Non ce la raccontiamo. Nei referendum vince chi ottiene più voti. Tutto il resto sono favole, pardon, narrazioni, infondate, anzi, sfondate. Poi, è giusto tornare alla definizione della situazione e del quesito. Già, gli elettori, spesso, valutano anche il quesito. Sembra, quindi, davvero bizzarro sostenere che moltissimi elettori del NO non abbiano avuto come motivazione prevalente, non necessariamente esclusiva, quella di bocciare le riforme brutte e un tantino pericolose, perché concentranti, più o meno surrettiziamente, potere nelle mani dell’esecutivo. Quando poi il capo di quell’esecutivo personalizzava al massimo la sua prolungatissima (alla faccia della riduzione dei costi della politica) campagna referendaria portandola più volte nell’arena del plebiscitarismo, ovvio che moltissimi elettori abbiano deciso di votare contro il plebiscitante per mandarlo a casa.
Il primo dato interessante e, in un certo senso, decisivo viene dall’analisi del voto per fasce d’età. Il governo giovanilistico è stato bocciato dall’81 per cento degli under 34 e sostenuto dal 53 per cento degli over 55 che, forse, sperano di ingraziarselo e di evitare la rottamazione. La verità è, piuttosto, che gli anziani temono l’instabilità politica più dei giovani i quali, probabilmente, hanno pensato che un governo inadeguato, fatto di promesse senza prestazioni, dovesse essere sostituito senza rimpianti.
L’assenza di prestazioni atte a cambiare la loro situazione deve essere state motivante in praticamente tutte le aree del Sud, ad esempio, in Campania: 69 per cento NO; 31 per cento SI’, ossia un esito molto difforme da quello nazionale: 59 e qualcosa NO contro 40 e qualcosa per il SI’ . Evidentemente il governatore De Luca e i suoi seguaci non sono riusciti a reperire abbastanza fritture di pesce da offrire ai loro attuali e potenziali “clienti”. Non vorrei spingermi fino a sostenere, anche se mi piacerebbe, che questo referendum costituzionale potrebbe segnalare l’inizio della fine delle politiche clientelari. Temo, infatti, che, non soltanto in Campania, quei comportamenti facciano la loro ricomparsa nelle prossime elezioni politiche (in attesa di conoscere la nuova legge elettorale).
Quasi sicuramente l’interpretazione del voto più balorda e più partigiana (quella di un partigiano “cattivo” per ricorrere all’indimenticabile distinzione formulata dalla Ministro Boschi) è stata fornita dal sottosegretario Luca Lotti, renzianissmo della prima ora (all’ultima lo aspetteremo). Il Partito Democratico può ripartire dal 40 per cento come se i voti al SI’ fossero stati dati tutti a Renzi ovvero, meglio, al PD di Renzi (PdR). Senza tralasciare che questa interpretazione è una conferma inconsapevole del carattere plebiscitario dato da Renzi alla consultazione referendaria, i dati dicono che quel 40 per cento di voti hanno una provenienza almeno in parte di centro-destra (metà dell’elettorato dell’NCD, più del 20 per cento di Forza Italia, circa il 10 per cento di Lega e Fratelli d’Italia), sostanzialmente elettori che, come ho scritto sopra, hanno deciso di votare le riforme per timore di un effetto negativo sul governo (di cui fanno parte l’NCD e, informalmente, i verdini ani) e timorosi di eventuali gravi conseguenze economiche, naturalmente allarmisticamente esagerate, che non ci sono state. Insomma, il Partito Democratico continua a stare dov’è da parecchio tempo, intorno al 30 per cento o poco più.
Seguendo, da parte mia, molto malvolentieri, i nient’affatto pii, ma deliberatamente manipolatori, desideri di Lotti, il PD non dovrebbe in nessun modo assecondare coloro che, a cominciare da Napolitano (uno dei grandi sconfitti del referendum),vorrebbero cambiare l’Italicum scarnificandolo del premio di maggioranza. Quell’ottima legge elettorale che, secondo il (ex-)Presidente del Consiglio, tutta l’Europa c’invidia e mezza Europa imiterà, verrà invece modificata, se non addirittura cestinata. Al 40 per cento più uno il PD da solo non c’arriva proprio e il ballottaggio con le Cinque Stelle, che hanno portato al NO quasi tutto il loro elettorato, salvo marginalissime defezioni, continua a essere rischiosissimo. E’ difficile, e quasi sicuramente sbagliato, immaginare che il voto politico rifletterà il voto referendario. Altri protagonisti, altre tematiche, altre circostanze: faremmo un gravissimo torto democratico all’elettorato italiano se pensassimo che non valuta la posta in gioco. Il 4 dicembre ha saputo farlo, molto bene, affluendo alle urne con intenzione e convinzione. La vittoria è sua.
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