Esiste nell’ordinamento parlamentare italiano, e dunque nella scena politica nazionale, un soggetto – discuteremo più avanti sul lemma più adeguato per meglio definirlo – che ha i caratteri della perennità e della necessità e si chiama «Gruppo Misto». Il Gruppo Misto rappresenta, infatti, un ircocervo di difficile interpretazione se riguardato dal punto di vista del cittadino che si pone con pazienza all’ascolto dei ‘pastoni’ televisivi del servizio pubblico per capirne qualcosa, spesso ritraendosi con qualche delusione.
Un ircocervo che è sempre esistito e sempre esisterà, almeno fino a quando non cambieranno i regolamenti parlamentari che lo fanno nascere, e che lo hanno reso coevo a Gruppi che prendevano il nome di partiti non più esistenti, come la DC e il PCI, agli albori della Repubblica, così come a quelli odierni di Lega-Salvini Premier e del Movimento Cinque Stelle, in piena epifania della ‘Terza Repubblica’.
Perché, quale che possa essere l’opzione, tra le diverse messe in campo sulla natura giuridica del Gruppo parlamentare, da una dottrina mai totalmente concorde su una visione condivisa, non c’è dubbio che ci troviamo di fronte ad una realtà istituzionale che racconta della politica italiana molto più di ciò che la tassonomia un po’ burocratica dei regolamenti di Camera e Senato possono dichiarare.
Epperò se è vero che il lungo dibattito accademico su ciò che debba intendersi per Gruppo parlamentare pare acquietarsi nel ridotto un po’ generico di «proiezione del partito politico nell’organo costituzionale», accettando, un gradino più sotto, la definizione formalistica restituita dai regolamenti parlamentari di «associazione», è vero pure che il Gruppo Misto si presenterebbe come l’eccezione lampante a queste ipotesi di catalogazione. Perché i parlamentari che vanno a formare il Misto non denunciano un «idem sentire» politico, tipico dei Gruppi partoriti dalle liste dello stesso partito, né sono proiettati verso uno stesso destino parlamentare con una scelta di appartenenza che va dichiarata individualmente entro pochi giorni dalla prima seduta (due per deputati, art. 14 Reg. Cam. e tre per i senatori, art. 14 Reg. Sen.).
Il Gruppo Misto nasce, dunque, come ‘residuale’, un prodotto dei Regolamenti che, stabilendo una soglia minima per la formazione dei Gruppi (20 deputati in un ramo del Parlamento, ex art. 14 comma 1 Reg. Camera, e 10 nell’altro, ex art. 14 comma 4 Reg.Sen.), obbligano i gruppi di parlamentari ‘sotto soglia’, ma anche i singoli indipendenti e coloro i quali non abbiano fatto alcuna opzione di appartenenza, a militare nel Gruppo Misto (art.14 comma 4 Reg. Cam. e art. 14 comma 4 Reg.Sen).
In tutta evidenza non esiste, in questo speciale strumento dell’espressività parlamentare, peculiare all’esperienza italiana e spagnola, ma non molto familiare presso altre democrazie parlamentari, una scelta politica che tenga insieme i deputati o i senatori in una forma associativa e, tanto meno, in una comunità politica. Va detto, peraltro, che la previsione della presenza di un Gruppo parlamentare, seppur composto con un carattere eminentemente ‘tecnico’ e non politico, è apparsa nel corso del tempo un presidio importante a garanzia delle minoranze (in passato soprattutto linguistiche) e a tutela delle prerogative di ogni parlamentare, in un’assemblea in cui vige una necessaria regola proporzionale che disciplina la presenza nelle Commissioni, la rappresentanza negli organismi che presiedono al funzionamento delle Camere (ad esempio l’ufficio di Presidenza), la Conferenza dei Presidenti di Gruppo eccetera.
Sta di fatto, però, che le trasformazioni della scena politica nazionale hanno concorso a stingere il carattere di neutralità tecnica e residuale del Misto, conferendo un inedito profilo di attore della scena parlamentare, a cominciare dalla numerosità dei suoi componenti, che ha svolto un ruolo di interessante rilevatore delle criticità della politica. Infatti, man mano che le fragilità della forma-partito abbandonavano la forma fisiologica per esondare in quella patologica, il Gruppo Misto tendeva a dilatarsi fino a diventare una componente dell’Assemblea parlamentare che ha raggiunto la dimensione pari al 15% del totale dei deputati, diventando il terzo Gruppo in assoluto.
Può apparire illuminante l’analisi della numerosità del Misto alla Camera, assemblea in cui il fenomeno è apparso più evidente. Infatti, la consistenza fisiologica ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica, quando i partiti politici mostravano una capacità di ‘tenuta’ ancora efficace, variava dall’1 al 2,5% del totale dei deputati, raccogliendo le adesioni degli eletti nelle liste delle minoranze linguistiche e di qualche indipendente, mentre l’impennata si registra a partire dalle prime legislature dopo la riforma elettorale che introdusse il maggioritario.
Se prendiamo in considerazione le ultime dieci legislature, a partire dalla IX (1983-1987) fino all’attuale XVIII, la scansione appare evidente. Il Gruppo Misto ha fatto registrare, pertanto: 8 iscritti nella IX legislatura, 16 nella X (’87-’92), 21 nella XI (’92-‘94,che segnò il tramonto della Prima Repubblica), 36 nella XII (1994-96, che siglò l’avvento della Seconda, con la vittoria di Berlusconi), 94 nella XIII (‘96-2001. All’avvio della legislatura gli iscritti al Misto erano solo 26, ma lo sgretolamento dei Gruppi tradizionali provocò l’adesione in massa al Misto), 49 nella XIV (2001-2006),83 nella XV (2006-2008), 71 nella XVI (2008-2013), 62 nella XVII (2013-2018). Nell’attuale XVIII Legislatura, che ha preso avvio il 23 marzo del 2018, gli iscritti al Gruppo Misto sono già 50, a metà percorso.
La crescita smisurata del Gruppo Misto è, dunque, causa di una patologia della politica? O piuttosto l’effetto di una politica che ha smarrito il suo destino con l’uscita di scena della forma-partito? L’impianto cesaristico che regna oggi nelle formazioni politiche, che sono per lo più solo declinazioni del ‘partito personale’, ben assistito, peraltro, da leggi elettorali a liste bloccate (che mettono nelle mani del leader i destini dell’intera rappresentanza parlamentare), chiaramente influisce – in assenza di una regolazione giuridica coerente con l’art. 49 Cost. – a diffondere la patologia.
E non è detto, allora, che il Gruppo Misto rappresenti sempre una via di fuga che il parlamentare imbocca per ragioni vili, perché probabilmente l’uscita dal Gruppo originario potrebbe rappresentare l’unica scelta di libertà in mancanza di strumenti di democrazia interna ai partiti, o a ciò che oggi ancora continuiamo a chiamare così.
In conclusione: forse non siamo ancora alla vigilia della presentazione di liste del «Gruppo Misto» alle elezioni politiche nazionali. Certamente, però, la crescita esponenziale del Gruppo dei ‘senza partito’ nel Parlamento italiano è figlia, non causa, dell’anomalia di partiti politici in grave difficoltà e privi di una disciplina che ne detti le regole democratiche interne. Fintanto che non ci sarà, il Regolamento delle Camere continuerà ad offrire col Gruppo Misto anche un presidio di democrazia.
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