È arrivata l’ora dell’ombudsman. Ripresento la mia candidatura at large, vale a dire per qualsiasi, no, non proprio tutti, quotidiano che mi desideri. Certo, leggerli dalla prima all’ultima pagina è un lavoraccio. Mi attendo, dunque, una proposta adeguata di compenso. Lasciamo che continui il dibattito sulle fake news e sulle manipolazioni, anche sul ruolo degli influencer. Ma diamo ai quotidiani italiani un sano difensore civico dei lettori.
Sono almeno più di vent’anni che tutti i lunedì, la seconda pagina del «New York Times» riporta in bella evidenza, scusandosi, gli errori commessi nel corso della settimana, segnalati loro dai lettori, ma anche scoperti attraverso altre modalità. Qui mi limiterò ad alcuni pochi esempi tratti dal «Corriere della Sera» dell’ultima settimana.
Non direi niente su Shönberg senza ‘c’ in bella evidenza nel titolo di un articolo sulla sua musica, se non fosse che nel supplemento «7» del 14 maggio c’è un elogio a «Quei correttori umanisti e acuti che hanno salvato tanti di noi». L’articolo pubblicato il 9 aprile 1990 lo si deve alla penna di Gaetano Afeltra, indicato come vice direttore del Corriere fra il 1962 e il 1963, poi collaboratore dal 1983 alla sua morte nel 2005. Viene in questo modo passata sotto silenzio la sua lunga (1972-1980) direzione de «il Giorno», fase da ritenersi assolutamente importante, anche perché su quelle pagine avvenne il mio esordio come opinionista da lui invitato nel 1977 (e subito criticato da Emanuele Macaluso, allora direttore de «l’Unità»).
Il «Corriere» ha intrapreso una vasta attività di pubblicazioni in molti settori. Fra le sue ‘firme di spicco’ figurano collaboratori che scrivono molto spesso e di tutto, che amano fregiarsi del titolo di storici. Fra le iniziative recenti c’è una storia della Repubblica italiana a puntate, pubblicata nel supplemento del sabato «Io, donna», che i solutori più che abili possono scovare una volta sfogliate le tantissime pagine di pubblicità (sento irrefrenabile il bisogno di aggiungere l’aggettivo ‘patinata’). Le fotografie dominano sulle parole per raccontare la Repubblica italiana.
Nella quarta puntata (8 maggio 2021), dedicata agli anni ’80, a p. 82, sotto il titolo, già discutibile, LA PRIMA REPUBBLICA viene annunciata la foto: Bettino Craxi in Piazza del Duomo, prima del terremoto di Mani Pulite, Milano, 1980.
Non ho ancora visto la Seconda Repubblica, e non è solo un problema mio. Un noto giornalista si è da tempo messo avanti con il lavoro e pubblica regolarmente i suoi interventi con il titolo Terza Repubblica. Chi mi conosce sa che da tempo ho espresso e motivato la mia preferenza per la Quinta Repubblica, ma il problema è un altro, duplice.
La Repubbliche cambiano quando si danno istituzioni diverse e una nuova Costituzione. Nulla di tutto questo è avvenuto in Italia, nonostante tentativi deplorevoli bocciati due volte dall’elettorato, 2006 e 2016. Quindi, in assenza di una Seconda, Terza, Quinta Repubblica, l’Italia ha una sola Repubblica, che non è necessario definire Prima. Anzi, è sbagliato farlo. Ma il distico che accompagna la foto di Craxi è sostanzialmente, tremendamente manipolatorio, non so se debbo dire anche sottilmente, perché mi pare invece grossolanamente tale. Mani Pulite arrivò dodici anni dopo quella foto. A quei tempi non era prevedibile, ma, soprattutto, non è accettabile suggerire una stretta, tout court, identificazione di Craxi con Mani Pulite.
Poi, certo, lamentiamo pure l’ignoranza degli elettori italiani, non escludendo in nessuno modo i lettori del Corriere ai quali il loro giornalone offre splendidi esempi di refusi, di cancellazioni, di manipolazioni. Faccio persino fatica a dire che ciascun paese ha la stampa che si merita. Ma, forse, il Corriere conferma che «così è, se vi pare».
Dino Cofrancesco dice
“Nella quarta puntata (8 maggio 2021), dedicata agli anni ’80, a p. 82, sotto il titolo, già discutibile, LA PRIMA REPUBBLICA viene annunciata la foto: Bettino Craxi in Piazza del Duomo, prima del terremoto di Mani Pulite, Milano, 1980” scrive Pasquino. Che commenta: “Ma il distico che accompagna la foto di Craxi è sostanzialmente, tremendamente manipolatorio, non so se debbo dire anche sottilmente, perché mi pare invece grossolanamente tale. Mani Pulite arrivò dodici anni dopo quella foto ||che infatti dice ‘prima del terremoto’|| A quei tempi non era prevedibile, ma, soprattutto, non è accettabile suggerire una stretta, tout court, identificazione di Craxi con Mani Pulite”.
A quei tempi, sì, ma oggi il discorso è diverso. Craxi e ‘Mani Pulite saranno sempre associati nel ricordo della minaccia di Antonio Di Pietro: “io quello lo sfascio!”. La più alta coscienza etica e giuridica della Prima Repubblica mantenne la parola.