[*L’articolo è stato scritto dall’Autore insieme a Simone Mulargia]
Il nostro paese ha attraversato una lunga fase storica in cui è stato possibile osservare un parallelismo tra miglioramento complessivo delle condizioni materiali e sociali e aumento del benessere culturale e comunicativo delle persone. Il raggiungimento di standard materiali sempre più accettabili (e impensabili almeno negli anni del dopoguerra) è andato di pari passo con un allargamento delle opportunità di accrescimento culturale e comunicativo. Un circolo virtuoso tra società italiana, benessere economico e beni immateriali talmente significativo da dover essere ‘difeso’ persino negli anni Ottanta, quando alcune distorsioni del sistema comunicativo lasciavano intravvedere segnali di rottura del patto tra individui e società. In virtù di una mentalità sociale ereditata in tempi di maggiori ristrettezze, infatti, gli anni del benessere erano ancora normativamente dedicati, almeno a livello delle microeconomie familiari, all’investimento nei confronti delle giovani generazioni.
Un sentimento esteso di fiducia, solo per fare un esempio, dava forma e sostanza ai percorsi di formazione dei giovani, nella convinzione che l’impegno nel miglioramento personale avrebbe condotto in futuro a scenari di inserimento soddisfacente all’interno dei meccanismi della società. Basterebbe una rilettura dei dati relativi al progressivo exploit della dimensione comunicativa per descrivere quel clima di euforia che, sino a una certa fase storica, ha saputo tenere assieme non solo le diverse generazioni, ma l’intera struttura delle relazioni tra soggetto e società.
Eppure, proprio negli stessi anni, e a maggior ragione rispetto al trionfo della comunicazione, emergeva un effetto collaterale che non abbiamo tempestivamente compreso e interpretato. Un cambiamento radicale nei meccanismi di trasmissione delle norme e dei valori di una società, di quelle famose regole del gioco che non prescrivono il risultato finale dell’incontro, ma assicurano che tutti i partecipanti condivideranno il senso collettivo del loro agire. Ecco perché oggi, a distanza di anni, occorre avere il coraggio di volgere la nostra attenzione verso un interrogativo brusco, ma quanto mai necessario, tematizzando le ragioni per cui non comprendiamo fino in fondo la disintermediazione.
In questa ammissione di difficoltà a leggere il cambiamento c’è tutta l’amarezza nei confronti di un’intera comunità scientifica, quelli degli studiosi delle scienze politiche, sociologiche e della comunicazione che avrebbero dovuto essere in prima linea per impostare criticamente una vertenza complessiva sulla tenuta della società italiana, e invece hanno preferito volgere lo sguardo altrove nei confronti del nuovo che avanzava, quando non diventarne cantori sin troppo integrati.
La forza che erode i meccanismi di collegamento tra il singolo e la società è talmente dirompente da far sentire i suoi effetti in tutti quegli ambiti in cui il corpo sociale era riuscito in passato a costruire un galateo minimo dei rapporti tra l’io e il noi socialmente inteso. Ecco perché lo tsunami della disintermediazione ha sferzato le istituzioni della formazione, del lavoro, i rapporti tra le generazioni e quella particolare sfera della società che ha il compito di tradurre le istanze del singolo in progetti complessivi di orientamento di un paese. Proprio in virtù di questi ragionamenti, e limitando l’analisi ad alcuni profili di attualità italiana, per questo forum è matura una riflessione su alcune dimensioni della partecipazione politica, con un focus specifico di attenzione dedicato al Movimento Cinque Stelle: un vero e proprio laboratorio entro cui osservare le opportunità e le contraddizioni delle nuove grammatiche della comunicazione politica.
