Corre voce che, dopo la pandemia, nulla sarà come prima, anche se questo ‘dopo’ appare indefinito, mentre aumentano le disuguaglianze e le conflittualità tra gli Stati e al loro interno. Al contempo, modelli di analisi di tipo quantitativo, quali la valutazione costi/benefici, si mostrano inadeguati a fronteggiare emergenze pandemiche che mettono in discussione la qualità delle nostre vite ed evidenziano ulteriormente i limiti del modello di crescita economica finora prevalente.
Alla luce di tali premesse, la visione della biopolitica come esercizio del biopotere rischia di essere autoreferenziale e obsoleta. Con ciò, non intendo sottovalutare la rilevanza che hanno avuto gli scritti di Foucault su questi temi. Del resto, fra i quattro grandi campi d’intervento del biopotere, natalità, abilità, morbilità, ambiente, gli ultimi due appaiono, prima facie, rilevanti per l’analisi e la gestione delle pandemie. Sennonché, tale visione comporta una critica del liberalismo, ripresa da quanti fanno riferimento al suo pensiero, poco convincente.
Infatti, che uno Stato liberale possa intervenire nella vita sociale (rispettando la restrizione posta dal principio di neutralità politica nei confronti delle concezioni controverse della vita buona) non è solo una possibilità teorica, ma anche un fatto. Negli ultimi due secoli, l’evoluzione del liberalismo ha comportato un incremento sia della libertà individuale sia del potere statale: un paradosso solo se si crede che il potere sia un gioco a somma zero[1]. Si tratta di una questione rilevante a fronte delle critiche sovraniste e populiste relative alla gestione dell’emergenza Covid. Incentrato sull’analisi del biopotere, per cui la biopolitica riguarda, essenzialmente, l’esercizio del potere sui singoli e sulla popolazione, il dibattito biopolitico finisce per limitarsi a dispute meramente teoriche, o a interpretazioni ideologiche.
La crisi che viviamo va, invece, vista come occasione per l’individuazione di strategie di riforma delle liberaldemocrazie riguardo alle istituzioni, al processo di costruzione del consenso, al modello di sviluppo. Senza alcuna pretesa di esaustività, secondo me, i nodi prioritari da affrontare sono i seguenti: la governance globale a fronte della crisi del tradizionale sistema delle relazioni internazionali; l’approccio glocale ai problemi dello sviluppo economico e sociale; la limitazione delle disuguaglianze ingiuste negli e fra gli Stati; i limiti della democrazia e le sue possibilità di sviluppo in senso partecipativo a livello statale e internazionale quale risposta a sovranismi e populismi; le ICT e la robotica in considerazione del loro impatto sui meccanismi di generazione del consenso; la riconversione ecologica e un nuovo modello di sviluppo economico qualitativo.
Per affrontare tali nodi, dovremmo prendere atto di tre dati di fatto:
- La vulnerabilità nostra, dell’ecosistema Terra e, anche, delle istituzioni democratiche.
- L’attitudine manipolatoria e catastrofica della specie homo sapiens che ha prodotto una drastica riduzione della biodiversità e variazioni climatiche tali, potenzialmente, da mettere in discussione la sua stessa sopravvivenza. Non conosciamo, al momento, l’esatta origine del Covid 19, ma è certo che, si tratti di spillover generatosi nei wet market o di ‘fuga’ del virus dai laboratori di Wuhan, la pandemia trova origine in una visione antropocentrica basata sullo sfruttamento degli animali e dell’ecosistema.
- I limiti del modello economico sin qui prevalente e la sua incapacità di rispondere alla crisi pandemica tanto che è stato necessario un forte intervento della mano pubblica.
Si tratta di dati di fatto, attinenti alla nostra responsabilità verso tutte le forme di vita, che esorbitano, almeno in parte, dai tradizionali resoconti biopolitici. Appare, pertanto, necessario un nuovo approccio capace di abbattere gli steccati disciplinari e di coniugare etica, politica ed economia sulla base di una visione sistemica, planetaria e glocale. In sintesi, la politica, intesa anche come responsabilità per il bios, è chiamata a costruire nuove condizioni di integrazione fra governati e governanti per quanto riguarda sia i singoli Stati che la governance planetaria; e l’etica è chiamata a costruire un ethos condiviso, fondato sull’anello ricorsivo cura di sé, degli altri, dell’ecosistema.
[1] Cfr. C. Larmore, Le strutture della complessità morale, tr.it., Feltrinelli, Milano 1991, p. p. 62
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