Paradoxaforum

  • Home
  • Contatti
  • Chi siamo
Tu sei qui: Home / Il tema in discussione / Per una globalizzazione inclusiva

Per una globalizzazione inclusiva

25 Maggio 2017 di Stefano Zamagni 2 commenti

Si va parlando, ormai da qualche tempo, di crisi della globalizzazione – una crisi che, iniziata ben prima dell’elezione di Donald Trump, sta registrando una preoccupante accelerazione dopo la nuova presidenza americana. È un fatto che, dall’inizio della crisi finanziaria del 2007-08, il commercio mondiale non si è più ripreso. Cosa è successo al libero scambio?, titolava un paio di settimane fa il prestigioso «Wall Street Journal». Si pensi anche al fallimento dei negoziati sul trattato del Ttip (Transatlantic Trade and Investiment Partneship) tra USA e UE, materializzatosi alla vigilia dell’ascesa di Trump. Un aspetto della questione non deve passare sotto silenzio: mentre abbondano riflessioni e analisi intorno ai possibili effetti negativi delle tendenze in atto, non altrettanto si può dire della ricerca delle cause profonde di quanto va accadendo. Per contribuire a colmare questa lacuna conoscitiva fisso qui l’attenzione su una delle cause che reputo di non secondaria rilevanza. Si tratta della circostanza che va diffondendosi, in un numero crescente di ambiti culturali e di gruppi sociali, l’insoddisfazione nei confronti della tendenza all’appiattimento delle varietà istituzionali dovute al fenomeno della globalizzazione. La quale ha fortemente accelerato, nell’ultimo quarantennio, quel processo di omogeneizzazione culturale che vale ad uniformare tra luoghi diversi tradizioni, stili di vita, norme sociali di comportamento.

            Dove sta il problema? Nel fatto che la globalizzazione reale non è riuscita a far stare assieme la multiculturalità (cioè la presenza delle varietà culturali che è di per sé condizione di successo della dinamica sociale) e l’integrazione socio-economica dei vari paesi (cioè la convergenza verso livelli decenti di benessere, il che costituisce il presupposto della democrazia e della pace). Anzi, la globalizzazione ha esasperato il conflitto tra questi due obiettivi fondamentali: contatti e frequentazioni tra gruppi appartenenti a culture diverse provocano aggiustamenti comportamentali per rendere più agevole il coordinamento interpersonale e più pervie le transazioni economiche. A loro volta, però, i cambiamenti intervenuti nei comportamenti retroagiscono, sui valori e sui tratti culturali. Di qui il dilemma nuovo di questo nostro tempo: se si vuole limitare l’omogeneizzazione culturale occorre accettare ostacoli all’integrazione socio-economica e, viceversa, se si vuole favorire quest’ultima, occorre accettare un più spinto livellamento culturale. Ciò che fa problema – si badi – non è tanto la mescolanza di culture su un territorio, fenomeno questo presente già dall’antichità. Quanto piuttosto la mescolanza con rivendicazione di parità. Poiché culture che erano rimaste separate per secoli sono diventate, grazie alla globalizzazione, improvvisamente osmotiche, ciò che fa difetto è una qualche unità di intesa. E su questo problema non si registrano proposte concrete (e forse neppure un’adeguata consapevolezza).

            Accade così che i luoghi dove vengono ‘prodotti’ le norme sociali di comportamento, i valori, gli stili di vita, sono oggi extraterritoriali e avulsi da vincoli locali, mentre non lo è certo la condizione di vita di coloro che sono legati ad un luogo specifico. Costoro si trovano quindi a dover attribuire un senso a modi di vita che non sono indigeni, ma importati da altrove. Come soleva dire Max Weber, se il mondo diventa grande, la gente vuole il piccolo. È in ciò l’origine dello sradicamento, della perdita di radici da parte di sempre più numerosi gruppi sociali, con le conseguenze di cui le cronache ci danno puntuale resoconto. Per dirla in altro modo, la globalizzazione va generando una crescente separazione tra i luoghi in cui viene prodotta la cultura e i luoghi in cui essa può essere fruita. Il ben noto fenomeno della deterritorializzazione non riguarda solamente le imprese le quali possono decidere con relativa disinvoltura dove localizzare le proprie attività produttive, ma anche i modelli culturali.

            Che fare? C’è chi suggerisce di lasciare che il processo in atto avanzi secondo la sua logica interna, e c’è chi propone di arrestare, almeno parzialmente, la globalizzazione. Si tratta, in entrambi i casi, di scorciatoie inefficienti e comunque pericolose. Piuttosto, ritengo plausibile e percorribile un’altra via, quella che mira a modificare l’assetto istituzionale dell’ordine internazionale post-hobbesiano nella direzione della pluralità dei centri di potere, cioè della poliarchia, che, a differenza del pluralismo, non è solo numerosità ma anche diversità. Un primo passo in tale direzione è la promozione di un piano di redistribuzione del reddito a scala globale per aggredire l’endemico aumento delle diseguaglianze tra gruppi di persone (non tanto tra paesi). A scanso di equivoci: la globalizzazione ha ridotto e va riducendo la povertà assoluta (il che è un bene), al prezzo però di un aumento delle diseguaglianze – come la ormai celebre «Curva dell’elefante» di B. Milanovic (2016) dimostra a tutto tondo. Ebbene, se il 10% della spesa militare corrente nel mondo – circa 1.700 miliardi di dollari all’anno (http://www.sipri.org/databases/milex) – venisse dirottato su un Fondo Globale per lo Sviluppo, gestito da un’autorità indipendente, si genererebbero risorse sufficienti per superare nell’arco di un decennio la «globalizzazione dell’indifferenza» a favore di una globalizzazione inclusiva. Già Paolo VI nella sua Populorum Progressio (1967) aveva avanzato una tale proposta esattamente cinquant’anni fa.

