Ogni nostra parola e ogni nostro gesto sono dettati dalla pulsione a perseguire un certo fine che li unifichi. E siccome i nostri fini nella quotidianità sono molti, la stessa pulsione tende a unificare i vari fini in un fine (vagamente) unico (la salute, il denaro, il potere, la fama, l’amore ecc.). Questa pulsione a unificare afferra anche la pratica della politica, naturalmente. Anche la politica è infatti un tentativo di unificare: unificare l’agire dei molti per condurli verso un fine che sia, appunto, comune.
Nel secolo scorso si è tentato di unificare politicamente attraverso ‘ideologie’ più o meno totalizzanti (collettivismo, liberalismo, fascismo, nazismo ecc.). I risultati sono stati sempre o quasi sempre disastrosi. Sicché oggi nessuno ha il coraggio di coltivare un disegno politico che vada oltre un tempo breve-brevissimo. Siamo in qualche modo eredi stanchi e disillusi della recente modernità.
E si vede a occhio nudo. La contrazione dell’intenzione d’unificare mediante discorsi totalizzanti ha depotenziato inesorabilmente anche la pratica della politica. Così, ad esempio, la politica economica è diventata semplice manovra finanziaria, la politica delle relazioni internazionali si è contratta nel sovranismo, la politica sociale si è appiattita nell’assistenzialismo. E via enumerando. La ricerca disperata del consenso a buon mercato (mediatico) ha fatto il resto.
E tutto perduto, allora? Non direi. Sfuggire a questo scetticismo (politico) post-moderno si può, a mio avviso. Ma bisognerebbe un po’ cambiare musica: se dai moderni si unificava politicamente attraverso ‘grandi narrazioni’ totalizzanti, che hanno innescato infinite sciagure (due guerre mondiali), oggi si dovrebbe (tornare ad) unificare tentando, piuttosto, d’onorare i grandi principi del nostro agire. Insomma, bisognerebbe percorrere una sorta di cammino a rovescio. E non per nostalgia passatista, ma per semplice saggezza politica.
Esemplifico per farmi meglio intendere. La tradizione politica classica occidentale ha sempre onorato almeno tre grandi principi dell’agire: neminem laedere, honeste vivere, unicuique suum tribuere. Tutte cose di facile comprensione, si dirà. Solo che il problema (anche politico) delle regole non sta tanto nella loro comprensione, quanto della loro esecuzione. E si noti che, dei tre principi prima evocati, ben due riguardano in modo esplicito la vita comune, cioè proprio la vita politica.
Allora e di nuovo: perché onorare anzitutto e soprattutto i principi dell’agire, anzi che abbandonarsi ai sogni delle «magnifiche sorti e progressive»? Ma perché il vero ‘futuro’ per gli esseri umani sono loro, i primi principi dell’agire, nel senso che sono proprio quei principi a indicare come si può stare bene insieme. Stare bene insieme: non è questo il nostro vero futuro? Un futuro mai completamente realizzabile, d’accordo, ma sempre approssimabile, e comunque l’unico futuro che protegge e garantisce la possibilità della fioritura di vita di ognuno di noi.
Bisogna tenere fermi questi principi, dunque, perché orientano. E in modo permanente (sono sempre lì, davanti a noi): ci indirizzano verso la buona qualità delle relazioni tra noi. Verso l’amicizia politica.
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