Viviamo nella società dell’immagine. La nascita della rete ha consentito una diffusione delle immagini prima impensabile. E con il digitale le immagini hanno modificato il loro statuto, assumendo caratteristiche distintive nuove. In parallelo si assiste, a livello internazionale, in ambito massmediale e degli studi accademici, a una rinnovata centralità del visivo teorizzata nel quadro dei visual culture studies. In particolare, in area anglo-americana, Mitchell inaugura il concetto di pictorial turn, mentre, in ambito tedesco, Boehm conia l’espressione Ikonische Wende.
Questi studiosi hanno inaugurato un nuovo approccio al visivo che intende capovolgere il paradigma rortyano fondato sul dominio del linguaggio come veicolo principale di conoscenza. Tale svolta ha coinvolto necessariamente anche la rete, spazio in cui le nostre scelte e le nostre azioni riguardano in buona misura anche le immagini. Nella «videosfera» le immagini sembrano essere diventate entità dotate di una agency propria. Generano azioni e reazioni negli osservatori nel mondo on-line e off-line. Si mostrano in tutta la loro potenza e ambiguità comunicativa e interpretativa. Ma soprattutto si tratta di immagini autonome, facilmente manipolabili con comuni software e fortemente performative, con un proprio statuto ontologico. In relazione soprattutto a queste tre caratteristiche del visivo nel cyberspazio, sembrano essere cambiate, di conseguenza, le responsabilità dell’individuo rispetto all’immagine e dell’immagine nei confronti dell’individuo?
Appuntiamo l’attenzione sul secondo aspetto, decisamente più caratterizzante l’emergente contesto mediale. L’immagine è un organismo vivente, un agente responsabile come dichiara Mitchell nel saggio What do Picture Want?
L’immagine può essere pensata ‘responsabile’ solo alla luce di un gioco immaginativo che la ritiene ‘cosa vivente’, che desidera qualcosa e partecipa alla costruzione della realtà. In questo senso l’immagine si assume responsabilità che vanno oltre quelle evocate dal significato etimologico del verbo latino respondeo. Nel digitale il concetto di rispondere a qualche cosa come l’aderenza ad un referente, assume una importanza minore rispetto al passato. Senza radicalizzare tale teoria, si tratta di ipotizzare un nuovo paradigma interpretativo del visivo in rete, non riducibile ai sistemi linguistici né al sistema iconico esclusivo della realtà off-line. Tale paradigma ribalta necessariamente il tradizionale rapporto tra immagine e osservatore.
Come arginare l’autonomia, la mutevolezza e il potere delle immagini di ‘farci fare cose’ on-line e off-line? O, ancora, come avvalersi di tali peculiarità del visivo per un agire consapevole e rispettoso della comunità presente in rete e della società, nel suo complesso?
Una possibile soluzione può consistere in una interpretazione critica dell’immagine, che potremmo chiamare ‘etica’, la quale, al di là della normativa e della deontologia, mira a manifestare autenticamente l’immagine in sé, per comprendere il suo senso e ciò che ‘desidera’ al di là dell’apparenza. Ma anche per capire che cosa comporta la sua presenza e la sua osservazione, anche distratta. E tale interpretazione non può che avvenire per livelli, dal più elementare, che analizza i singoli segni, fino a un livello meta-comunicativo, che produce inferenze e collegamenti extra-iconici. È solo dopo tale tentativo ermeneutico, tipico del resto dei processi comunicativi fondati sul dialogo e sull’intesa, che si può scegliere se accettarne o meno i valori e l’immaginario che l’immagine veicola. Si tratta dunque di cercare di orientarsi al meglio in questa overdose iconica che rischia di portare, altrimenti, una nuova iconoclastia. Ma eliminare definitivamente certe immagini dalla rete non è certo impresa facile.
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