            Per terminare. Nonostante una certa retorica pseudo-scientifica, secondo la quale le regole del libero scambio mal sopporterebbero l’eterogeneità culturale e troverebbero nelle difformità dei modi di vita un ostacolo alla loro applicazione, occorre contrastare pensieri del genere. Perché la biodiversità economica e sociale è una ricchezza. Molte nazioni, nei momenti migliori della storia, si sono alimentate con la diversità esistenti al loro interno e ne hanno tratto frutti di civiltà e di successo. Ciò vale anche alla scala mondiale. Bisogna allora operare affinché il filtro selettivo imposto dalla competizione globale non annienti le varietà meno forti. Salvaguardare la diversità delle vie dello sviluppo è oggi il modo più efficace di combattere arroccamenti difensivi e di contrastare il desiderio di muri e di barriere.

Archiviato in: Il tema in discussione Etichettato con: Globalizzazione, Fine della globalizzazione?

Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
Per ulteriori informazioni, anche su controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie

Commenti

  1. Dino Cofrancesco dice

    29 Maggio 2017 at 14:44

    L’analisi è molto acuta, mi chiedo, però, come possa fare a meno di un’autorità politica, di uno Stato (nazionale o federale). Redistribuire reddito non è come redistribuire noccioline: bisogna togliere a qualcuno per dare a qualcun altro. E lo si può senza apparati di governo, polizia, tribunali?

    Rispondi
  2. Stefania Fuscagni dice

    26 Maggio 2017 at 8:12

    Condivido le osservazioni di Zamagni. Vorrei chiedergli di indicare le priorità da seguire in questo preciso momento storico. Questa richiesta gliela faccio guardando dalla finestra del mio studio l’enorme globo dorato sormontato dalla croce della cupola del Brunelleschi del duomo di Firenze che mi suggerisce che alla globalizzazione non potremo sottrarci ma che il percorso va illuminato da scelte che come la croce indicano dolore e resurrezione e soprattutto l’incarnazione nel nostro tempo oggi. Di qui le priorità. Stefania Fuscagni

    Rispondi

Lascia un commento Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Tema in discussione

  • Populismo
  • Cattolici e politica
  • Tema. Svolgimento
  • Comunicazione politica
  • Fatti e disfatti
  • Rientro a scuola. La sfida al Covid
  • Il vaccino della conoscenza
  • Guerra russo-ucraina

Newsletter

* campi obbligatori

Commenti recenti

  • Ida Regalia su In tema di riforme costituzionali
  • Pino Pisicchio su In tema di riforme costituzionali
  • Giuseppe IERACI su Quanto capitalismo può ancora sopportare la nostra società?

GLI AUTORI

Presidenzialismo - immagine

IL TEMA IN DISCUSSIONE

In tema di riforme costituzionali

15 Maggio 2023 di Gianfranco Pasquino 2 commenti

Avendo visto con piacere moltissimi suoi libri nella biblioteca di Gianfranco Pasquino, il grande scrittore Italo Calvino gli ha mandato il breve testo che segue con preghiera di pubblicazione. … [continua]

Archiviato in: Interventi Etichettato con: Governo italiano, Presidenzialismo, Italo Calvino

Riforme istituzionali: meglio Madrid o Berlino che Parigi

2 Febbraio 2023 di Salvatore Curreri Lascia un commento

È naturale guardare con un certo disincanto all’attuale dibattito sul presidenzialismo. Da quarant’anni, infatti, nel nostro Paese si discute di riforme istituzionali per dare maggiore stabilità ai Governi, di fatto inutilmente. Tutte le precedenti proposte infatti o si sono arenate in Parlamento oppure sono state respinte per referendum dagli elettori. Nemmeno il clima di unità nazionale che ha … [continua]

Archiviato in: Il tema in discussione Etichettato con: Presidenzialismo

Presidenzialismo, parola ipnotica

12 Gennaio 2023 di Pino Pisicchio Lascia un commento

«Paradoxaforum» mi consentirà una personale piccola finestra della memoria. Nei primi anni duemila, ragionando nelle pause del voto d'aula a Montecitorio con Saverio Vertone, intellettuale disorganico e perciò libero e in quel tempo anche deputato, formammo insieme un sodalizio contro le parole ipnotiche. … [continua]

Archiviato in: Il tema in discussione Etichettato con: Presidenzialismo

2023: l’anno delle invenzioni istituzionali

5 Gennaio 2023 di Giuseppe Ieraci Lascia un commento

La conferenza stampa di fine 2022 della nostra Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha riportato all’attenzione la questione delle riforme istituzionali. Mi ha colpito questa sua affermazione testuale: «Per quello che mi riguarda, modelli ce ne sono diversi e […] si possono anche inventare. Si possono fare tantissime cose […]». … [continua]

Archiviato in: Il tema in discussione Etichettato con: Presidenzialismo

Galleria fotografica

Questo slideshow richiede JavaScript.

Archivi

Contattaci

Nova Spes International Foundation
Piazza Adriana 15
00193 Roma

Tel. / Fax 0668307900
email: nova.spes@tiscali.it

Statistiche

  • 134.899 clic

Seguici

  • Facebook
  • Instagram
  • Twitter
  • Youtube

© Copyright 2016 Paradoxa Forum · All Rights Reserved