Con l’andamento farraginoso tipico delle istituzioni complesse del diritto internazionale, l’OMS ha formalizzato la pandemia da covid 19, nel corso di una conferenza stampa, peraltro criticata per la propalazione dell’immagine dei vertici, presentatisi ai media in un contesto del tutto ignaro delle regole-base della profilassi, come misurare una distanza di sicurezza tra persone nello stesso contesto ambientale.
La dichiarazione dell’emergenza pandemica si motiva con l’aumento esponenziale dei casi di contagio da coronavirus, una numerosità che negli ultimi quindici giorni ha raggiunto, fuori dal territorio cinese, epicentro del focolaio originario, la rilevante lievitazione di 13 volte, con la disseminazione in 90 paesi. Al momento della conferenza stampa (l’11 marzo 2020) del Direttore Generale, l’eritreo Tedros Adhanom Ghebreyesus, si contavano quasi 120.000 persone contagiate e 4350 morti a causa del coronavirus.
La rilevanza dell’allerta e la necessità di giungere all’adozione di misure per impedire l’ulteriore propagazione del contagio in altre regioni, ha spinto all’assunzione, non particolarmente tempestiva, della misura prevista come la più drastica nella scala delle possibilità esercitate dall’OMS nella sua funzione di vigilanza sanitaria[1]. Si tratta della fase sei che prevede la possibilità della trasmissione umana del virus e riconosce che esistono gruppi di persone infette in almeno due regioni delle sei in cui è suddivisa l’organizzazione[2].
Il ruolo dell’agenzia speciale dell’ONU in materia sanitaria «è quello di portare tutti i popoli al più alto grado possibile di sanità», come si legge nell’art. 1 della sua ‘Costituzione’, firmata a New York il 22 luglio del 1946 ed oggi condivisa da 194 Stati membri che hanno «l’obbligo di cooperare in buona fede per favorire il perseguimento degli scopi e degli obiettivi dell’Organizzazione espressi nella sua costituzione»[3].
Il ‘core’ dell’Agenzia delle Nazioni Unite, dunque, si volge alla cooperazione internazionale nel settore della sanità, avendo riguardo, in particolare, alla lotta contro malattie infettive e alla gestione delle emergenze sanitarie globali. L’intervento dell’OMS viene attuato attraverso raccomandazioni, convenzioni e atti internazionali, come il compendio di regolamenti e procedure introdotto dall’International Health Regulations del 1969 per consentire agli Stati membri di procedere all’identificazione delle malattie infettive al fine di poterne limitare la diffusione.[4] Nell’esercizio della sua funzione istituzionale, che è anche quella di fonte ufficiale dei dati sanitari attraverso l’Health Emergency Dashboard, l’OMS deve avere riguardo ai principi vincolanti presenti nella sua Costituzione, molto chiari sul piano del ruolo di garante della corretta informazione sanitaria. È l’art. 2 che al paragrafo g) afferma: «(l’OMS) favorisce qualsiasi informazione, parere e soccorso concernente la sanità», norma che va letta in coordinamento con il paragrafo t) «Uniforma, per quanto necessario, i metodi di diagnosi», con l’intuibile intento di mettere a disposizione gli strumenti diagnostici dimostratisi più efficaci ma anche di rendere il più possibile comparabili i dati sulla morbilità attraverso il loro uso.
Attingiamo, dunque, dalla fonte HED (Health Emergency Dashboard) dell’11 marzo 2020 le informazioni ufficiali relative alla diffusione del coronavirus nel mondo. Alla data si registravano 119.711 contagi, distribuiti in 110 paesi e 4350 morti, pari al 3,63% degli ammalati di covid 19, valore di per sé importante. Del totale dei contagiati, però, ben 80.955 erano nel territorio cinese, dove si registravano 3162 decessi, pari al 3,9 del totale.
