Non è lontano il Primo Maggio che viene indicato come festa del lavoro o anche festa dei lavoratori. Molto a lungo si è assunto con ottime ragioni che il lavoro e i lavoratori si rinviassero l’un l’altro, che l’uno fosse lo specchio dell’altro: non vi era dubbio che il lavoro fosse eseguito dai lavoratori. Oggi la robotica fa del suo meglio per separare persona e lavoro, e per fare del lavoratore il residuo di un tempo che indietreggia nel passato. In futuro potrebbe nascere una società oberata di lavoro manuale, ma senza lavoratori sostituiti dai robot. Ci si domanda che cosa vorrà significare domani la virtù di laboriosità, cantata e esaltata instancabilmente per millenni nei codici morali, libri sacri, sapienza popolare, e segno distintivo di una vita umana riuscita. Racconti e letteratura sono colmi di aforismi e citazioni in cui la vita felice sta in un lavoro che piace e in un amore corrisposto. «Per rendere un uomo felice, riempi le sue mani di lavoro, il suo cuore di affetto, la sua mente con uno scopo, la sua memoria con conoscenze utili, il suo futuro di speranza, e il suo stomaco di cibo» (Frederick E. Crane).
Numerose sono le sedi in cui ci si interroga sul futuro del lavoro umano: 35 anni fa potevamo ancora fare a meno del computer, oggi no; discorso analogo vale per l’iphone che 25 anni fa iniziò la sua corsa sino a diventare ora per tantissimi del tutto indispensabile. Al momento i robot non sono ancora una presenza ingombrante nella nostra vita, tanti però sostengono che tra 15-20 anni lo diventeranno. Spesso si osserva che non accadrà così per l’attività intellettuale, ma intanto taluni (per ora pochi) scienziati inviano loro robot a convegni affinché espongano il loro punto di vista in assenza dell’autore.
Una volta di più il lavoro umano è in questione, ridiventando un nucleo focale delle società attuali e della condizione umana attuale sotto due aspetti: il lavoro come elemento centrale della espressione, maturazione e qualificazione dell’essere umano; e il lavoro come mezzo di sostentamento e di partecipazione alla vita sociale: ma come garantire un lavoro per tutti quando la diminuzione dei posti di lavoro è molto veloce? La robotizzazione del lavoro incide pesantemente su questo punto vitale. Ci si chiede: i robot saranno una minaccia o un’opportunità? Ruberanno i posti di lavoro per cui vi sarà una concorrenza tra uomo e robot, non solo un ausilio del secondo al primo? Ci domandiamo che ne sarà di milioni di lavoratori che saranno espulsi dall’attività lavorativa a mezz’età e di quelli giovani che non troveranno un lavoro. Tra le massime sfide del presente e del futuro prossimo, oltre a quelle ben note della guerra, della crescita delle disuguaglianze globali, dell’aggressione all’ambiente, due se ne sono aggiunte da poco e concernono appunto il futuro del lavoro e l’intromissione sempre più profonda e pericolosa delle tecnologie nella vita biologica dell’io.
Il lavoro umano è di per sé relazionale in quanto comporta un rapporto con l’oggetto materiale che viene elaborato, e una relazione con l’altro lavoratore e la società. Nella società dei robot il lavoro preserva il suo carattere sociale come rapporto con la comunità dei lavoranti, non come relazione tra un essere umano e ‘robot-servo’ che sta ai suoi comandi e che media tra soggetto e natura. Le nozioni di competenza, di professionalità, di abilità manuale si trasformano e quasi perdono senso.
L’impatto della robotizzazione nel mondo globale, dove già adesso le diseguaglianze sociali e di benessere sono immense, sarà molto profondo, senza escludere il ‘primo mondo’, quello dell’Occidente e affini, dove si manifesterà maggiormente la ‘disoccupazione tecnologica’, proveniente dalla quarta rivoluzione industriale (la cd. 4.0). Questo evento fatalmente metterà un numero crescente di persone in una condizione di quasi sudditanza nei confronti di chi manovra le leve dell’economia, finanza, lavoro. Oltre ad una drastica riduzione del bisogno di manodopera, si manifesteranno crescenti differenze tra lavoratori altamente specializzati e lavoratori poco qualificati.
I temi evocati manifestano un impatto antropologico acuto su cui poco si riflette: se il lavoro è espressione determinante della persona e del massimo bene umano cui essa aspira, mutare la struttura stessa del lavoro aprirà grandi sfide per tutti, e per la stessa Dottrina sociale della Chiesa e la sua concezione del lavoro: «Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura» (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 1981). Il soggetto proprio del lavoro e deve rimanere l’essere umano; il lavoro possiede dignità se è e rimane un atto umano. «All’inizio del lavoro umano sta il mistero della creazione»: ciò significa che il lavoro umano non si può ricondurre solo alla sua dimensione economica e che occorre assicurare il suo primato lungo il processo produttivo di vario genere.
Forse non ce ne rendiamo conto, ma il lavoro e l’uomo sono nuovamente al centro della questione sociale, che è ben lungi dall’essersi conclusa: avviata su binari accettabili quella sorta nel XIX secolo tra capitalisti e operai, sta esplodendo una nuova questione sociale, in certo modo quella della superfluità di parte del lavoro umano, di quel lavoro che è fondamentale dimensione dell’esistenza umana e della sua dignità.
Il soggetto lavorante è persona e non un momento strumentale del processo produttivo: in ciò consiste il valore personalistico del lavoro. Che cosa diventerà il diritto al lavoro nelle società ad alta robotizzazione? Diritto al lavoro non è diritto ad un reddito di sussistenza sociale garantito, ad una vita dipendente economicamente da un assegno. Il diritto al lavoro è primo e più centrale del diritto nel lavoro. Per affrontare questi temi antropologici ed etici non ci si può affidare al pregiudizio del progresso e alla mal fondata persuasione che la tecnica ha sempre ragione. Purtroppo l’imperativo tecnico è diventato quello più ascoltato e a cui ci si sottomette senza battere ciglio.
La nuova forma della questione sociale implica comunque una ripresa del conflitto tra capitale e lavoro nella presente fase storica, in cui capitale e finanza possono spingere sulla robotizzazione per incrementare i profitti a danno dei lavoratori in carne ed ossa, deprivati del loro sostentamento. Lo scontro suddetto si presenta in forme insidiose e mascherate, in cui la priorità del lavoro nei confronti del capitale affermata dalla Dottrina sociale della Chiesa – il lavoro come causa efficiente primaria e il capitale come causa strumentale – viene negata.
Il nuovo conflitto che già si profila si aggiunge ad uno tuttora in corso da gran tempo: quello tra capitale e mercato da un lato, e giustizia dall’altro. Esso si concreta in uno squilibrio strutturale consapevolmente perseguito dal mercato capitalistico: comperare le materie prime nei paesi sottosviluppati al prezzo più basso possibile, e vendere i prodotti ottenuti al prezzo più alto possibile.
Con la robotizzazione il dominio incontrastato del mercato capitalistico raggiungerà l’apice, perché relativamente pochi faranno da guida sociale, molti invece faranno da contorno, quel contorno enorme di non-lavoratori, di non possessori del proprio lavoro che saranno tenuti a bada e resi inoffensivi da coloro che posseggono il know how e i mezzi finanziari.
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