Il primo elemento sintomatico del ragionamento sino a qui condotto è la difficoltà che gli osservatori professionali della vicenda politica hanno manifestato nel prevedere prima e comprendere poi l’affermazione politica del Movimento. Un classico esempio di come la tendenza a tarare i meccanismi previsionali all’interno della propria comfort zone intellettuale faccia assumere agli studiosi italiani un atteggiamento snobistico nei confronti dei soggetti sociali che si affacciano per la prima volta alla ribalta della scena. Come ho già avuto modo di argomentare altrove, infatti, «è mancata sistematicamente agli osservatori la capacità di comprensione di quanto stava avvenendo nel continente giovanile in termini di vera e propria secessione dall’offerta politica data. Più in generale, lo studio del nuovo movimento non ha colto le dimensioni aurorali tipiche del cambiamento statu nascenti, a cui è stato applicato uno schema cognitivo fondato sull’esistente. Non si è colto soprattutto che ricondurre tutto ai termini della politica precedente finiva per far smarrire velocemente i bisogni di riconoscimento fondati letteralmente contro il sistema e il linguaggio politico disponibili. La fortuna del Movimento Cinque Stelle è invece scritta nei termini sociologici e comunicativi della crisi italiana (Prefazione. Non desiderare la comunicazione d’altri, in M. Morcellini, M.P. Faggiano, S. Nobile (a cura di) Dinamica Capitale. Traiettorie di ricerca sulle amministrative 2016, Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna 2016).
E proprio dal punto di vista comunicativo si possono mettere in luce due questioni solo apparentemente contrapposte, cruciali per inquadrare la forza innovativa e insieme le contraddizioni che caratterizzano il Movimento fondato da Beppe Grillo, e possono essere preziose per interpretare in maniera meno impressionistica il futuro prossimo che ci attende: le relazioni pericolose tra mutazioni dell’offerta politica, forme di narrazione del mainstream televisivo e nuove geometrie comunicative che danno forma a un’idea di rete tutt’altro che orizzontale e alimentata dal basso.
La società italiana è alla disperata ricerca di un nuovo vocabolario espressivo in grado di dar voce a quei soggetti sociali (pensiamo, in primis, ai giovani) letteralmente marginalizzati dall’agenda politica e lasciati quasi del tutto soli di fronte al ridimensionamento delle aspettative di benessere sociale causato dalla crisi. Il Movimento Cinque Stelle è stato in grado di costruire e dare un senso a queste parole nuove, e in questo ha funzionato come elemento di oggettivo arricchimento della scena politica non fosse altro per la capacità di strappare numeri consistenti di italiani dalle zone grigie dell’astensionismo. È, certamente, un insieme di parole d’ordine ampiamente formattato sugli stili della rivendicazione e della protesta, nei confronti di un’alterità istituzionale (la casta, così cara alla narrazione del Movimento) percepita come distante e dedita al malaffare. Da questo punto di vista il Movimento, al di là della facile retorica di una genesi e di uno sviluppo che affondano nei territori ugualitari della rete, ha saputo costruire un’alleanza opportunistica proprio con le forme della rappresentazione sociale veicolate dal mainstream televisivo. Quel continuo racconto delle storture e dei mali italiani, spesso sovradimensionato rispetto alle reali proporzioni materiali delle questioni, che appesantisce da anni il dibattito giornalistico italiano. Un costante lavorio di delegittimazione delle istituzioni che, ben lontano dal rigore e dall’impegno civile della migliore inchiesta giornalistica, ha costruito vere e proprie caricature del male, implicitamente utili a funzionare da sfondo per l’appeal simbolico della disintermediazione, l’idea che il singolo sia in grado di risolvere i problemi della quotidianità da solo, diffidando delle istituzioni corrotte e dei tempi lunghi della partecipazione organizzata. Da questo punto di vista, questo consenso immediato costruito sulla rabbia per il malaffare, rischia di essere un dono avvelenato che la comunicazione ha fatto al Movimento Cinque Stelle (e alle altre forze che in futuro sapranno pescare da questo bacino di sofferenza e malcontento) nel momento in cui, smesse le vesti degli oppositori, sarà necessario impegnarsi nella quotidianità delle scelte di governo, rischiando per paradosso di diventare protagonisti della stessa narrazione tossica che li ha eletti a possibile farmaco della crisi.
