Il papato di Francesco ha inaugurato un periodo nuovo nella storia della Chiesa cattolica contemporanea. Il papa argentino, infatti, a differenza del predecessore, ha posto in modo netto il problema di una riforma nella Chiesa, promossa dal Concilio Vaticano II ma mai veramente realizzatasi fino ad oggi, che sia nel contempo una riforma della Chiesa: una riforma, per intenderci, al modo di Lutero.
Ecclesia semper reformanda: questo celebre detto – di cui tra l’altro, nonostante approfondite ricerche, si continua ad ignorare l’origine – accompagna nei fatti la storia della Chiesa, dai tempi della Riforma gregoriana fino ad oggi.
Che cosa sia da intendere esattamente con esso è naturalmente oggetto di discussioni infinite. Ma su una cosa non si può non essere d’accordo. Nella storia della Chiesa ciò ha in genere implicato tre aspetti: la riforma dei costumi, delle dottrine e delle strutture organizzative.
Per quanto concerne il primo punto, esemplificato oggi al meglio (cioè al peggio) dal caso dei preti pedofili, occorre tenere sempre presente che la Chiesa, casta meretrix, è di per sé santa. Non potendo peccare, la riforma dei costumi riguarda, di conseguenza, o i laici o l’inadeguatezza del suo clero.
D’altro canto, proprio il caso dei preti pedofili dimostra come i tre ambiti di possibile riforma non siano dei compartimenti stagni. Per curare un male congenito come questo, secondo un numero crescente di voci occorre riformare in modo drastico sia la dottrina (celibato ecclesiastico) sia la struttura ecclesiastica (aprire ad esempio il ministero sacerdotale alle donne).
Quanto la questione sia delicata ma anche decisiva per quanto concerne l’equilibrio delicato tra preservazione del depositum fidei e inevitabile adattamento ai segni dei tempi è dimostrato in modo lampante dal recentissimo intervento del papa emerito a difesa del celibato ecclesiastico.
Nell’affrontare, dunque, il problema della riforma nella e della Chiesa oggi, bisogna sempre tenere presente sullo sfondo come sia difficile segnare una linea di confine chiara tra suo elemento divino e suo elemento umano (nella cui compresenza consiste in fondo il suo ‘mistero’) e cioè tra la sua essenza immutabile e gli inevitabili adattamenti storici che, però, non possono né debbono intaccarla.
Papa Francesco ha affrontato recentemente questo snodo fondamentale a proposito di una delle più delicate riforme, quella della Curia, nell’importante discorso alla stessa Curia per gli auguri di Natale del 21 dicembre 2019. Egli coglie bene quello che è il problema di fondo: «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca.
Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza». Se si vuole evitare un cambiamento di superficie, gattopardesco («Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»), occorre riprendere l’invito di Giovanni XXIII a discernere i segni dei tempi, ricorrendo a una idea dinamica di tradizione: essa è la garanzia del futuro e non la custodia delle ceneri.
Su questo sfondo, sommariamente accennato, in cui il problema della riforma nella Chiesa costituisce l’inevitabile presupposto di qualunque riforma della Chiesa, tutte le aperture verso il mondo esterno, ad extra, che il Papa ha fatto su temi importanti come l’ecologia integrale, la battaglia contro la cultura dello scarto, il fatto di mettere al centro i migranti e i poveri, l’attenzione nei confronti della donna, per quanto significative, vanno subordinate e lette sullo sfondo del ben più difficile tentativo di riforma interna dell’istituzione che egli fin dall’inizio del suo pontificato ha attivato.
La mia impressione è che qui si giochi la partita più importante, ma anche delicata e difficile, come il compattamento di un fronte di opposizione interno sempre più vociante sembrerebbe confermare.
A mio modo di vedere, il cardine di questo tentativo di riforma sta nel tentativo di coinvolgere tutti i fedeli nella costruzione delle decisioni relative alla vita della Chiesa. Ci sono varie prese di posizione del papa, a cominciare dal problema del sensus fidei (Lumen gentium 12) evocato nell’esortazione apostolica postsinodale Evangelii gaudium, là dove Francesco richiama tutti i fedeli alla comune responsabilità missionaria.
Questo richiamo ha trovato riscontro in alcune pratiche come la nomina di un gruppo di cardinali scelti dai cinque continenti per aiutarlo a pensare una riforma della Chiesa; la convocazione di un’assemblea straordinaria del Sinodo per trattare il tema della famiglia (5-19 ottobre 2014), cui ha fatto seguito un’assemblea ordinaria (4-25 ottobre 2015); la decisione di rendere note le proposizioni approvate dai sinodali con il numero di voti ricevuti; la convocazione di un Sinodo ordinario sempre sul tema della famiglia dopo aver inviato le conclusioni del Sinodo straordinario ai vescovi affinché facessero valutare dai fedeli le medesime conclusioni; la pubblicazione immediata delle proposizioni con i voti ricevuti. Si tratta di un modo concreto per cercare di attuare il principio della collegialità, contro i processi di burocratizzazione e centralizzazione.
In conclusione, solo se tutti i fedeli, pur con processi faticosi, si sentiranno partecipi, si attuerà effettivamente una riforma della Chiesa: una riforma che venga solo dall’alto è destinata a fallire.
Francesco D’AGOSTINO dice
Punti problematici:
1. Una riforma “al modo di Lutero”?
2. Non vedo il nesso tra il problema dei preti pedofili e l’apertura del sacerdozio alle donne.
3. Coinvolgere “tutti” i fedeli nella riforma della Chiesa? Sancta simplicitas! È come sostenere che per parlare davvero di democrazia bisogna coinvolgere “tutti” i cittadini…Per coinvolgere Tommaso apostolo nella fede nella resurrezione non è bastata la testimonianza degli altri dieci apostoli; è stato necessario l’intervento personale di Cristo stesso…
4. Chi l’ha detto che una riforma che venga solo dall’alto sia destinata a fallire? Il Vangelo è venuto “dall’alto”. Una riforma non può che fallire quando non riesce a incarnarsi nella storia.
Dino Cofrancesco dice
Il commento di D’Agostino mi sembra ineccepibile. Se mi è concessa un po’ di ‘filosofia della storia’, ho l’impressione che la Chiesa stia perdendo quella capacità di mediare tra il particolare e l’universale, tra Cesare e Dio, tra le ragioni della politica e gli imperativi della morale che ne aveva assicurato la sopravvivenza nei secoli. Se questa perdita si accompagnasse alla ‘reconquista’ cristiana dell’Occidente avrebbe una sua logica. Se il Pontefice, invece, diventa il cappellano dell’esercito terzomondista, la discesa in campo della Chiesa non servirà certo a portare la ‘pacem in Terris..’