L’OMS aveva anche proposto una lettura più analitica, scorporando i dati relativi alla Cina dal resto del mondo: i casi registrati nei 109 paesi colpiti dal coronavirus erano 37.286 con un numero di 1129 decessi, pari al 3,02 dei contagiati. L’attenzione ai dati relativi ai decessi ci porta a valutare i numeri globali all’interno di un range plausibile, che evidenzia un picco di 3,9% in Cina, paese che ha subito il primo e più violento impatto con il coronavirus, sopportando anche il peso dell’enorme numerosità della popolazione, e un 3,6% globale.
Anche scorporando il dato cinese, il valore percentuale rimanente supera il 3%, il che non lascerebbe segnalare particolari anomalie. In questo contesto, invece, appare macroscopicamente anomalo il dato italiano che, nella stessa giornata in cui si è formalizzata da parte dell’OMS la conclamata pandemia, faceva registrare 14.514 tra ammalati e guariti dal covid 19 e ben 827 morti, con una percentuale del tutto fuori misura, pari al 5,7%. Il divario nella contabilità dei decessi balza agli occhi in tutta evidenza e non riesce a trovare motivazioni plausibili.
L’affermazione ricorrente relativa all’invecchiamento della popolazione italiana non regge più di tanto: in Italia gli over 65 sono il 22,8% della popolazione, ma in Giappone (che ha ‘solo’ 581 contagiati e dichiara il 2,7% di decessi) sono il 27%, in Germania (1.908 contagiati e lo 0,16% di decessi) il 21,4% e Francia (2,1 % di decessi) e Inghilterra (1,7% di decessi), tanto per restare nel continente europeo, superano il 19%.
Trascurando per ora di prendere in considerazione una particolare inefficacia delle misure di contenimento adottate dalle autorità italiane, perché non ci è parso che in altri paesi, diversi dalla Cina, siano stati adottati rimedi in termini di profilassi più rigorosi e drastici, e non attribuendo a psicologismi sul «carattere degli italiani portati ad una naturale socialità», resterebbe il motivo della profonda penetrazione diagnostica nell’analisi della diffusione tra la popolazione del coronavirus, attraverso una verifica a tappeto mediante tamponi e di una diversa catalogazione dei decessi da corona virus, con l’inclusione anche di cause derivanti da patologie aggravate dal covid 19 .
La più attenta e rigorosa reazione all’aggressione dell’evento epidemico, che ha comunque rappresentato un comportamento virtuoso da parte dell’autorità italiana, per una perversa eterogenesi dei fini oggi si rivelerebbe un cattivo affare per l’immagine del paese e per la sua reputazione nel mondo, con contraccolpi drammatici sul piano dell’economia nazionale. Di certo c’è un problema che riguarda la gestione dei dati da parte dell’OMS, che continua a propalare informazioni prive della necessaria uniformità dei mezzi diagnostici, in contrasto con la sua stessa Costituzione, con pregiudizio di paesi che possono aver agito con maggiore scrupolo e dei cittadini che hanno il diritto ad una informazione completa e scientificamente attendibile.
[1] Cfr. Piano Pandemico dell’OMS, World Health Organization, 2005
[2]Le aree regionali coprono vaste dimensioni territoriali per lo più a carattere continentale, salvo la distinzione dell’area asiatica in due distinte regioni. La suddivisione prevede: Europa,Africa, Mediterraneo orientale,Sud Est asiatico, Americhe e il Pacifico Occidentale.
[3] Cfr. Parere della Corte Internazionale di Giustizia 20/12/1980, relativo all’interpretazione dell’accordo del 25/3/1951 tra OMS ed Egitto. Nel parere è anche definito il ruolo delle organizzazioni come l’OMS, soggetti di diritto internazionale «vincolati dagli obblighi incombenti su di essi secondo le regole generali del diritto internazionale, secondo le regole generali del diritto internazionale, secondo i loro atti costitutivi o gli accordi internazionali dei quali sono parti».
[4] La pandemia della SARS portò nel 2007 alla riforma dell’International Health Regulations con l’attribuzione all’OMS di più importanti strumenti di azione in materia di controllo della diffusione delle epidemie.
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