Idee e dati da un’indagine di sfondo sui Festival culturali presentati il 10 maggio 2019, in occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino
Dobbiamo guardare alla cultura come al tempo in cui un mondo nuovo può fondare una diversa capacità di felicità individuale finalmente non polemica con il patto sociale. È altrettanto innovativo il bisogno di eventi e contenitori nuovi che si evidenzia in alcune dimensioni della contemporaneità accomunate dallo stare insieme sotto la spinta di precisi bisogni simbolici vissuti in comune: pensiamo ai Festival della letteratura, della filosofia, dell’economia e via dicendo. Ma anche ai grandi raduni live per condividere, con impressionante cessione di sovranità individuale, i suoni e la musica; o a quel ribollire di iniziative collettive che chiamiamo genericamente eventi, che sembrano porsi come sfuocate, ma non per questo meno attendibili, foto dei moderni con gli altri, senza dimenticare le nuove e sorprendenti disposizioni a ‘cose buone’ che ci sono sempre state come musei, libri e lettura, beni culturali o la scoperta dell’esperienza del paesaggio. È nuovo e trasversale il bisogno di cultura ed è difficile definire tutto questo come un successo anticiclico. La cultura è riconosciuta come un bene rifugio che riduce la percezione della crisi.
Ecco perché ragionare sui festival significa parlare di buone notizie. È anche la prima volta, da tanti anni, che il concetto di ‘successo’ (anche economico) non implica estraneità con quello di ‘cultura’, ma c’è di più: ‘cultura’ funziona meglio se si accompagna a un sostantivo che ne esalta gli aspetti positivi e di aggregazione, come del resto ci racconta la parola ‘festival’ che deriva dall’aggettivo latino festivalis, che rimanda a festivus (proprio di una festa, divertente e piacevole), e a festivitas che significava originariamente gioia, cortesia, gentilezza. Il Festival ha dunque una natura celebrativa, è un evento collettivo in cui gli individui sono invitati a fare parte di uno spazio sociale. È anche questa una rottura del paradigma della cultura intesa come appannaggio di pochi o, peggio ancora, della cultura come noia, accademia, elitismo, avviando una logica di conciliazione delle differenze.
È per queste buone ragioni che stiamo illustrando la vicenda dei festival culturali, connotati anzitutto da una geografia discretamente equidistribuita a livello nazionale, ma anche da una composizione generazionale abbastanza stratificata, che coinvolge l’interesse di giovani e adulti. La prima spiegazione è semplice: il bisogno di identità è invariante a livello ecologico e generazionale e allora poco importa che alcuni di questi appuntamenti non siano propriamente culturali. Decisivo si rivela il progetto di socializzazione e di sollecitazione di comportamenti che, in passato, venivano giudicati prerogativa di fasce sociali superiori e comunque ristrette.
I festival comportano di fatto una chiara forma di democratizzazione culturale, esprimono un indiscutibile bisogno di ritorno alla vita pubblica, di uscita dall’individualismo e dall’isolamento, di scoperta degli altri in quanto ‘riconoscimento di bisogni comuni’.
Riassumendo sbrigativamente gli attributi dei festival, si possono richiamare parole/slogan: più sapere, ma legato al fare e al saper fare. Più processi di interpretazione, ma di testi diversi da quelli messi in vetrina dall’industria culturale; più riconoscimento ultraindividuale ‘tra pari’ e, in una parola, più ambientazione collettiva. Siamo in presenza di una programmazione culturale di fatto, in cui la sintonia non protocollare dei protagonisti e dei progettisti ha costruito un vero e proprio facilitatore di comportamenti più complessi, capace per esempio di diversificare l’economia dell’attenzione dei giovani, troppo spesso compulsivamente dedita solo a navigazioni solitarie mascherate dalla condivisione tecnologica.
I festival si configurano come sperimentazione di autentiche forme di spazio pubblico: nuove agorà che funzionano da distributori sociali di appartenenza e dunque di capitalizzazione della felicità tratta dalle relazioni. Un raro caso in cui la tradizione diventa festa, per di più contrapponendosi alle troppe facili metafore del declino.
Dino Cofrancesco dice
Mi piacerebbe condividere l’entusiasmo di Mario Morcellini ma il realismo scettico degli antichi e dei moderni ha guastato la mia anima. «La cultura è riconosciuta come un bene rifugio che riduce la percezione della crisi»? Direi piuttosto : è una gratificazione simbolica che compensa quei connazionali spiazzati dal ‘nuovo che avanza’—lo si chiami populismo, sovranismo, nazionalismo. Sono gli stessi che intervengono, su Radio 3, a ‘Prima Pagina’ e che recano le stimmate del buonismo (cattolico e di sinistra). I festival che conosco—a partire da quello a me più vicino, il Festival della Comunicazione di Camogli—sono una chiamata a raccolta degli esponenti del ‘partito unico’(con qualche spruzzata di pluralismo grazie all’invito rivolto a qualche intellettuale di destra, purché antioccidentalista e antimercatista). Per andare in controcorrente, l’Associazione Culturale Isaiah Berlin, da me fondata e diretta, ha istituito a Santa Margherita Ligure il Festival della Politica, dedicato quest’anno (20/21/22 agosto) al tema ‘Democrazia e comunicazione’. Sicuramente non avremo i riflettori dei grandi giornali, di radio e tv puntati addosso ma altrettanto sicuramente metteremo a confronto studiosi di destra e di sinistra al di fuori di ogni retorica e di ogni ipocrita embrassons-nous. Forse è per questo che l’invito rivolto l’anno scorso a qualche teopompo della scienze politiche non è stato degnato neppure di una risposta
Mario Morcellini dice
Caro Dino ( almeno fino alla tua replica),
piacerebbe anche a me che tu condividessi il mio ragionato entusiasmo per i Festival Culturali ma, come dici tu, il “realismo scettico degli antichi e dei moderni ha guastato la mia anima”. Se questo è un processo irreversibile, posso solo dirti che l’entusiasmo è come il manzoniano coraggio: chi non ce l’ha non se lo può dare. A fronte comunque del tuo posizionamento, e se posso scegliere, mille volte meglio le “stimmate del buonismo (cattolico e di sinistra)”.
Quanto ad altre osservazioni polemiche posso solo dirti che so bene che ci sono anche manifestazioni ispirate a un pensiero o a un partito unico. Quando vedrai il testo più avanzato della ricerca, ti accorgerai che non c’è nessuna indulgenza per scelte di parte, e neppure per il nuovo che avanza. Solo dati e una analisi sistematica. Mi stupisce che tu possa aver pensato qualcosa di diverso. Osserverò comunque attentamente i testi che mi hai mandato.
Buon fine settimana
Mario Morcellini