere i docenti al riparo dalle scopiazzature esagerate di studenti svogliati alle prese con le tesi di laurea. Uno stimato collega ordinario mi ha invitato a provare in concreto questa specie di pietra filosofale che trasmuta informazioni varie in prodotti finali nuovi in forma di lavoro para-scientifico, con tanto di bibliografia e paragrafatura titolata. Stilisticamente un po’ monocorde, certo, ma dipende da quello che ci metti dentro prima. Comunque, assolutamente sorprendente. E inquietante, per l’immenso orizzonte di falsificazione che si prepara a rendere precario il già precarissimo e incerto nostro quotidiano, inguaiato con giganteschi inciampi in forma di fake. Come ci difenderemo?
Mi rendo conto di mettere piede nelle solite premesse etiche riguardanti le macchine intelligenti ed autogenerative che ormai sono tra noi per aiutarci (?) e che danno corpo alle più profonde angosce della letteratura fantascientifica. Mi permetto di estrarre, dall’immenso dibattito in corso, solo una verità interessante per il giurista (categoria a cui apparterrei, assai modestamente, s’intende), su cui ogni risposta oggi appare tentennante: la velocità delle trasformazioni evolutive della AI, assolutamente distonica rispetto alla lentezza del procedimento legislativo. Almeno quella delle liberaldemocrazie. E qui un primo aspetto, fondamentale, che riguarda quella che chiamiamo civiltà occidentale, democraticamente assisa sulle dialettiche tra maggioranza e opposizione dei nostri parlamenti: se la democrazia dei moderni è ‘ontologicamente’ lenta, rispettosa necessariamente di procedure e dinamiche che valorizzano l’ascolto delle minoranze e dei dissensi, e l’Intelligenza Artificiale è per sua natura ‘ontologicamente’ veloce, quando mai potrà diventare componibile questa frattura? Lo scarto di velocità sarà sempre a vantaggio di chi corre di più: una legge che provi – ammesso che sia possibile nel contesto giuridico globale in cui la sovranità nazionale sembra un reperto storico del tardo romanticismo – a regolare un fenomeno legato alla IA, sarà obsoleta ancor prima di entrare in vigore.
Il nostro stesso dibattito intorno al tema sembra inciampare su visioni ed orizzonti provenienti da culture ed ermeneutiche che sono messe radicalmente in discussione dal nuovo tempo. Forse occorrerebbe chiedere ausilio a scrittori come l’Aldous Huxley di Brave New World (1931) per recuperare chiavi di lettura plausibili. Come tutti i visionari del suo tempo periglioso – gli Orwell, gli H.G. Wells, e, più vicini a noi, gli Asimov – Huxley aveva visto lungo e il suo pessimismo cosmico, trasudante precognizioni autoritaristiche sparse qua e là nel vecchio mondo, aveva colto in pieno i caratteri salienti del mondo nuovo, dove controllo delle menti, scivolamento delle masse verso una catatonia irreparabile ed epifanie di eugenetica (che poi altro non è se non il liberarsi dell’ingombro dell’improduttivo: dello scarto umano, come ricorda spesso Francesco), rappresentano gli elementi di un distopicissimo nuovo assetto sociale. Del nostro mondo, che organizza zone limbiche dove alloggiare la coscienza, scaricandoci di ogni ingombro etico per vivere felicemente avvolti dalla nostra catatonia. In attesa del compimento pieno dell’IA. E della sua etica, intesa non come suo intimo profilo morale perché, se così fosse, riconosceremmo in essa una capacità senziente ed una coscienza che – per ora – appartiene soltanto agli umani, ma come quadro di principi che devono ispirare l’umano che insuffla l’alito vitale alla macchina, fornendole informazioni. Qui soccorre la puntuale analisi di studiosi come Luciano Floridi che, chiedendo soccorso alla bioetica, descrive un bouquet di principi (la tensione verso il bene comune, l’astensione dalla ‘maleficenza’, la promozione dell’autonomia di ogni essere umano, lo sviluppo della solidarietà e della giustizia) dedotti da un profondo lavoro di analisi sui testi normativi, cui aggiunge i criteri della intelligibilità e della responsabilità che aiuteranno a capire come agisce l’I A e chi la fa funzionare. Ecco: tra l’Utopia floridiana e la Distopia degli Huxley, si situa il ruolo della politica regolatrice attraverso il processo democratico della normazione. E qui, per il momento, i verbi diventano difettivi.
Nel frattempo, registro una piccola ma agghiacciante nota: apprendo da un espertissimo consulente dei sistemi d’intercettazione telefonica utilizzati come prove regine, subito dopo la flagranza, nei processi penali, che non esiste possibilità scientifica per distinguere una contraffazione dall’autentico. Così da mandare in galera un innocente e buttare via la chiave con un’intercettazione totalmente falsificata. Come nei peggiori legal thriller americani.
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