Il 10 gennaio 2019, il direttore del «Dubbio», Piero Sansonetti, pubblica una nota, L’opposizione? Cacciari, Ancelotti e Baglioni, che vale la pena riportare per intero: «Una volta l’opposizione la facevano i partiti politici. Poi, sì, c’erano anche gli intellettuali, o gli artisti. Ma erano “accodati” ai partiti. Gran parte degli intellettuali e degli artisti erano di sinistra. E una volta l’opposizione la faceva sempre la sinistra, perché al governo c’era sempre la Dc. Ora è cambiato tutto. La Dc non esiste più, e i suoi eredi, in gran parte, stanno a sinistra, nel Pd, insieme agli ex comunisti. Però non fanno opposizione Cioè la fanno: ma dentro il Pd. Fuori c’è il deserto. I partiti fanno lotta politica prevalentemente al loro interno. La lotta politica fondata su idee diverse di società è una rarità. Chi la conduce? I filosofi, i cantanti, gli allenatori. L’urlo di Massimo Cacciari in Tv contro Salvini e la Bongiorno è diventato un cult in poche ore. E poi ad affiancare Cacciari è arrivato Claudio Baglioni. Nei giorni scorsi c’era stato Ancelotti. Non mi pare che Cacciari e Baglioni e Ancelotti abbiano molte cose in comune. Uno è un filosofo, l’altro è un interprete della musica leggera, l’altro ancora un uomo di pallone. Forse neanche si sopportano. Semplicemente si sono trovati obbligati a coprire un vuoto. Va bene così? Può darsi».
Nello stesso giorno sul «Foglio» (definito da Michele Fusco la «gazzetta del politicamente corretto»), il direttore, Claudio Cerasa, scrive – nell’articolo L’internazionale sovranista è una boiata pazzesca – che viviamo in paese «che, come ha magnificamente detto ieri il direttore artistico di Sanremo Claudio Baglioni, parlando delle buffonate del governo italiano sui migranti, trasforma tutto in una farsa ogni partita giocata in Europa». Come si vede la reazione dei due giornalisti è molto diversa: laddove, dinanzi alle esternazioni dei non politici di professione, Sansonetti avverte un certo disagio, l’altro fa echeggiare un potente squillo di tromba. È vero che nell’ex direttore di «Liberazione» lo sconcerto nasce dal vuoto della sinistra riempito da esponenti della società civile (vogliamo chiamarla così) ma almeno c’è il disagio per un’anomalia; nell’altro, invece, c’è solo la lasting ovation per Claudio Baglioni.
L’episodio, in un paese più attento del nostro ai simboli e alle parole, sarebbe molto preoccupante. Non entro nel merito delle critiche rivolte a Matteo Salvini: in una ‘società aperta’ sono tutte legittime anche se vengono presentate come verità assolute, laddove la politica è la dimensione dell’incertezza e delle ragioni che non stanno mai solo da una parte. Ciò che inquieta, invece, è che si stia perdendo (definitivamente?) il senso della distinzione dei ruoli sociali, delle diverse dimensioni di valore, del rispetto di chi consente e di chi dissente, della separazione – che è l’essenza stessa della saggezza dell’Occidente – tra etica e politica. Se frequento un corso di Antropologia e il docente mi parla di Berlusconi (a Genova è capitato) mi sento umiliato, anche se condivido quelle critiche. La cattedra non è un pulpito, ci ha insegnato Max Weber. Se mi reco a un concerto di Chopin, il pianista non può interrompere la sua esecuzione per informarmi del suo odio per l’America e la sua politica estera (in Italia è capitato). Alla stessa maniera, il direttore artistico di Sanremo – uno spettacolo organizzato grazie al sostegno di un ente pubblico come la Rai – dovrebbe guardarsi bene dal dire la sua su una misura governativa che non condivide. So bene che la nostra political culture è di diverso avviso e quasi prescrive ad ogni cittadino – funzionario pubblico, uomo di spettacolo, scienziato, sacerdote, sportivo etc. – di mettere la propria visibilità istituzionale al servizio della ‘buona causa’ ma mi chiedo se questa etica pubblica (e sottolineo che sempre di etica si tratta) sia in linea con la civiltà liberale.
