Gli ultimi sviluppi delle vicende europee consegnano al governo giallo-verde esiti apparentemente positivi. Lo sembra certo la decisione della Commissione Ue di non dare seguito alla procedura di infrazione per debito eccessivo. Potrebbe poi esserlo anche il risultato del processo che ha portato alle nomine delle principali cariche dell’Unione europea. L’opposizione alla nomina del socialista olandese Timmermans alla presidenza della Commissione Ue, orchestrata dal governo italiano con quelli dei paesi di Visegrad, avrebbe infatti avuto l’effetto di ‘costringere’ Francia e Germania a ritirare il loro primo pacchetto di nomine e di confrontarsi con tutti gli altri governi per scegliere una nuova lista di nomi.
Tale esito è certamente positivo dal punto di vista del metodo. Il suo significato è però opposto per gli interessi, oggettivi o dichiarati, del governo giallo-verde. La nomina di Ursula Von der Leyen alla Presidenza della Commissione Ue ha affossato l’embrionale processo di parlamentarizzazione dell’Ue, faticosamente avviato dai partiti europei attraverso la nomina di Spitzenkandidaten e mai amato dai capi di governo dei paesi più forti, Macron e Merkel in primis. Questo esito non può far piacere a quelle forze, come dichiaratamente sarebbero i nostri due partiti di governo, che auspicano una democratizzazione della Ue.
La proposta iniziale a favore della candidatura Timmermans era chiaramente un diversivo. Tolto di mezzo, grazie agli undici stati dissidenti, Italia compresa, lo scomodo socialista olandese, e insieme a lui l’ultima speranza dei partiti europei di poter limitare il potere degli stati membri sulla nomina del Presidente della Commissione, Merkel e Macron hanno avuto buon gioco nel far approvare le nomine alle quali sicuramente tenevano, Ursula Von der Leyen alla Commissione e Christine Lagarde alla BCE, assicurandosi anche di mantenere e perfino consolidare la distribuzione partitica tra PPE, PSE e ALDE dei nominativi scelti per le cariche in gioco. L’asse Parigi-Berlino appare quindi, almeno per il momento e a dispetto dei nostri governanti, forte come non mai.
Prima delle elezioni europee, Salvini e Di Maio avevano più volte dichiarato che il voto europeo avrebbe cambiato l’Ue. Evidentemente ciò non è stato. È invece cambiata la situazione dell’Italia. In passato il nostro paese è sempre stato ben posizionato in ambedue i circuiti istituzionali della Ue: in quello sovranazionale, attraverso una forte presenza dei governi nei principali partiti europei all’interno del Parlamento; e in quello intergovernativo, dove il nostro status di membro fondatore della Ue e il nostro europeismo ci hanno spesso consentito di esercitare una qualche influenza.
L’Italia del governo giallo-verde si trova fuori delle coalizioni maggioritarie in ambedue i circuiti, una situazione che alla lunga potrebbe avere conseguenze negative e capaci di vanificare i successi apparentemente riportati. La procedura d’infrazione, adesso evitata non solo per la bontà dei conti presentati dall’Italia ma anche per la volontà della Commissione di calmare le acque in un momento politico molto delicato, potrebbe scattare il prossimo anno quando le minacce salviniane di ‘bloccare le nomine Ue’ non varranno più. L’atteggiamento del nostro governo, non solo rispetto alla gestione dei conti interni ma anche nei confronti degli altri stati membri, avrà una grande importanza nel determinare i prossimi giudizi europei sul suo operato.
Anche la possibile concessione di un portafoglio economico al futuro commissario italiano sarà profondamente condizionata dalla nostra capacità di proporre una candidatura capace di ottenere l’approvazione del Parlamento Europeo, dove sicuramente l’attenzione sarà a livelli di massima allerta, e, da quella del futuro commissario di rapportarsi positivamente all’interno della Commissione con gli altri colleghi. Questo varrà a maggior ragione se il portafoglio in questione dovesse essere la concorrenza, politica per la quale i margini di discrezionalità decisionale sono praticamente inesistenti. In questo caso, un commissario isolato non avrebbe alcun potere significativo nell’ambito delle proprie competenze formali e non potrebbe esercitare influenza in altre aree politiche attraverso il processo di decisione collegiale della Commissione, essendone ai margini.
Occorre quindi che il governo agisca per far uscire il nostro paese dall’irrilevanza nella quale lo costringono le due coalizioni di cui fa parte. Se per il circuito sovranazionale la situazione non può essere facilmente modificata sul piano formale, data la collocazione della Lega in un gruppo politico euroscettico e, almeno per il momento, quella del di M5S tra i non-iscritti, qualcosa è forse possibile fare riavvicinare l’Italia al nucleo dei paesi membri fondatori dell’Unione anche attraverso l’adozione di un atteggiamento più ‘politico’ nel Parlamento. I segnali che provengono da Bruxelles, ma anche da Parigi e Berlino, sono abbastanza chiari e dimostrano una chiara volontà di incentivare il ritorno del nostro paese a posizioni più abituali.
Tra le decisioni che ci riguardano direttamente, oltre all’accantonamento della procedura di infrazione e alla promessa del portafoglio economico della commissione, ce n’è una che appare particolarmente emblematica. È quella presentata all’Italia dai partiti europei: l’elezione di un italiano, David Sassoli, alla Presidenza del Parlamento europeo, neanche ipotizzabile solo pochi giorni fa. L’elezione di Sassoli si può considerare un incentivo per il nostro paese e un’opportunità per fargli riacquisire rilevanza nel circuito sovranazionale, ma anche una chiara indicazione di quello che l’Europa può fare all’Italia anche a dispetto del nostro governo, le cui reazioni, soprattutto quella di Matteo Salvini, sono state infatti estremamente negative.
Migliorare i rapporti con gli stati membri più influenti e con il Parlamento presieduto da un italiano, ancorché appartenente a una parte politica avversa, pare però non solo desiderabile, ma addirittura necessario per il nostro governo. Gli ostacoli che dovrà affrontare a breve, come la nomina del commissario da parte del Consiglio europeo e poi la sua approvazione da parte del Parlamento, potranno essere superati facilmente soltanto rinunciando a contrapposizioni intransigenti con i nostri interlocutori. Il nostro governo non può rischiare l’umiliazione di una ricusazione del commissario proposto né di veder vanificati i successi, che sono ancora sub judice, ottenuti fino ad ora.
Purtroppo, la preoccupazione dominante dei due partiti di governo, in questo come in quasi tutti gli altri campi della politica, non è di scegliere una linea utile per il paese ma di impedire gli uni agli altri di ottenere un qualsiasi vantaggio nel gradimento virtuale dei cittadini espresso settimanalmente nei sondaggi. Ma l’Europa può essere per Lega e M5S il miglior punto di partenza per assumere un atteggiamento più cooperativo e responsabile. Dopo tutto, se i leader dei due partiti volessero rinunciare alle spesso pretestuose denunce di immaginari complotti europei a danno dell’Italia (non ce n’è proprio bisogno – è l’Italia che si danneggia da sola) la salienza di eventuali prese di posizione più compromissorie da parte del governo in carica si collocherebbe ai livelli, bassi, di un passato non lontano e non influirebbe sull’andamento dei sondaggi che settimanalmente indirizzano la nostra politica. L’altro governo, quello dell’Italia, ne trarrebbe sicuramente giovamento.
Ferdinando Mach dice
Peggio della Mogherini impossibile .
Attendiamo senza ansia che cosa ne scaturisce .
Lagarde e von der Leyen potrebbero riuscire dove gli uomini pseudo talentuosi hanno fallito