Si è tornati a parlare, questa volta con ritardo, di modifica della legge elettorale. Con ritardo perché la riforma della Costituzione, negli articoli riguardanti il numero di deputati e senatori e l’abbassamento a 18 anni dell’età per eleggere i senatori, è ormai in vigore e, in caso di elezioni anticipate, il paese si troverebbe al voto con una legge concepita per un parlamento di ben altre dimensioni.
La direzione che prenderà il dibattito al momento non è chiara. Se la Lega di Salvini chiede al centrodestra un impegno formale contro il proporzionale (anche a costo di andare al voto con la legge attuale), che Forza Italia raccoglie, nel centrosinistra (PD e LeU) e nel Movimento 5 stelle si va invece nella direzione opposta. Non appare ancora chiaro da quale parte penderà l’ago della bilancia, anche a causa delle diverse posizioni presenti all’interno dei singoli partiti, tutti più o meno divisi sul tema del metodo di elezione del prossimo parlamento (e, magari, ma non vogliamo crederci troppo, dei successivi).
Voglio però qui concentrarmi su un aspetto che negli ultimi anni ha visto crescere la propria importanza nel dibattito parlamentare e in quello pubblico: il riequilibrio di genere. Prendo spunto dalle conclusioni del libro appena pubblicato per Egea (Una democrazia dimezzata. Autoselezione, selezione ed elezione delle donne in Italia) per suggerire al legislatore alcuni accorgimenti che possono favorire, senza favoritismi, l’elezione delle donne, convinta che un riequilibrio di genere all’interno del parlamento (meglio se accompagnato da un riequilibrio anche all’interno degli organi e dei ruoli ricoperti dai parlamentari all’interno dell’assemblea) non possa che giovare alla qualità della rappresentanza.
Poiché le donne, in mancanza di una spinta inclusiva da parte degli organi partitici, tendono ad essere più restie a proporre la propria candidatura a causa di fattori culturali e socioeconomici, occorrerà che la nuova legge elettorale ponga maggiore attenzione alla selezione delle candidature, la fase forse più delicata del processo elettorale e anche quella in cui le donne trovano i primi e più resistenti ostacoli all’ingresso nelle arene parlamentari. La nuova legge elettorale dovrà per prima cosa agire sulla selezione delle candidature. Per superare le barriere all’ingresso è necessario promuovere la partecipazione femminile attraverso procedure di selezione inclusive. Ad esempio, si potrebbe incentivare l’utilizzo di elezioni primarie con doppia o tripla preferenza di genere. Le primarie, togliendo alla leadership partitica la decisione finale sulle candidature, permettono ai selettori di selezionare i candidati. Selettori che si sono dimostrati più propensi a promuovere le candidature femminili di quanto non abbiano fatto i partiti.
Sistemi aperti di selezione delle candidature con correttivi di genere possono, seppur con maggiori difficoltà, applicarsi anche a sistemi elettorali che prevedono competizioni uninominali, per esempio imponendo che le candidature alle primarie siano bilanciate. In questi casi, tuttavia, è più difficile prevenire comportamenti strategici dei partiti che, obbligati a presentare una quota minima di candidate, decidono di farlo nei collegi con poche o nulle possibilità di vittoria. L’utilizzo di sistemi maggioritari uninominali può però contribuire a combattere le differenze nelle probabilità di ricandidatura dei parlamentari uscenti: il consenso coltivato nel collegio rafforza la posizione delle parlamentari che divengono portatrici di un rilevante pacchetto di voti che il partito difficilmente vorrà dissipare.
Le quote di genere rappresentano una ovvia scorciatoia per giungere al risultato desiderato (più donne in parlamento). Tuttavia, per quanto utili nella promozione delle candidature femminili, le quote producono risultati inferiori alle aspettative proprio perché concedono ai partiti ampi margini di manovra. Al contrario, come già ricordato, il ricorso al voto degli elettori in elezioni primarie congegnate in modo da smorzare gli svantaggi di partenza pare essere la chiave verso una equa rappresentanza di genere che permetta di superare i millenari ostacoli che tengono le donne fuori dai «giardini segreti della politica» (Gallagher e Marsh 1988).
È tuttavia molto discussa, dal punto di vista normativo, l’imposizione per legge di specifiche modalità di selezione delle candidature, essendo da alcuni ritenuto questo un «dominio riservato» della vita delle organizzazioni partitiche su cui non dovrebbero pesare intrusioni dello stato. In questo caso, una soluzione alternativa potrebbe essere la scelta di un sistema proporzionale di lista con doppia o tripla preferenza di genere. Questo sistema, lasciando agli elettori la decisione finale su chi siederà in Parlamento, spingerebbe i partiti a candidare un congruo numero di donne per evitare che le poche candidate assommino su di sé gran parte delle preferenze riservate all’altro genere. Allo stesso tempo, formerebbe una base parlamentare femminile in grado di far valere i voti guadagnati nella circoscrizione così da portare avanti quelle politiche che sono, alla fine, la ragione per cui ci si preoccupa della non equa rappresentanza femminile in parlamento.
Ferdinando Mach dice
Le primarie di partito sono i cavalli di Troia dei nemici del partito stesso .
Le ‘donne’ non hanno molta voglia di fare politica . Preferiscono lasciarla agli uomini , come il calcio .
Se una donna è brava e competente in politica , non ha alcuna difficoltà a battere gli attuali uomini politici italiani .
Così amano Draghi , che reputano un vero uomo .