La guerra russo-ucraina ha portato molti a utilizzare la categoria Occidente, che sarebbe una comunità superiore rispetto alle nazioni che ne fanno parte, perché è la civiltà che le sussume. Così qualsiasi critica all’imperativo «Difendere l’Ucraina a tutti i costi, sconfiggere la Russia» è bollata come anti-democratica, anti-liberale e anti-occidentale.
Dalla fine del XX secolo le dinamiche della politica tra le nazioni e dello scontro delle civiltà s’intrecciano in modo talvolta inestricabile. La Politics among Nations veniva presentata da H. Morgenthau come la lotta per il potere nell’arena internazionale, dove gli stati (perché questo intende Morgenthau con Nations) cercano di mantenere il loro potere (politiche dello status quo), di aumentarlo (politica imperialista), oppure di esibirlo (politica di prestigio). Il lascito delle Guerre Mondiali del XX secolo era stato l’equilibrio bipolare, che opponeva l’impero americano a quello sovietico e svolgeva una duplice funzione di prevenzione e controllo del conflitto tra gli stati-nazione. Limitava il conflitto tra gli stati all’interno di ciascun blocco e i contatti tra stati appartenenti a blocchi diversi. Ma senza i freni dell’equilibrio bipolare, le nazioni e i popoli entrano in contatto diretto tra loro. Si pensi ai flussi migratori, prima controllati ora non più, oppure ai mercati globalizzati dalla finanza internazionale.
Così la politica tra le nazioni appare oggi un Clash of Civilizations, uno scontro delle civiltà, come l’ha chiamato S.P. Huntington. Citando Erodoto, Huntington individua nel sangue, nella lingua, nella religione e nel modo di vita gli elementi formali che definiscono le civiltà (la sinica, la giapponese, l’indù, l’islamica, l’occidentale, la latinoamericana e l’africana). Huntington sostiene che le civiltà possono scontrarsi a livello locale (conflitti di faglia), oppure a livello globale (conflitti tra stati guida). Nel primo caso, osserviamo conflitti tra stati limitrofi appartenenti a civiltà opposte, come si suppone oggi nella guerra russo-ucraina, e tra civiltà entro una stessa nazione, come nel caso della guerra civile jugoslava di decenni fa. Nel secondo caso, abbiamo conflitti tra gli stati guida delle varie civiltà. Comunque la si giri, dunque, lo stato-nazione resta una pedina fondamentale anche nel Clash of Civilizations globale, perché questo viene sempre ridotto a uno scontro tra stati e invariabilmente riproduce la logica della politica tra le nazioni o tra le comunità politiche di base.
Può darsi che al livello globale, come Huntington scrive, la politica sia ora basata sul concetto di civiltà, nel senso di Erodoto. Ma si tratta essenzialmente di una percezione, di un elemento simbolico (non per questo trascurabile, anzi) della Politics among Nations. Questa percezione o simbolismo pone una serie di problemi e due in particolare: Cosa è Occidente? Esiste un interesse dell’Occidente?
Provo a dare risposte sintetiche a questi due interrogativi, perché le considerazioni svolte le implicano già. Occidente è un concetto vago e allusivo, qualcosa che si presta molto allo ‘stiracchiamento’ del quale parlava Giovanni Sartori nelle sue lezioni di metodo. Per esempio, Franco Cardini in un suo celebre e poderoso lavoro sulle origini della cavalleria occidentale e cristiana si spinge alla loro ricerca fino alle piane dell’Asia centrale.
Del resto, nei termini di Erodoto ripresi da Huntington, se una civiltà è data da legami di sangue, lingua, religione e dal modo di vita, sarà sempre facile trovare presso qualsiasi comunità elementi che ci paiono famigliari o rassicuranti e muovere quella comunità – prima estranea – entro la nostra civiltà, se questo ci fa comodo. Oppure, un’altra strategia inclusiva può consistere nel celare a noi stessi differenze di fondo (religiose, di lingua), per sottolineare invece i tratti condivisibili (il modo di vita, i legami di sangue, le tradizioni culturali). Fondare una civiltà è un esercizio mitopoietico e l’inclusione di una comunità in una civiltà è una scelta valoriale, politica, non è un fatto. Possiamo dunque rispondere pirandellianamente che l’Occidente è Uno, Nessuno e Centomila.
In secondo luogo, un interesse specifico dell’Occidente non esiste. Non può esistere perché, come argomentato, i conflitti sono sempre tra stati e le classi politiche che li guidano. L’interesse di una comunità o di uno stato non è – anche qui – un fatto oggettivo in sé da associare all’azione di quella comunità o di quello stato. Quell’interesse altro non è se non ciò che la classe politica di quella comunità o stato ha deciso che sia. Oggi, nel conflitto russo-ucraino, quale sia l’interesse occidentale lo hanno stabilito gli stati guida, per essere espliciti lo ha stabilito la potenza degli Stati Uniti d’America. Non vi è allora alcuna ragione che spinga a ritenere la mancata condivisione dell’interesse di uno o più stati guida un’abiura dei valori che si assumono come fondanti di una civiltà. Non sposare la ragione di potenza di uno o più stati guida della ‘nostra civiltà’ non significa non amare i valori di libertà, uguaglianza, democrazia che la fondano.
Giuseppe Lo Verde dice
D’accordo con quanto dice, prof, vorrei però lanciare una provocazione: va bene che la fondazione concettuale di una civiltà è un atto politico, valoriale, ma come si spiega ad esempio il fatto che si tende a migrare di più verso i territori facenti parte geograficamente e politicamente del cosiddetto “occidente”? Come mai non si realizza il fenomeno inverso (persone che decidono ad esempio di emigrare, che so, dalla Svezia o dalla Germania verso la Russia o verso la Bielorussia o la Cina? Visto poi che si è parlato di Unione Sovietica, considerata un modello da parte dei socialcomunisti occidentali nel periodo della Guerra Fredda, come mai detti personaggi si son guardati bene dal trasferirsi definitivamente nei territori del Patto di Varsavia? Vuoi vedere che alla fine, vivere in uno degli Stati del cosiddetto “occidente” (a cui aggiungerei anche altre realtà che socialmente, politicamente ed economicamente presentano delle forti affinità con esso come ad esempio Giappone o Australia) sia sempre e comunque preferibile rispetto a vivere in uno degli Stati al di fuori di esso? Vuoi vedere che il compianto Berlinguer non aveva poi tutti i torti nel preferire l’ombrello della Nato?
Giuseppe IERACI dice
Ma scusi, nisciuno è fesso. Si va dove si sta meglio, dove politiche e servizi sono migliori.
Ma questo cosa ha a che fare con le civiltà? Assolutamente nulla.
Giuseppe Lo Verde dice
Mi scusi, quindi avere un sistema di welfare di un certo livello o un contesto in cui le libertà fondamentali sono riconosciute e rispettate non c’entra nulla con la civiltà? Allora quando si parla di misure come la tortura o si denuncia il mancato rispetto di determinate minoranze definendo ciò non degno di un Paese “civile” è puro esercizio retorico?
Dino Cofrancesco dice
Condivido, come si suol dire, anche le virgole. Ieraci ha abbattuto il muro della retorica eretto nei grandi organi di (dis)informazione e non solo del nostro paese. Il ritorno al ‘realismo politico’ è salutare oggi che il Diritto e la Morale sembrano aver preso il posto della politica.