Si è concluso nei giorni scorsi a Pechino il sesto Plenum del Comitato Centrale del PCC, approvando una «Risoluzione sui maggiori risultati e sull’esperienza storica del Partito». È il terzo documento così chiamato dopo quelli di Mao nel 1945 e di Deng Xiaoping nel 1981. Non è tanto una ricostruzione di eventi storici, quanto piuttosto una loro reinterpretazione per creare un filo che possa condurre, in maniera ideologicamente e politicamente coerente, al prossimo Congresso del Partito nell’ottobre del 2022.
Il ruolo di Xi Jinping ne esce rafforzato e collegato a quelli che nella ricostruzione storica odierna sono considerati i due artefici, complementari, del successo del Partito e della Repubblica Popolare. A differenza degli ultimi leaders che lo hanno preceduto, di cui si ricordano i «grandi contributi», Xi viene qui definito «fondatore del Marxismo della Cina contemporanea e di quello del 21° secolo». Non deve meravigliarci: già nell’ultima riforma della Costituzione cinese del 2018 Xi veniva citato nel Preambolo al pari di Mao e Deng, mentre dei suoi predecessori, Jiang Zemin e Hu Jintao, veniva ricordato il contributo teorico, senza però menzionarli.
Ci sarà solo un successivo Plenum prima del prossimo Congresso che avverrà, come detto, nell’ottobre del 2022 e nel quale Xi riproporrà per la terza volta la propria candidatura a Segretario del Partito. Il nuovo documento va letto in questa chiave: costruire una impalcatura teorica unitaria; recuperare alcuni esponenti della sinistra già maoista da lui sconfitti nello scontro con Bo Xilai; ingabbiare nella nuova visione le aperture economiche e sociali di Deng rilanciando la presenza, non solo politica, del Partito nelle istituzioni, nell’economia e nella società civile.
La crescita economica cinese si è rallentata; il modello delle SOE (State Owned Enterprises, le imprese di Stato) soffre di disfunzioni e difficoltà crescenti; la crisi energetica ha costretto al razionamento dell’elettricità; gruppi privati in settori diversi (a cominciare da Evergrande in quello delle costruzioni) sono in sofferenza; una decisa stretta normativa e finanziaria ha creato difficoltà a importanti imprese del commercio digitale (Alibaba, ma non solo) e dell’educazione privata; si accentua la spinta repressiva; per non parlare delle conseguenze ancora non risolte a livello sanitario e sociale del Covid-19.
In questa prospettiva, l’obiettivo di Xi è di arrivare al prossimo Congresso con un Partito ed una società civile fermamente sotto controllo, per realizzare il suo «Sogno Cinese» di una «società moderatamente prospera», fondata sulla «output legitimacy», la legittimazione del risultato.
Al di là delle ricostruzioni storiche ex-post, la successione alla guida del partito ha sempre visto momenti di drammaticità: da Mao a Hua Guofeng, da Zhao Ziyang allo stesso Xi. E gli strumenti usati nello scontro politico sono ricorrenti, a cominciare dalla lotta alla corruzione spesso utilizzata come mezzo per regolare i conti tra le diverse fazioni. Nella prospettiva di creare un elemento di collante sociale e di unità politica, Xi sta facendo anche ricorso ad un atteggiamento di forte e decisa assertività sul piano internazionale, da Hong Kong al Mar Cinese Meridionale, dal confronto con gli Stati Uniti a Taiwan, e ad una narrativa che riprende e rivaluta la morale confuciana, contrapposta al reputato decadimento di un occidente privo ormai di riferimenti etici.
Non siamo al ritorno alla Rivoluzione Culturale, quanto piuttosto a un modello politico in cui prevale un ordine sociale ed economico guidato e garantito dal Partito. Le imprese private potranno continuare a fare profitti, ma sotto la guida decisa e pervasiva del Partito. Che farà uso di tutti gli strumenti, in primo luogo quelli di una onnipresente tecnologia, per realizzare i propri obiettivi di stabilità interna e di preminenza internazionale. «Governo, esercito, società e scuola: nord, sud, est ed ovest il Partito è alla guida di tutto».
Che conseguenze per l’Occidente? Nel medio periodo, almeno fino al Congresso del 2022 ed alla prevedibile conferma di Xi, assisteremo ad un accentuarsi delle spinte statualiste all’interno ed antagoniste in campo internazionale. Sul piano dell’economia, del commercio e della finanza, delle «3C» (collaborazione, competizione e confronto) si rafforzeranno la seconda e la terza. Su quello della primazia globale Taiwan rimane il punto più incerto e pericoloso. Xi ha promesso per i prossimi decenni una «soluzione» del problema. Potrebbe riproporsi per l’Occidente il dilemma novecentesco: morire per Danzica? Auguriamoci di non dovercelo chiedere.
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