Le assenze dei liberali di destra, titola l’editoriale del «Corriere della Sera» del 23 febbraio. Poi, l’autore, Francesco Verderami, si dedica ai conflitti e alle distanze che intercorrono soprattutto fra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, fra quel che resta, pochino, di Forza Italia e la Lega per l’Indipendenza della Padania. Ho scritto per esteso il nome della Lega poiché, curiosamente, da ‘indipendentista’ vuole diventare, sulla scia di Marine LePen (bell’esempio di federalista), ‘sovranista’. Come faccia Verderami a pensare che c’è qualcosa di liberale in questi due tronconi e nella loro eventuale coalizione di governo è un mistero. Meno misterioso è il fatto che il «Corriere della Sera» ha condotto una campagna intensissima a favore del ‘sì’ per il referendum-plebiscito renziano su riforme costituzionali che con il liberalismo non avevano proprio nulla a che vedere. Certamente, non era liberale la clausola di supremazia, non dello Stato, ma del governo, sulle regioni. Meno che mai era liberale l’idea che bisognasse, peraltro, in maniera surrettizia, potenziare il governo a tutto scapito del Parlamento dimezzato. Semmai, il liberale si preoccuperebbe dei limiti da porre all’azione del governo, dei controlli da esercitare nei suoi confronti, della chiara distinzione fra la sfera del governo, quella del Parlamento e quella della Magistratura (oh, Montesquieu…). Il liberale si preoccuperebbe anche, alla John Stuart Mill, di dare rappresentanza politica ai cittadini, non di stravolgere quella rappresentanza con un premio di maggioranza. Infine, il liberale sarebbe molto interessato alle condizioni che consentono alla società di essere autonoma dallo Stato e, ogniqualvolta necessario, di esprimersi in maniera robusta e incisiva attraverso la pluralità dei suoi gruppi.
La disintermediazione renziana, mai criticata dal «Corriere», è quasi esattamente l’opposto dell’elogio di Tocqueville (non riesco a trattenermi: chi era costui?) di una società nella quale quando c’è un problema i cittadini si organizzano, senza venire né ostacolati né svantaggiati dalle autorità e dal governo, per risolvere i problemi. Poiché, poi, il mercato concorrenziale proprio non esiste in natura, in un sistema politico liberale, con buona pace di Alesina e Giavazzi (La sinistra senza merito, «Corriere della Sera» 22 febbraio 2017, p. 1 e p. 34) i quali cercano di dimostrare di essersi buttati (copyright di Totò) a sinistra, le regole della concorrenza bisogna scriverle, meglio se le fanno un Parlamento eletto dai cittadini e un governo scaturito e fiduciato, eventualmente, ‘rimpastato’ e sostituito, da quel Parlamento. Il liberismo non è liberalismo che, invece, è costituzionalismo, separazione e controllo reciproco fra le istituzioni, società pluralista e vibrante.
«Paradoxa» e chi scrive hanno le carte in regola per criticare tutti coloro che pensano che un duopolista, i secessionisti, gli ex-fascisti possano rappresentare in qualche modo il pensiero liberale in Italia. È sufficiente rimandare agli articoli contenuti nel fascicolo intitolato Liberali, davvero! (Gennaio/Marzo 2012). Purtroppo, in Italia le voci effettivamente liberali si esprimono quasi esclusivamente nella rivista online «Critica Liberale» che, coerentemente e naturalmente, ha fatto la sua battaglia per il ‘no’ al referendum-plebiscito e che, altrettanto naturalmente, ospita con regolarità anche quel poco che resta del socialismo liberale da queste parti. Che «Critica Liberale» sia diretta da un giornalista che lavorò al «Corriere» fino a una ventina d’anni fa è soltanto una chiosa, però, molto significativa e apprezzabile.
Antonio De Rose dice
Secondo Alesina e Giavazzi il Jobs Act sarebbe una svolta, di mercato e di sinistra. I due economisti sostengono, contro ogni evidenza, che le aziende non assumevano perché non erano libere di licenziare. Ma non ci spiegano la relazione inversa tra regolamentazione del mercato e occupazione. Il Corriere divulga idee semplicistiche che, dopo aver avuto tanta fortuna negli ultimi anni, si sono rivelate errate. Certi editorialisti non dovrebbero pagare dazio? Ne va del prestigio della testata.
Dino Cofrancesco dice
L’Autore poteva citare, assieme a’Critica Liberale’, ‘MicroMega’, e– perché no? –anche ‘Il Manifesto’.. In fondo, il suo conterraneo Augusto Monti, gobettiano doc, scriveva negli anni cinquanta che il liberalismo del XX secolo è la lunga marcia di Mao Tse Tung…