Il 14 settembre a Roma e in molte città d’Italia finalmente si torna a scuola. La nostalgia e il desiderio degli studenti, dei docenti e di noi dirigenti scolastici di riempire nuovamente le nostre aule vuote e di riprendere a fare scuola finalmente insieme potrà avere una concretizzazione; così la realtà prenderà il posto dei tanti e variegati desideri, progettualità, istanze, dubbi, diffide, paure collettive con i quali abbiamo convissuto in questi sei mesi di emergenza ad intensità variabile.
Crediamo che questa sia la concreta declinazione del desiderio di rafforzare e prendere nuova coscienza pubblica della vitalità e delle sempre mai abbastanza espresse potenzialità della Scuola, questa entità poliedrica ed inesauribile che è ben più di una istituzione e uno dei due pilastri dello Stato sociale italiano, insieme alla tutela della salute.
Casa comune ci piace chiamarla, forse la missione più importante della Repubblica, tanto difficile da realizzare compiutamente quanto indispensabile per il darsi del vivere in società come cittadini e non come sudditi. Siamo due dirigenti scolastici e abbiamo deciso di redigere insieme questi articoli per Paradoxaforum proprio per dare concretezza alla richiesta di dialogo e di andare oltre il ruolo monadico cui spesso è condannato il dirigente scolastico.
Pur nella diversità che caratterizza le nostre due scuole, un liceo e un istituto comprensivo di Roma, ciascuno con ben più di mille alunni, condividiamo lo stupore e le grandi aspettative per le nostre aule vuote che riprendono vita e il desiderio di narrare succintamente cosa ci ha insegnato questo periodo di emergenza sanitaria che ci ha costretti alla reclusione e alla didattica a distanza.
In primo luogo, nel dialogo preliminare alla redazione di questo primo testo a quattro mani, abbiamo subito convenuto che dopo questi mesi è tutta l’antropologia relazionale sottesa alla didattica che appare modificata, non solo per la lunga esperienza della didattica a distanza. Queste modifiche ineriscono infatti anche al lessico, alle disposizioni personali e collettive, alle attese, ai timori e alla creatività.
Abbiamo preso coscienza, spinti dagli eventi, di come la relazione tra docenti e studenti sia una relazione inesauribile, fondata sulla creatività, sulla generosità, sulla capacità di reinventare e ripensare insieme, prassi mai esaurite. La nostalgia dello stare in classe, a nostro parere, si è concretizzata in questi mesi negli sguardi tra studenti e docenti, interrogativi e reciproci, cercati attraverso gli schermi nel lungo intermezzo della Didattica a Distanza (che per alcune scuole, purtroppo, ancora non si è concluso).
Di certo possiamo affermare che si è modificato il rapporto tra famiglie, studenti e insegnanti. Lontananza e vicinanza sono i due poli di una diade che ha influenzato e continuerà a influenzare l’esperienza scuola, rendendo contigue la paura di perdere e la gioia di fruire di un darsi che non può più essere dato per scontato.
In questo comune desiderio della classe abbiamo preso coscienza di alcune situazioni particolari: non può più in alcun modo essere trascurata da tutti noi l’emergenza endemica rappresentata dalla fragilità degli studenti, una fragilità che possiamo osservare dalle nostre due diverse prospettive legate alle età dei nostri studenti. Una fragilità tanto psichica che fisica, che nel suo declinarsi nei singoli casi accomuna e al tempo stesso distingue la nostra esperienza di conduzione di un Istituto Comprensivo e di una Scuola secondaria di secondo grado.
La fragilità negli studenti più grandi di età ha riguardato di più la loro sfera psicologica, per la mancanza di confronto, di sguardi e di dialogo in presenza. Sui nostri alunni più piccoli ha invece pesato probabilmente di più il lato affettivo, l’assenza dell’incontro quotidiano con il volto della maestra o dell’insegnante, l’attesa di essere riconosciuti e chiamati per nome, il nome proprio su cui tanti filosofi si sono interrogati negli scorsi decenni.
A questo proposito, al di là dei tanti sforzi organizzativi, ci auguriamo che tutti gli insegnanti che amano il proprio lavoro possano adottare dei piccoli accorgimenti relazionali per diminuire la distanza che si può essere creata durante questa lunga assenza (solo come esempio e suggerimento, auspichiamo venga risparmiata ai nostri ragazzi, da parte degli insegnanti, la freddezza dell’uso dei cognomi per interpellarli). C’è bisogno di riscoprire la scuola come casa comune, dicevamo prima, e non c’è casa senza familiarità.
In questi mesi, tutti noi, per lungo tempo, abbiamo avuto paura di allontanarci dagli spazi rassicuranti delle nostre abitazioni; ora, invece, desideriamo uscire per tornare, con una nuova disposizione emotiva, tra i banchi, in una comunità educativa, a Scuola.
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