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Le geometrie variabili dell’Unione Europea in tema di difesa

2 Maggio 2019 di Matteo Bressan Lascia un commento

L’attuale fotografia dell’Unione Europea, alla vigila delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo previste per la fine di maggio, evidenzia un’Unione a 28 forse 27, in caso di uscita del Regno Unito, sempre più disomogenea, dove gruppi più o meno ristretti di Stati membri perseguono obiettivi politici specifici. In molti casi, gli Stati europei optano per alleanze al di fuori del quadro Ue, nel tentativo di creare gruppi di interesse che perseguano un’agenda specifica e possano influenzare quella europea. A testimonianza di questo trend possiamo constatare il rilancio dell’asse franco – tedesco attraverso il Trattato di Aquisgrana, il blocco dei paesi baltici e del nord Europa che si rifanno alla Lega Anseatica per sostenere proposte di riforme della governance politica dell’Unione di chiara impronta liberista e rigorista e il gruppo di Visegrad, che ha costruito la sua azione propositiva in relazione alla crisi migratoria del 2014 – 2016 dovuta in parte all’apertura della rotta balcanica. Proprio l’iniziativa franco-tedesca sancita con la firma, lo scorso 22 gennaio, del Trattato di Aquisgrana potrebbe imprimere un cambio di passo senza precedenti al futuro dell’Unione Europea. Il percorso a due, intrapreso da Francia e Germania in tema di politica estera, politica industriale e specificatamente nel comporto della difesa e sicurezza, così come le riunioni del parlamento franco – tedesco, fanno comprendere quanto i due paesi stiano cercando di imprimere un’accelerazione decisionale non limitata all’iniziativa bilaterale in oggetto, ma con possibili ricadute su tutti gli altri paesi. Se poi al processo di Aquisgrana andiamo ad abbinare l’istituzione, dal 2021 al 2027, di un fondo per la difesa con dotazione di 13 miliardi di euro, così come il manifesto franco-tedesco per modificare le norme ormai superate della concorrenza industriale e favorire il rafforzamento dei ‘campioni’ industriali e tecnologici europei nel campo dell’innovazione, dell’intelligenza artificiale e Information Technology, possiamo comprendere quanto il futuro dell’Europa passi attraverso l’integrazione e l’implementazione dell’industria europea (Redazione ANSA, Industria UE, Manifesto franco-tedesco, 19 febbraio 2019 ). Un’industria che, alla luce del contesto internazionale caratterizzato dal disimpegno statunitense in Europa, dalle incognite della Brexit e dalla sfida rappresentata dalla Cina in campo tecnologico, sarà obbligata a fare un salto in avanti in termini di armonizzazione e capacità proprio nel campo della difesa e della sicurezza. Se l’Europa riuscirà a superare quelle contrapposizioni, quali l’atteggiamento avuto dalla Francia sul progetto di fusione Fincantieri-STX, che avrebbe conseguito l’obiettivo di creare il più grande gruppo europeo nella cantieristica civile, l’Unione Europea potrebbe essere in grado di fare quel passo in avanti in campo industriale che sino ad oggi non le ha consentito di competere, anche a causa di norme non più al passo coi tempi, con India e Cina [NdA cfr F. Nelli Feroci, Rapporti da riequilibrare. L’esempio francese, Formiche, marzo 2019]. 

Più difficile da definire risulta essere la posizione dei paesi del gruppo di Visegrad rispetto a questi dossier. Per i paesi ex comunisti dell’Europa dell’Est e, in particolar modo, i 4 del gruppo di Visegrad, risulta particolarmente sgradito constatare che all’influenza di Mosca si sia in parte sostituita una certa centralizzazione di poteri nelle mani di Bruxelles [NdA V.E. Parsi, Non sottovalutiamo il V4, Formiche, novembre 2018]. La coalizione di Visegrad, nota anche come V4 (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), è stata fondata nel 1991 e si proponeva di divenire un polo di aggregazione per gli Stati dell’Europa centrale ex-comunisti e una piattaforma per la definizione di politiche comuni da adottare in vista di una futura adesione all’Unione Europea. La diffidenza iniziale di questi paesi verso la Russia, in passato elemento di coesione, è oggi sostituita da orientamenti divergenti che vanno dagli ottimi rapporti di Orban con Putin, alla Polonia che considera la Russia come fonte di preoccupazioni, conservando un orientamento filo americano assimilabile a quello dei Paesi baltici. I paesi del V4 inoltre, hanno aderito al 16 + 1, il gruppo formato da Cina e 16 Paesi dell’Europa centro orientale e hanno stretti legami economici con la Germania. Se rispetto ad alcuni dossier, come le relazioni con la Russia, i paesi del V4 continuano ad avere posizioni differenti, sul tema migratorio i paesi del V4 sono stati capaci, in questi anni, di costruire una fitta rete di interessi comuni tanto da creare gruppi d’interesse, all’interno delle istituzioni europee, rifiutando l’afflusso massiccio di immigrati irregolari in Europa [NdA F. Frattini, Il nuovo volto dell’Europa passa da qui, Formiche, novembre 2018]. I paesi del V4 hanno inoltre dimostrato di muoversi con un’agenda comune anche su altri dossier, quali le politiche energetiche e di difesa dove gli Stati del V4 incoraggiano un rafforzamento della cooperazione europea [NdA S. Gallai e S. Janik, Un brand cementato sulle migrazioni, Formiche, novembre 2018].

Diverso è infine l’approccio tra i paesi del V4 e i tre paesi baltici, che hanno guidato il fronte delle sanzioni alla Russia, secondo la tesi che solo attraverso una politica di grande fermezza è possibile arrestare le minacce revisioniste di Mosca. Dopo una fase di avvicinamento tra la NATO e la Russia, culminata con il vertice di Pratica di Mare del 2002, le crisi in Georgia ed Ucraina hanno determinato un punto di svolta, tanto che Polonia e Paesi baltici sono riusciti (vertice NATO di Varsavia del 2016 e di Bruxelles del 2018) ad ottenere una presenza di forze militari degli alleati sul loro territorio [NdA A. Minuto Rizzo, Una partita di influenza tra la Russia e i satelliti, Formiche, novembre 2018]. Un quadro d’insieme che confermerebbe quanto la logica delle geometrie variabili per il perseguimento delle singole agende nazionali, più che l’appartenenza alle famiglie dei partiti europei, sembri guidare, in attesa dell’esito delle prossime elezioni europee, il futuro dell’Europa.

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