The Great Illusion (1910), di Normann Angell, rappresenta senza dubbio uno dei più grandi successi editoriali dei primi decenni del XX secolo. Tradotto in una ventina di lingue europee ed extraeuropee negli anni immediatamente successivi alla prima edizione, nel libro veniva dato spazio alle ragioni della assoluta antieconomicità per tutti di una eventuale guerra futura, in considerazione dell’incomparabile sviluppo e della forte interdipendenza economica e finanziaria che, a partire dall’ultimo scorcio del XIX secolo, vedeva ora come scenario il mondo intero. Occorreva inoltre considerare le deflagranti conseguenze a ogni livello di una guerra a causa della disponibilità di nuovi armamenti e mezzi di distruzione, del tutto incomparabili con qualsiasi epoca passata.
Di qui la tesi secondo la quale sarebbe stata soltanto una grande illusione da parte dei contemporanei continuare a perpetrare l’idea secondo la quale i paesi vincitori avrebbero potuto ricavare vantaggi da una guerra di conquista: al pari dei vinti essi ne avrebbero subìti pesantissimi e devastanti contraccolpi sotto il profilo politico, economico e sociale, in forza della oggettiva mutua interdipendenza dei vari paesi, ben al di là dei confini degli Stati, sempre più impossibilitati, questi ultimi, a esercitare un controllo sull’economia e sulla finanza, così come su movimenti sociali sempre più in grado di attraversare ogni confine. L’ottimistica prospettiva accarezzata da Angell di un mondo in cui per forza di cose si sarebbe dovuto ben presto imparare a collaborare con urgenza «in favore della pace», doveva rapidamente essere smentita dallo scoppio di lì a poco della più distruttiva di tutte le guerre fino ad allora conosciute e che avrebbe avuto il mondo intero come teatro.
A distanza di più di un secolo, certo non si tratta di riproporre oggi come terreno di confronto fra passato e presente né le cause dell’errata previsione di Angell né i mezzi che egli allora indicava per realizzare forme di concreta collaborazione fra gli Stati. Mutatis mutandis resta invece a mio avviso di grande interesse l’idea-guida che segna come un vero e proprio filo rosso la sua opera e cioè che di fronte a vorticosi processi di trasformazione e di transizione occorra non solo reinventare la politica (individuandone innanzitutto possibili nuovi protagonisti e assetti istituzionali, interni e internazionali ecc.), ma sia necessario ripensare profondamente anche le modalità e le categorie stesse attraverso le quali essa è stata e continua a essere teorizzata. Il «progresso verso una nuova concezione della politica» capace di affrontare le sfide del presente, necessita dunque, stando a quanto Angell non si stanca di sottolineare, di una vera e propria «riforma delle idee», di una «completa revisione dei nostri correnti assiomi politici», dato che oggi gli stessi «assiomi della scienza di Stato moderna» mostrano la loro obsolescenza di fronte alla complessità del presente. Entrambi questi due aspetti, riprogettazione della politica e mutamento di consolidati paradigmi interpretativi, dovevano comunque innescare un processo ad ampio spettro orientato a coinvolgere l’opinione pubblica nel suo complesso, dato che è impensabile, continua Angell, che nell’epoca attuale i governi possano ispirare i loro sistemi politici a concetti e obiettivi che vadano oltre il livello raggiunto dall’opinione pubblica presso i popoli da cui derivano il potere.
Rivisitare e rilanciare oggi le linee di riflessione appena indicate, ivi compreso il riferimento al ruolo determinante di una ben formata opinione pubblica, appare impresa assai difficile, per non dire disperata. Tanto più in un periodo quale quello in cui viviamo in cui la questione del riscaldamento globale e della distruzione dell’ambiente esplodono in tutta la loro gravità e con effetti distruttivi devastanti, prospettando da vicino un imminente punto di non ritorno. Nemmeno la pandemia Covid 19 che da ultimo si è abbattuta sul mondo intero, dando drammatica prova dell’interdipendenza di popoli e paesi, sembra mostrare segni incoraggianti di una politica che, all’interno dei singoli Stati e in ambito internazionale, intenda rinnovarsi in profondità quanto a soggetti e obiettivi. Dal canto suo la «riforma delle idee» (invocata da Angell quale necessario pendant di una politica nuova e idonea a far fronte alle grandi trasformazioni in atto) sembra largamente segnare il passo. E così forse si continuerà come già ieri a coltivare la Grande illusione di poter continuare come prima e come allora la politica lascerà sul campo le sue macerie…
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