La seconda dimensione di analisi riguarda la comunicazione in rete: uno dei territori in cui si mostra con più evidenza la forza dei processi di disintermediazione, secondo una direzione di sviluppo che non riguarda il solo Movimento Cinque Stelle. Alcune recenti tendenze della comunicazione politica digitale, infatti, costringono a una repentina messa in discussione di quella retorica della rete che la dipinge come ambiente comunicativo orizzontale e democratico, in grado di dare voce e diritto di tribuna ad ogni singolo soggetto sociale connesso, senza neanche la necessità di dover frequentare gli stanchi cerimoniali della partecipazione tradizionale. Già nel recente passato, infatti, la rassicurante convinzione che internet funzionasse come meccanismo riparatore nei confronti delle storture del sistema dei media tradizionali si era infranta di fronte al perdurare delle disparità tra i soggetti in termini di accesso alla rete e di possesso delle competenze tecniche e sociali necessarie a un utilizzo davvero virtuoso dei media digitali. Anche per quanto riguarda il crescente ricorso a stili di relazione improntati all’aggressività, al facile ricorso agli stereotipi per insultare i diversi da noi, e a vere e proprie forme di hate speech, la rete ha mostrato da tempo il suo lato oscuro, mettendo in discussione l’automatismo tecno-entusiasta più rete uguale più democrazia.
Ma è nei termini più rigorosi dei meccanismi di funzionamento delle strutture dei nodi connessi e delle funzioni opache di selezione e evidenziazione dei contenuti messe in campo dagli algoritmi che la bella promessa della rete aperta, libera e democratica, mostra tutta la sua fallacia teorica. Per comprendere il significato di queste procedure, occorre avere un po’ di familiarità con alcuni concetti, solo all’apparenza tecnici. Il primo riguarda la composizione dei network. Da un punto di vista strettamente strutturale, infatti, ogni singolo nodo della rete possiede una forza espressiva che è funzione del numero di connessioni che lo lega agli altri nodi. Un grappolo di nodi di rete fortemente interconnessi tra loro, dunque, diventa più significativo della semplice somma dei nodi stessi. La costruzione di questi legami può avvenire spontaneamente sulla base di una vicinanza di contenuti, ma può essere artificialmente costruita per aumentare l’impatto dei messaggi che si desidera veicolare. Il secondo attiene invece agli strumenti che utilizziamo (più o meno consapevolmente) per selezionare i contenuti. Restringendo il campo di osservazione al solo Facebook (il social network site più frequentato in Italia), possiamo dire che la piattaforma compie delle scelte rispetto ai contenuti che ci vengono proposti, preferendo quelli che, in linea di principio, sono già vicini ai nostri orientamenti. A ciò si aggiunge che ognuno di noi tende a costruire legami online seguendo le regole dell’omofilia, preferendo cioè i contatti con cui condividiamo idee e punti di vista. La combinazione di questi elementi all’apparenza freddi e tecnicistici è già oggi alla base delle più riuscite campagne di comunicazione online attraverso i social media. Messaggi costruiti per aumentare la probabilità della loro diffusione virale, spesso ricorrendo a forme estreme di semplificazione quando non di vera e propria disinformazione, scambiati all’interno di network fortemente interconnessi tra loro e tendenti alla conferma delle opinioni più che all’apertura al dibattito. L’esatto contrario dell’agorà virtuale che avrebbe dovuto salvare i destini della democrazia occidentale e un vero e proprio paradosso in termini di rapporti di forza tra consumatori e produttori di informazione. Lo strumento che più di altri avrebbe dovuto condurre alla disintermediazione ha solo spazzato via la desiderabilità sociale della funzione di mediazione, lasciando i soggetti soli e indifesi di fronte a nuove e più raffinate forme di potenziale manipolazione dei contenuti.
Andrea Melodia dice
Ottima analisi. Ora serve ragionare su terapie e prognosi.