Qui il diritto non c’entra, c’entrano la sensibilità e i costumi. C’entra, ripeto, il rispetto di chi non la pensa come noi e non è giusto che paghi il biglietto per uno spettacolo in cui si veda costretto a subire l’indottrinamento politico. Tra le virtù ottocentesche che abbiamo perduto c’era il riserbo imposto da un codice etico che vietava di travasare la stima e la notorietà acquisite in un determinato campo in un altro diverso e lontano. Gino Bartali poteva anche essere democristiano ma non si sarebbe mai sognato di far propaganda contro la DC accanto al geniale Giovannino Guareschi.
All’amico Sansonetti vorrei dire: guarda che Massimo Cacciari, Claudio Baglioni e Carlo Ancelotti non stanno sullo stesso piano. Cacciari – il cui ‘urlo contro Salvini e la Bongiorno’ ha preoccupato seriamente amici e colleghi – è un filosofo che non solo ha sempre scritto di politica ma ha sempre fatto politica; gli altri due, sono uomini di spettacolo – canoro l’uno, calcistico l’altro. In democrazia a nessuno dei tre si può vietare l’espressione di sentimento ma qui è in questione uno stile di pensiero. E quello dei tre non ha nulla a che vedere con la democrazia liberale.
Francesco D’AGOSTINO dice
La tesi di Ocone (la libertà è l’unico vero valore) non funziona. I sacrifici umani precolombiani, il suttee, lo sterminio degli ebrei, la tortura, le diverse forme di genocidio non sono tollerabili, anche se nella storia liberamente istituiti e voluti . L’errore del liberalismo sta nel non distinguere libertà spirituale e libertà civile: e di questo errore continuiamo a pagare le conseguenze.
Corrado Ocone dice
Bellissima discussione. La mia sensibilità è vicina a quella del prof. Cofrancesco, soprattutto per quel che concerne la distinzione delle sfere del pensiero e dell’azione umana, ma io non mi ritengo relativista semplicemente perché quelli che Cofrancesco chiama valori sono per me principi. Il valore per me è uno solo, quello della libertà, cioè il tenere sempre aperto il campo al conflitto delle interpretazioni o dei principi. Un valore metapolitico, quello della società aperta se si vuole
Francesco D'Agostino dice
Come si fa a gerarchizzare rigorosamente i valori? Non certo con tecniche di rigore scientifico (portando i valori in laboratorio!). Ma con un paziente impegno umano e pedagogico. Ad es. inducendo un ragazzino che ascolta solo musica pop ad ascoltare Mozart. Inducendo l’antisemita a documentarsi sulla Shoah. Portando chi conosce solo le trattorie di quartiere a cenare in un ristorante decente. Ecc.ecc. Naturalmente esistono poi dialettiche valoriali che devono restare aperte: è inutile discutere se è più grande Dante o Shakespeare. Ma che Trilussa, con tutta la simpatia che ispira, non sia al loro livello dobbiamo pur riconoscerlo.
Il relativismo valoriale ci salva dal dogmatismo assiologico e quindi è prezioso. Ma se diventa a sua volta un dogmatismo scettico va combattuto. Tu cerchi da tempo una posizione intermedia tra queste due ed è una ricerca apprezzabile. Ma questa posizione intermedia la puoi fondare solo se ammetti questi punti fermi: a) i valori sono quella dimensione di bene su cui noi fondiamo la nostra dignità, b) abbiamo non solo il dovere di difenderli, ma anche di fondarli; c) nella consapevolezza che sono inesauribili (cosa che non si dà per i “fatti”, che una volta scientificamente accertati , divengono banali) e che quindi sono meritevoli di continue e continue meditazioni (il che non si dà per i fatti: posso leggere e rileggere Dante, ma non la cronaca dell’assassinio di Cesare).
Insomma, suavissime Dine, va’ un po’ a scuola di Socrate e lascia stare Hume. Non sai quale mondo ti aspetta. Il vero realista non è il realista politico, ma il realista metafisico.
Tuo
F.
P.S. E smettila di cavartela con il tuo tipico understatement!
