Come nelle precedenti conferenze annuali, l’ottavo vertice del Processo di Berlino, tenutosi virtualmente il 5 luglio 2021, si è concluso con un quasi-niente di fatto. Eppure segna un passaggio decisivo della geopolitica estera dell’Europa.
Presieduto per la seconda volta da Angela Merkel – come per chiudere il cerchio in vista delle elezioni politiche di settembre in Germania, quando volontariamente uscirà di scena – il summit aveva destato maggiori aspettative. La prima riunione inaugurale si tenne a Berlino il 28 agosto 2014, quando, giunta al terzo mandato, la cancelliera federale decise di rilanciare l’espansione della cooperazione regionale europea negli stati dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Macedonia settentrionale e Serbia).
Il processo di Berlino fu pensato nel 2014 come una piattaforma per assicurare una maggiore integrazione all’interno dei Balcani occidentali, quindi favorire l’allargamento dell’UE grazie all’iniziativa di un gruppo di stati composto inizialmente da Austria, Francia, Italia, Regno Unito, Slovenia, Croazia e Polonia, ai quali si sarebbero potuti aggiungere altri paesi disposti ad ospitare un vertice, come fu il caso della Bulgaria nel 2020.
Nonostante la Brexit, il Regno Unito è rimasto in partita, organizzando il vertice del 2018 e, quindi, partecipando ai summit successivi fino all’ultimo quando, per le difficoltà legate alla pandemia, era lecito aspettarsi da Merkel, forse, un colpo di reni maggiore, diciamo conclusivo.
In otto anni, l’unico progresso verso l’allargamento dell’UE da parte dei paesi della regione dei Balcani è stata la decisione del Consiglio europeo del marzo 2020 di aprire i colloqui di adesione con Albania e Macedonia del Nord. Tuttavia, i colloqui non sono neppure iniziati e per vari motivi, tra cui il veto della Bulgaria sulla Macedonia del Nord. Questo nuovo conflitto si aggiunge a tensioni storiche, come quella tra Serbia e Kosovo o a quelle bosniache.
Il vento popolar-grillino (sì, anche lì c’è un comico populista) a Sofia non pare favorire il processo, e Merkel ne ha dovuto prendere atto, ripiegando retoricamente su successi non politici piuttosto limitati, riguardanti l’integrazione sociale ed economica, come le azioni infrastrutturali e per i giovani, incluso l’accordo di roaming del luglio 2019 per favorire la digitalizzazione della regione, oppure l’impegno del governo tedesco a inviare 3 milioni di vaccini anti-Covid «il più presto possibile». O l’annuncio, confermato da parte della Commissione europea, a dare supporto finanziario e tecnico affinché i Balcani occidentali possano aderire al certificato digitale Covid dell’Ue.
Proprio questi temi digital-sanitari, benché estemporanei, ci danno però il senso del perché il processo di Berlino sia un passaggio decisivo per la geopolitica estera dell’Europa. Cina e Russia hanno fatto a gara nel proporre i propri vaccini nella regione, in quel bailamme che è diventata la diplomazia del Covid. Per non parlare della ‘via della seta’ digitale. Nei documenti strategici dei paesi europei del Processo di Berlino, tra cui l’Italia, si legge oramai in modo esplicito che è divenuto imprescindibile, in questa fase, preservare la credibilità del processo di allargamento controbilanciando l’accresciuta presenza di attori terzi come Russia, Cina e anche Turchia (ad esempio, politicheeuropee.gov.it/media/5165/relazione-programmatica-2020).
Il partenariato euro-mediterraneo, divenuto sinonimo del Processo di Barcellona, ci racconta di una condizione geopolitica dell’Europa, la cui proiezione mediterranea, che prescinde dai successi di quella iniziativa che nel 1995 aveva alimentato tante aspettative poi disattese, appare oggi ineluttabile. L’Europa non può evitare di impegnarsi nel Processo di Barcellona in qualche modo, ossia mostrare una autonomia strategica nel Mediterraneo. Paradossalmente Merkel, nel riferimento a un processo specifico nei Balcani (che sono parte del Mediterraneo) ci lascia una eredità ineludibile.
Ci sono due aspetti positivi da considerare a questo proposito, ben oltre le disillusioni per lo stallo nel processo: Berlino non è solo la sede del primo incontro, ma il marchio di un indirizzo politico (come San Francisco per le Nazioni Unite, o Shangai per la omologa organizzazione; dietro c’è la Germania); il Regno Unito è ancora parte in causa (in una condizione di presenza che include, di riflesso, gli Stati Uniti).
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