È vero, riconosciamolo senza ambiguità: nessun codice deontologico, neppure quello dei medici, vieta che una prestazione professionale, ovunque essa sia prestata, possa e debba essere retribuita, e dunque che alcuni virologi accettino dei compensi per ospitate nei talk show non è, non può essere criticata dal punto di vista della deontologia. La domanda, tuttavia, è un’altra: quella che si svolge sotto i riflettori e a favore di camera, cos’è? Qual è la sua natura?
Pubblicando nel 1967 il suo monumentale lavoro su La società dello spettacolo, Guy Debord identifica lo spettacolo come «l’inversione della vita». Ecco, secondo me il punto è proprio questo. Nella vita, il medico è un medico: un professionista della pratica di cura. Ma nello spettacolo, cos’è un medico? Ha ragione il filosofo francese: lo spettacolo impone sempre e comunque le sue regole, e la vita inverte i ruoli, mischia le carte, spiazza la realtà. Ancora Debord: «la realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale», e dunque il medico è attore, al pari degli altri personaggi sul palcoscenico, ma in questa trasfigurazione debordiana si smarrisce il senso e la stessa presenza della pratica di cura che è alla base della legittimazione sociale di una professione che si interseca inestricabilmente con la vita e la morte, la salute e la malattia.
Le regole dell’attorialità sono ferree. Lo spettacolo è una merce, deve trovare il suo pubblico e soddisfarne le aspettative. In The Truman Show, il film del 1998 diretto da Peter Weir, questa logica trova la sua epifania in una rappresentazione vojeuristica che, nella fuga finale del protagonista Jim Carey dalla bolla della sua vita artificiale, svela allo spettatore quanto le logiche dello spettacolo governino la vita degli esseri umani. Il medico che accetta le regole dello show business, ed i suoi compensi più o meno lauti, non va giudicato in quanto medico: è un performer, agisce su un palcoscenico, sa di dover conquistare il suo pubblico. Deve blandirlo, soggiogarlo, ammaliarlo, stupirlo. Può fare molto, ma sa di non poter mai, per nessuna ragione, fosse anche il rispetto di un suo intimo – e quello si professionale – convincimento scientifico, deludere questo pubblico. Dunque la sua performance entra in relazione diretta con le mutevoli correnti dell’opinione pubblica e con gli ondeggiamenti dell’audience. Spetterà al medico/attore trovare il punto di mediazione che ritiene accettabile tra deontologia e palcoscenico, tra la fama e la visibilità televisive, spesso ahimé assai volatili, e il giuramento di Ippocrate.
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