La crisi sanitaria attuale non è come una guerra. Nel dopoguerra le spese straordinarie vengono meno e la crescita e l’inflazione abbassano il peso del debito pubblico. Nel contesto attuale, le spese sanitarie non verranno meno (riorganizzazione del SSN, invecchiamento conclamato della popolazione, ecc.), l’inflazione non è alle porte e l’attività economica privata non avrà sufficiente linfa propria per ripartire (lo stanno a dimostrare venti anni di lenta crescita). Quest’ultima dovrà, quindi, essere sostenuta dal bilancio pubblico, ma, nel nostro caso, abbiamo alle spalle un debito pubblico pari al 135% del Pil.
Lo sforzo che il bilancio pubblico sta facendo e farà nel corso del 2020 non ha precedenti: il disavanzo pubblico passerà dall’1,6% del Pil del 2019 a valori attorno al 10% e il rapporto debito pubblico/Pil arriverà al 156% (così il DEF).
In termini assoluti, il disavanzo pubblico sarà nel 2020 di circa 175/180 miliardi di euro da ottenere emettendo titoli di debito; ma non finisce qui, nel corso di quest’anno devono essere rimborsati con nuovo debito 357 miliardi di titoli pubblici in scadenza. Di questi, 190 si è impegnata la Bce ad acquistarli sul mercato una volta emessi (solidarietà trascurabile?).
Il Tesoro italiano dovrà quindi collocare presso investitori privati i 180 circa per coprire il disavanzo e i 167 residui per rinnovare il debito in scadenza, in totale circa 350: una parte a sei mesi o un anno (Bot), ma il resto, circa 200 miliardi, con titoli a lunga scadenza (Btp) in concorrenza con molti altri governi alla ricerca di fondi.
Il nostro paese non è l’unico in Europa a vedere peggiorare così drasticamente il disavanzo pubblico. Due esempi non europei: Stati Uniti e Regno Unito, i cui disavanzi cresceranno verso il 15% del Pil. Anche se le rispettive Banche Centrali interverranno con acquisti massicci di titoli, l’offerta di titoli pubblici al risparmio privato mondiale rimarrà molto elevata e quest’ultimo preferirà quelli emessi dai governi ritenuti più affidabili. Dato l’elevato debito pregresso, il nostro paese non è certo al primo posto.
Detto tutto ciò e data l’elevata instabilità dei nostri assetti politici che incide sulla affidabilità prospettica di cui sopra, dovrebbe essere chiaro perché abbiamo così bisogno di trovare canali di finanziamento fuori mercato ulteriori rispetto ai consistenti acquisti già programmati dalla Bce.
Da qui la necessità di aiuti dall’Europa. Diversi provvedimenti sono stati messi in cantiere sia in termini sovranazionali (Commissione Europea), sia in termini intergovernativi (Consiglio Europeo): trasferimenti nel primo caso, prestiti nel secondo. Nel caso dei prestiti, questo sarebbe debito fuori mercato, a tassi di interesse inferiori e per scadenze pluridecennali.
Il canale intergovernativo offerto è il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), utilizzato nella fattispecie precauzionale, senza considerare la riforma prevista e non ancora approvata che l’anno scorso ne ha fatto un totem da abbattere. La disponibilità immediata sarebbe di 210 miliardi di euro di possibili prestiti (37 miliardi per l’Italia) derogando dalle regole vigenti, richiedendo solamente che i fondi siano spesi per finalità connesse alla sanità.
Da trattare la durata del prestito, che sarebbe opportuno avesse un orizzonte di trent’anni e un tasso di interesse tra lo 0,5 e l’uno per cento. Nonostante non sia ora in discussione la riforma del Mes, il totem è stato ripreso fuori e agitato a fini strettamente politici, ma non vi è alcun obbligo a chiedere i fondi che il Mes offre in prestito, «molto meglio una graziosa e sostanziosa elargizione di fondi da non rimborsare».
È l’approccio sovranazionale a dominare quindi la scena anziché quello intergovernativo, dominante negli anni della crisi finanziaria. Il metodo sovranazionale, squisitamente europeo in sé, è più consono a stimolare direttamente la domanda, ma le disponibilità del bilancio europeo sono molto limitate, l’1,2% del Pil europeo versato pro quota da ciascuno SM.
La flessibilità di bilancio concessa non solo all’Italia è già una piccola condivisione di rischio senza incidere direttamente sul bilancio europeo. Nell’ambito del quale, gli accordi già intercorsi consentono all’Italia di continuare a utilizzare i fondi europei che dovrebbero essere restituiti perché non utilizzati nell’ambito del programma settennale 2014-2020 (ci sono i progetti?).
Sul piano innovativo è prevista l’istituzione di un fondo temporaneo (Sure) pari a 100 miliardi per il sostegno al reddito dei disoccupati europei; dovrebbe erogare sia trasferimenti a fondo perduto, che prestiti. Le risorse saranno recuperate sul mercato sulla base della garanzia fornita dai singoli SM pro quota; trasferimenti e prestiti sarebbero erogati secondo il bisogno relativo: solidarietà europea, sia pure limitata.
Presso la Banca Europea degli Investimenti, gli SM si sono accordati di costituire un fondo di 25 miliardi che costituirà garanzia per l’emissione di debito europeo per 200 miliardi da impiegarsi per il finanziamento diretto delle imprese sulla base dei progetti che presenteranno (le imprese italiane li avranno?).
Da ultimo il fondo per la ripresa, i suoi contorni sono ancora vaghi. Si è ventilato che possa raggiungere una disponibilità di 1500 miliardi, prevalentemente costituito da fondi ottenuti dalla emissione di debito europeo, garantito anch’esso dai singoli SM, e in parte, forse, da fondi ricavati dal programma europeo settennale 2021-2027, il che comporterebbe il suo avvio con l’inizio del 2021.
Angela Merkel si è detta pronta ad aumentare il contributo al bilancio europeo per tre anni, consapevole della necessità di mostrare la solidarietà ai cittadini europei colpiti dalla crisi economica portando il contributo dall’1,2% del Pil al 2%. Impegno che dovrebbero prendere anche gli altri SM, sotto forma anche in questo caso di garanzie.
Bce, Commissione e Consiglio complessivamente tra acquisto di titoli, trasferimenti e prestiti agevolati nel tasso e nella lunghezza, circa 500 miliardi; non mi pare poco. Sul piano istituzionale, più peso all’approccio sovranazionale e quindi aumento del bilancio europeo che, se confermato nel futuro, richiederà fonti proprie di entrata fiscale.
Nella comunicazione che circola questi passi piccoli ma progressivi, sono messi in ombra dalla comunicazione strumentale secondo cui abbiamo diritto (fondato su che cosa?) a ricevere gratuitamente aiuti, minacciando di fare da soli (come l’Argentina che si appresta all’ennesimo default del proprio debito?) con il sotto inteso che siamo troppo grossi perché l’Europa si possa permettere di lasciarci fallire. Un gioco molto rischioso se qualcuno chiedesse di vedere il bluff.
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