Dino Cofrancesco dice
«abbiamo il dovere di gerarchizzare con rigorosa obiettività i valori». Come sia possibile, francamente mi sfugge. Quello che è certo, invece, è che quanti nutrono tale fiducia non possono non riguardare gli avversari politici –che si rifiutano di ‘gerarchizzare con rigorosa obiettività’—alla stregua di inguaribili paranoici. E’ vero, il liberalismo è in declino. Le guide spirituali del nostro tempo sono Michela Murgia, Michela Marzano, Donatella Di Cesare. C’è a chi piace………|| prometto alla Direttrice di PXAForum che questa è la mia ultima controreplica; c’è un limite al narcisismo presenzialista, soprattutto al mio ||
Michele Magno dice
Grazie per la sua cortese interlocuzione, professore. Dialogare con lei è sempre un’occasione per “irrigare l’orticello della mente”. Resta qualche dissenso (ad esempio, oggi noi sappiamo che i sistemi di Tolomeo e Copernico sono assolutamente equivalenti, da un punto di vista matematico), ma ha poca importanza. A me, imbrattacarte a tempo perso, questo pur conciso scambio di battute è stato utile. Un saluto cordiale, Michele Magno
Francesco D’Agostino dice
La paura per l’assoluto che manifesta Cofrancesco e che lo induce a ribadire ogni volta che ne ha l’occasione che l’etica e la politica sono senza verità è davvero irritante: a) perché culturalmente stantia (cosa intende il buon Dino per “assoluto “? Dio? Lo Spirito? L’incondizionato? Il “padre”? Il Bios?ecc.ecc.: se ce lo spiega ci fa un favore); b) perchéa toglie forza comunicativa alle sue argomentazioni…se le ragioni non stanno mai da una sola parte (affermazione empiricamente vera, ma epistemologicamente fragile), perché dialogare, se non perché ci lasciamo travolgere, come diceva qualche esistenzialista da “passioni inutili”? Se io leggo Cofrancesco e mi arrabbio è perché lo ammiro e la mia amministrazione per lui è VERA. (non teologicamente o hegelianamente, ma fraternamente ). Può bastare?.
Michele Magno dice
La mia stima per il prof. Cofrancesco è immensa, ma questa volta non l’ho proprio capito. Sì tre non si può vietare “l’espressione di un sentimento” , mentre il “loro stile di pensiero” non ha nulla a che vedere con la democrazia liberale? Bah, sarà…
DinonCofrancesco dice
anch’io La stimo molto (Le ho dedicato il post precedente uscito su PXAForum) ma sono io che non La capisco. Dire: «hai tutto il diritto di dire ciò che pensi ma sotto il profilo etico-politico quel che dici non è in linea con lo stile di pensiero liberale» è contraddittorio? E perché mai? Il liberalismo è ‘l’arte della distinzione’ dei piani e delle dimensioni di valore. Nessun medico ci ha prescritto di convertirci al liberalismo per la salute del nostro corpo e nessun prete ci ha dato lo stesso consiglio per la salvezza della nostra anima. «Il mondo è pieno di dèi» e il dio liberale arriccia il naso se l’antropologo culturale tiene lezioni sul berlusconismo, se il pianista manifesta la sua solidarietà al popolo vietnamita, se il direttore culturale di Sanremo entra in polemica col ministro Salvini. Ci sta tutto ma anche la (mia) libertà di non andare a lezione di antropologia, di non acquistare il biglietto per il concerto di Chopin, di criticare chi si serve della notorietà acquisita in un campo per sostenere una ‘causa buona’. Anche perché non ci sono cause buone in assoluta. L’etica e la politica sono ‘senza verità’. Ho scritto e ribadisco« la politica è la dimensione dell’incertezza e delle ragioni che non stanno mai solo da una parte». Si può essere in disaccordo ma non si chieda l’iscrizione al Club Montesquieu. Semmai al Circolo Rousseau.
Michele Magno dice
Gentile professore, anzitutto la ringrazio per avermi dedicato il suo post del 20 dicembre scorso (che non avevo letto). Ne sono onorato. Post che condivido totalmente. Da pugliese che nel corso della sua esperienza politica e sindacale ha avuto modo di occuparsi e di riflettere sulla questione meridionale, sono giunto alla conclusione che forse non è il Mezzogiorno il problema dell’Italia, ma l’Italia il problema del Mezzogiorno. Nel senso che ha bisogno di tornare a vedere lo Stato impegnato nelle sue funzioni essenziali e solo in quelle: amministrare la giustizia, garantire la sicurezza e l’ordine pubblico, fornire servizi sanitari ed educativi, infrastrutturare il territorio.
