Da quando un ex Presidente del Consiglio e ora Senatore della Repubblica ha recentemente indicato l’Arabia Saudita come possibile culla e artefice di un «nuovo Rinascimento», quest’ultima espressione è divenuta assai in voga nel dibattito politico di casa nostra. Al di là delle voci critiche, che si sono levate da più parti sul fatto che si possa promuovere a nuovo faro di rinascita un regime che non è certo campione dello Stato di diritto e che, tanto per fare un esempio, nega alle donne i più elementari diritti civili e politici, penso che proprio il ruolo di totale subordinazione della donna in quel paese avrebbe dovuto far scattare, in un mondo ideale e civile, un moto unanime di indignazione da parte di tutte le donne e in primis di quelle donne che, indipendentemente dai loro schieramenti politici di appartenenza, siedono negli scranni parlamentari del nostro paese.
Chi scrive non si riconosce nel radicalismo femminista e, personalmente, fa anche molta fatica ad accettare le cosiddette ‘quote rosa’ e anche la logica del politically correct. Pure proprio in considerazione delle lunghe lotte che le donne hanno dovuto sostenere nell’Occidente moderno per il riconoscimento della loro pari dignità rispetto ai loro antichi proprietari (maschi/padri/mariti/fratelli ecc.) e considerando anche come i diritti umani, purtroppo, non seguano un cammino progressivo e irreversibile, non può che suscitare qualche preoccupazione il fatto che, dovendo scegliere un paese a partire dal quale immaginare uno slancio di rinnovamento, si scelga il paese di cui sopra.
Solo due anni fa, in Germania, in varie altre parti d’Europa e anche in Italia, si sono svolte iniziative indirizzate a ricordare il centenario della Repubblica di Weimar (1919) e della sua Costituzione democratica (modello di riferimento per le Costituzioni del secondo dopoguerra e punto d’avvio nella costruzione della odierna democrazia costituzionale), all’interno della quale i diritti delle donne venivano per la prima volta esplicitamente riconosciuti. Un anno prima, in tutto il mondo era stato celebrato il settantesimo compleanno della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), affiancato, nel nostro paese, all’analogo compleanno della Costituzione repubblicana.
Se non altro, questi documenti dovrebbero costituire i pilastri dell’idem sentire de repubblica da parte della classe politica e di una opinione pubblica, che si preoccupino davvero di progettare l’avvenire sulla base delle più preziose eredità del passato, prima fra tutte l’idea della reale universalità dei diritti, senza discriminazioni di sorta. Di compleanno in compleanno, per quanto riguarda i diritti delle donne e la necessità di promuoverli e farli rispettare, forse vale la pena richiamare la recente ricorrenza del quarantesimo anniversario della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (adottata dalla Assemblea delle Nazioni Unite nel 1979) e, nell’anno in corso, del decimo compleanno della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (2011).
Se si vogliono evitare vaghi richiami al ruolo delle donne nella politica e nella società, accompagnati da vacue celebrazioni dei documenti appena richiamati, si cominci fin da subito a dichiarare forte e a praticare nei fatti che, se ci sarà un «nuovo Rinascimento», (come tutti auspichiamo, soprattutto immaginando una nuova era post-pandemica che faccia tesoro anche dei tanti errori a livello globale del ‘prima del virus Covid 19’), il riconoscimento e la piena attuazione dei diritti delle donne rappresentano un punto fermo dal quale partire. E gli uomini politici facciano, per favore, lo sforzo di guardarsi intorno per bene e di trovare in giro, nel panorama mondiale, qualche tribuna credibile come esemplificativa della prospettiva di cui sopra.
Giulia Guazzaloca dice
E’ un’analisi molto lucida e interessante che personalmente condivido. Peccato che il dibattito (come spesso succede in Italia) si sia focalizzato sulla diatriba pro o contro Renzi, piuttosto che sul significato e sulle implicazioni di ciò che ha detto.
Dorina Carla Chinni dice
I diritti delle donne inciampano ogni giorno fra sassolini e montagne. Ogni paese, ogni luogo di lavoro e spesso le stesse famiglie hanno le proprie montagne. A volte spaventose. Anche a me non entusiasmano le “quote rosa” ed auspico diritti che tengano conto di volta in volta delle situazioni e del valore in campo. Tuttavia rattrista osservare anche in questi giorni come ci siano politici che di fronte all’occasione di dimostrare apertura o sensibilità o comunque si voglia chiamare, restano ringhiosamente attaccati all’osso. E visti anche i recenti precedenti viene da chiedersi: si rendono conto che li vediamo? Il giudizio del popolo, della gente, non ha proprio alcun valore?
Fiorenza Taricone dice
Purtroppo abbandonerei il riferimento consueto al quell’irripetibile fenomeno che è stato il Rinascimento; la rinascenza oggi è quella una violenza globale e fantasiosamente differenziata nei confronti delle donne. I diritti bisogna conoscerli, studiarli, applicarli, difenderli etc. etc. in questo modo si capisce prima e meglio chi scrive cose inappropriate, o peggio se ne appropria per fini di grandezza personale e immeritata.
Gianfranco Pasquino dice
no women no Paradoxa!