Si sente spesso parlare di casta e quasi sempre ci si riferisce, col termine, a una classe dirigente cinica e affarista. Sarebbe opportuno, tuttavia, essere più precisi e definire chiaramente che cosa rende la casta tale. A mio avviso, chi dice casta dice, sostanzialmente, inamovibilità: il privilegio saliente di quanti ne fanno parte è l’impunità, l’esonero dal pagare per gli errori commessi. Nel nostro paese questo vale per tutti i detentori del potere – politico, economico, intellettuale, religioso etc. Se uno firma disinvoltamente un manifesto in cui il commissario Calabresi viene additato come un assassino, nel peggiore dei casi il gesto viene considerato un’imperdonabile leggerezza. «Il giusto, si legge nei Proverbi (24,16), pecca sette volte al giorno» e in Italia la malinconica conoscenza che si ha del mondo non gli chiede neppure di riconoscere pubblicamente il suo ‘peccato’.
L’impunità garantita ai detentori del potere politico getta un’ombra inquietante sulla nostra fragile democrazia liberale. Si entra in Europa nel peggiore dei modi sicché la gente vede dimezzato il proprio reddito – la classica tazzina di caffè che costava 800 lire ora ne costa 2000 – e tuttavia gli artefici dell’operazione politica stanno ancora lì, pontificano sui giornali, si candidano naturaliter a mentori della nazione. Si mette sottosopra il sistema bancario italiano, con mosse discutibili che fanno scomparire banche storiche, ma l’unico a rimetterci le penne è l’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio che aveva avanzato forti riserve sulla new strategy. Ai suoi avversari, al contrario, sono stati riservati elogi e riconoscimenti che si tradurranno (non se ne dubita) in convegni in onore, in intitolazioni di strade e piazze, in monumenti. Si inserisce, per ragioni di bassa bottega elettorale, nella Costituzione – nata dalla Resistenza e dalla lotta antifascista – il Titolo V che equipara lo Stato alle Regioni e ai Comuni e c’è mancato poco di vedere al Quirinale il responsabile della riforma costituzionale, l’iperfederalista, paladino di autonomie locali che, prese sul serio, potrebbero fare a pezzi l’unità costruita dai nostri padri.
Si interviene nell’abbattimento del regime (sicuramente tirannico) di Mu’ammar Gheddafi e l’alta carica della Repubblica, che più si era spesa per farci ritrovare accanto agli stati che riportavano la democrazia in Libia, non perde neppure un milligrammo della venerazione da cui è circondato. Un paese in pieno caos, con due capitali, Tripoli e Bengasi, porto scelto dai trafficanti di armi, di droga e di esseri umani per raggiungere le nostre coste, commesse perdute per le imprese italiane ma tout va très bien, madame la marquise: il conto non va presentato a chi ci governa ma al destino cinico e baro.
Le ‘risorse della Repubblica’, che fanno parte stabile e integrante della casta politica, vengono talmente apprezzate da ricevere un laticlavio senatoriale ancor prima di aver fatto «sacrificio della propria persona» ed essersi offerte all’Italia, per parafrasare il vecchio Maresciallo Philippe Pétain. Forse un episodio unico nella lunga vita dei parlamenti e delle democrazie moderne.
Di Tony Blair, di François Hollande, di George D. Bush non si sente più parlare: appartengono a popoli che non amano il riciclaggio: per qualche tempo hanno fatto parte della classe dirigente, ma, non essendo ‘casta’, sono usciti di scena a causa dei loro errori (veri o presunti).
Non è fare del moralismo a buon mercato constatare che in Italia uno statista può svendere i beni di famiglia – quelli che appartengono all’intera collettività – ma continuare a dormire tra due guanciali, giacché nessuno gliene chiederà ragione. Uno che lo fece, Antonio Venier, nel libro Il disastro di una nazione. Saccheggio dell’Italia e globalizzazione, con Presentazione di Bettino Craxi, riuscì a pubblicarlo (nel 2000) solo con Ar, la casa editrice della destra ‘impresentabile’. Naturalmente, nonostante il presentatore, nessuno ne ha mai parlato. Et pour cause!