Quanto alla nostra piccola controversia, non mi sfugge che “l’etica e la politica sono senza verità”. Non credo, tuttavia, che ciò significhi una concezione agnostica dell’etica e della politica. Non ho mai creduto alla purezza del chierico (quella prima affermata e successivamente sconfessata da Benda di fronte all’avanzata del nazifascismo) che sta al di sopra della mischia. Un certo neutralismo (terzismo) odierno di intellettuali di cultura liberale deriva forse da “esagerata coscienza della propria […] funzione conciliatrice” (Bobbio). E poi mi consenta, professore, non è vero che non esistano “buone cause” quando è in gioco proprio la difesa di principi liberali (tolleranza, libertà di coscienza, scienza non contaminata dalla superstizione, e via discorrendo). Le confesso infine quella che oggi è la mia preoccupazione di fondo. E cioè che in passaggio della storia nazionale in cui (per chi le scrive) è a rischio la liberaldemocrazia, l’amore delle distinzioni nette possa trasformarsi in indifferenza, in un razionalismo un po’ gelido. Insomma: preferisco Baglioni che, magari sfruttando la sua notorietà artistica, dice cose di buon senso (affatto rivoluzionarie) sull’immigrazione, a Salvini che, sfruttando il suo potere di ministro dell’Interno, travestito da poliziotto se la prende con i rom e i “negher” al grido di “prima gli italiani” (distinzione questa, ne converrà, illiberale).
La saluto cordialmente e le rinnovo i miei sentimenti di stima. Michele Magno
Dino Cofrancesco dice
Cari Amici
Innanzitutto grazie per l’attenzione che avete dedicato al mio scrittarello. Rispondere alle varie questioni che avete sollevate richiederebbe non un altro articolo ma un vero e proprio saggio, per il quale mi mancano il tempo e le ali. Mi limito a rilevare che l’etica e la politica sono «senza verità» ma non «senza valori» Anche per me ci sono le ‘buone cause’ ma queste sono buone per me. Ciascuno di noi ha la sua gerarchia dei valori e identifica le ‘buone cause’ con quelle che rispettano tale gerarchia. Sennonché, come ricordava Max Weber citando «il vecchio Mill», il mondo è pieno di dèi e ritenere che noi siamo al servizio degli dei dell’Olimpo mentre i nostri avversari sono al servizio degli dei degli Inferi significa precludersi la comprensione della terribile e ineliminabile complessità del mondo umano. Da humeano incallito, ribadisco: «ciò che è» e «ciò che vale» stanno su piani diversi . Di un tolemaico che oggi negasse il sistema di Copernico e di Galileo diremmo che si pone al di fuori della scienza e della ‘verità’, di un totalitario che vedesse nell’eguaglianza l’ideologia dei deboli e degli schiavi, diremmo che si pone al di fuori della civiltà cristiano-illuministica. Il primo è un demente, il secondo un alieno morale –per noi, beninteso, perché mentre è un «fatto» che la terra gira attorno al sole, l’eguale dignità di tutti gli esseri umani non è un fatto ma qualcosa che auspichiamo.. in molti, almeno. Ultimo rilievo: l’intellettuale liberale ‘mediatore’ era nella mente di Norberto Bobbio, che, da buon azionista, voleva mediare tra Togliatti e Einaudi: non fa assolutamente parte del liberalismo come lo intendo io.
Francesco D’Agostino dice
Dino si nasconde dietro Weber, ma non funziona. La frattura (non la distinzione!) tra fatti e valori è inconsistente: abbiamo il dovere di gerarchizzare con rigorosa obiettività i valori e se qualcuno preferisce un vino artigianale a un Brunello di Montalcino (o una barzelletta sconcia a una battuta di Oscar Wilde) aiutarlo a raffinare il suo gusto (ci si può riuscire, credetemi). Il (vero) razzista non è un alieno morale, ma un paranoico e per un’efficace confutazione del razzismo non basta una generica esaltazione della civiltà “cristiano-illuministica”, ma è necessario uno studio antropologico serio e faticoso. Insomma, il liberalismo (come lo intende Dino) è una scorciatoia del pensiero, psicologicamente nobile, ma teoricamente fragile. Lo dimostra, peraltro, il fatto che il liberalismo (sempre come lo intende Dino) è ahimè in declino….e perde giorno dopo giorno forza di convincimento. O no?