In una democrazia a norma, gli errori politici – non avendo nulla a che fare con i giustizialisti non li assimilo a reati o a fatti di concussione ordinaria – si pagano con l’abbandono del teatro politico, possibilmente anche come grilli parlanti. Da noi, invece, sul palcoscenico rimangono sempre gli stessi attori che solo la comare secca riesce a portarsi via. Nessun effettivo ricambio di personale e quando appare qualche volto nuovo, deciso realmente a fare entrare aria fresca nei ‘labirinti dei politici maneggi’, la vecchia casta si affretta a farlo fuori. Magari per via giudiziaria come si cominciò nel 1960, con Randolfo Pacciardi, una fulgida figura dell’antifascismo italiano, travolto da uno scandalo dal quale venne in seguito completamente scagionato (il giustizialismo, caro Piero Sansonetti, nacque allora e non 19 anni dopo con la Lockheed!).
A me non piacciono le facce nuove dei confederati gialloverdi e condivido gran parte delle critiche (non tutte) che a loro vengono rivolte da quasi tutti i giornali, radio, tv (sui mass media, le ragioni del governo vengono esposte solo dai suoi membri o dai parlamentari della sua maggioranza mentre per le critiche si dà la parola alla ‘società civile’). Ciò non m’impedisce di capire, tuttavia, da dove sono venuti i loro successi elettorali, peraltro destinati a sgonfiarsi.
Il nostro sarà pure diventato un paese isterico, ignorante, volubile ma certo è che non ha votato per sovranisti, nazionalisti e populisti vari: ha votato contro la casta.
Dino Cofrancesco dice
Non ho molto da aggiungere a quanto hanno scritto i miei cortesi interlocutori–fin troppo cortesi nel caso di Gioacchino Di Palma, che dice di condividere il 99% del mio post. Rilevo unicamente che mi sono limitato a parlare della casta politica-e solo nell’incipit di quella intellettuale, che redasse l’appello contro l’«assassino» Calabresi e non sentì il dovere di fare pubblica ammenda della propria colpevole leggerezza.(In Internet si trova l’albo d’oro dei firmatari: vale la pena di rileggerlo come ennesima prova del «tradimento dei chierici»). So bene che nel nostro paese ci sono anche altre caste e concordo con Alberto De Stefano quando definisce ‘supercasta’ la magistratura. Di un suo prestigioso esponente, Sabino Cassese, ho scritto l’8 marzo sul blog di Nicola Porro ‘La zuppa di porro’, ‘Cassese, il grillo parlante che piace ai giornaloni’ e dell’ideologia liberticida di una certa magistratura mi sono occupato nel lungo articolo ‘Dove iniziano totalitarismo e teocrazia? Dall’etica della democrazia’ apparso su ‘Il Dubbio’ del 15 marzo. Liborio Mattina ha ragione quando invita a ricordare «le scelleratezze e l’inamovibilità della destra» (e chi se le dimentica?): ammetterà, tuttavia, che nell’area della destra non troviamo ‘icone’ o ‘risorse della Repubblica’, ’coscienze integerrime’ e grilli parlanti da ‘demistificare’. Forse perché la destra, sottovalutando—come già la DC– le ‘pouvoir spirituel’, ha perso la battaglia per colonizzare scuole, atenei, mass media.
alberto de stefano dice
DINO COFRANCESCO:l’onesta’ intellettuale.Punto.
gioacchino di palma dice
Anch’io sottoscrivo l’analisi di Dino Cofrancesco sull’inamovibilità, che però condivido al 99%, c’è un piccolo margine dell’1%, per me di difficile comprensione. Per quale motivo scrivere della vecchia casta, argomentare sulla stessa, indignarsi per quello che ha fatto e che fa, e poi chiudere contro i gialloverdi, quando lo stato attuale del Paese è il frutto della vecchia casta ?
Contro l‘inamovibilità, il Movimento 5 stelle prevede espressamente nel regolamento interno, che dopo due mandati si deve lasciare il posto a facce nuove, e si tratta di una novità assoluta nello scenario politico Italiano degli ultimi 80 anni.
Mi sembra che questa sia una risposta concreta contro l’inamovibilità.
Circa le critiche che vengono mosse dai mass-media (Cofrancesco parla di gialloverdi. Io mi riferisco al Movimento 5 Stelle), a me sembra che sarebbe più corretto parlare di accanimento mediatico contro il Movimento. Se un qualsiasi Consigliere Comunale del Movimento 5 Stelle, del più sperduto paesino d’Italia, passa con il rosso la notizia viene data tra quelle di apertura dei TG Nazionali. Questa è la casta.
Vivaddio che il Paese non abbia votato: “ … per sovranisti, nazionalisti, populisti vari ….”, ma abbia votato: “contro la casta”. Però se la casta attraverso i mass-media, continua indefessa ed instancabile a dirci quotidianamente che il voto del Paese è stato un voto (solo) populista, vuol dire che non ha ancora capito che così facendo perderà ancora, ed ancora, ed ancora, …. e meno male.
Circa il fatto che i successi elettorali dei gialloverdi siano destinati a sgonfiarsi, ho molti dubbi. Certo si ridimensioneranno quelli dei 5 Stelle (e questo è fisiologico), ma saliranno quelli della Lega (e questo non è fisiologico). Dopo lo tsunami delle ultime elezioni il sistema deve ancora stabilizzarsi, ma questa destra e questa sinistra assolutamente sovrapponibili e lontane dal Paese reale, se non sapranno riscriversi si autodistruggeranno, e sembra che non se ne accorgano nemmeno.
Sono proprio una casta.
alberto de stefano dice
Eccepire la omisssione della Magistratura come Casta era troppo ?
alberto de stefano dice
Non sono all’altezza di interloquire con un Dotto dello spessore dell’autore.E,con franchezza,ammetto di non riuscire a cogliere il senso finale,sotteso ad una dura requisitoria,sicuramente condivisibile,contro la CASTA.Mi limito,percio’,a sottolineare,timidamente,la carenza di riferimenti alla SUPERCASTA (CIT.).A che dobbiamo la scelta di non parlarne? Eppure il fenomeno esiste,gigantesco,mostruoso,datato con certezza.Da Tangentopoli in avanti, il Giudiziario prevale brutalmente sugli altri poteri.Si sconquassa l’equilibrio dello Stato di diritto.Vani i tentativi di opporsi,repressi con vendicativa intransigenza,liquidando,sempre per via giudiziaria,i malaccorti che osavano immaginare la “riforma della Giustizia”,per porre fine ad uno sbilanciamento che non ha analogie in nessun altro Sistema,Stato occidentale,europeo almeno.Dal 92 nulla e’cambiato.Nulla cambiera’,mi sentirei di vaticinare.Avremo sempre il CSM,logoro ma efficiente,strumento di direzione mafiosa,centralizzata della categoria.Le correnti,il mercato delle nomine al vertice delle procure etc.SE NON E’ CASTA QUESTA !
Liborio Mattina dice
Sottoscrivo l’analisi sulla inamovibilità come elemento caratterizzante il ceto politico del nostro paese che, però, mi pare, viene menzionato con esclusivo riferimento alla componente – chiamiamola – di centro-sinistra, dimenticando che le scelleratezze e l’inamovibilità della destra non sono di minor peso. Mi pare, inoltre, che sarebbe utile estendere il teorema della inamovibilità anche al ceto economico dominante che è sempre in sella nonostante i tanti guasti che i rappresentanti del capitalismo relazionale hanno provocato allo sviluppo di una sana economia di mercato in passato remoto e nel presente più prossimo.