La legittimità di uno stato democratico e di un progetto democratico di unione sovranazionale (come l’Unione Europea) presuppongono che essi rispettino i valori fondanti dei propri popoli. Ebbene, diversamente dalla realtà statunitense (e, in parte, del Regno Unito), dove la gran maggioranza dei cittadini crede che ciascun individuo ha quello che si merita, i popoli dell’Europa – e ciò a prescindere dal credo religioso e/o dalla latitudine e longitudine – ritengono che in generale non è vero che ciascun individuo abbia ciò che si merita e, piuttosto, il reddito e la ricchezza di un individuo dipendano da fattori in larga misura al di fuori del suo controllo (fig. 1).
Figura 1. Il successo è largamente determinato da forze fuori dal nostro controllo (% di rispondenti che concordano)
Questo induce una diversa propensione verso il libero mercato, che determinerebbe esiti in linea con gli sforzi di ciascun individuo nella visione statunitense ma non in quella europea, e, di conseguenza, sulla necessità/opportunità di regolare il mercato in modo da evitare potenziali distorsioni a svantaggio dei più deboli e intervenire con meccanismi di solidarietà a loro supporto. Il discorso si innesta su un presupposto: è necessario riconoscere che, anche dopo la caduta dei regimi comunisti, contrariamente a quanto teorizzato nei primi anni ’90 da Fukuyama [Francis Fukuyama (1992). The End of History and the Last Man. Free Press] non c’è un’unica forma di capitalismo ma ce ne sono forme plurime [Peter A. Hall, David Soskice (eds.): Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advantage. Oxford: Oxford University Press, 2001].
Dunque, se esistono diverse varietà di capitalismo, perché ci sono queste differenze? In altri termini, esse sono il risultato di una sedimentazione storico-istituzionale, che quindi può essere facilmente modificata? Oppure quelle differenze corrispondono ai valori di fondo dei popoli?
Non è scontato come rispondere a queste domande. Da un lato, si potrebbe sostenere – e questa sarebbe certo la visione di un pensatore liberista – che gli europei hanno poca fiducia nel libero mercato perché non lo hanno assaggiato, cioè è il fatto stesso che in Europa i mercati sono meno liberi che finisce per ingenerare lo scetticismo degli europei verso il mercato (una sorta di cane che si morde la coda), e ancora secondo questa visione, dunque, i valori pro o contro il mercato sarebbero determinati in modo endogeno.
Dall’altro, però – e questa è la mia visione, nel solco credo di Keynes e certo di Stiglitz – si può sostenere che i valori sono in gran parte esogeni in quanto rispecchiano la cultura, i sedimenti etici e morali, le tradizioni di organizzazione della società ecc. Pertanto, se crediamo in questa seconda visione, bisogna uniformare il mercato e le istituzioni ai valori e non è percorribile il cammino inverso. Del resto, i guai prodotti dal capitalismo turbo-finanziario americano sono sotto gli occhi di tutti quanti li vogliano vedere: disastri ambientali e sociali, disparità insopportabili negli averi e nelle opportunità, ecc.
E, allora, se i valori sono predeterminati e quelli europei erano e sono prevalentemente scettici sul libero mercato, è un grave errore aver affidato l’unificazione europea esclusivamente alla logica del libero mercato (che poi neanche vale sempre, es. il sovranismo francese e molto altro). Ciò ha tolto e toglie legittimità democratica a questo progetto nato nel nome dei popoli europei.
Occorre rapidamente acquisire consapevolezza di ciò, non nell’interesse di questo o quel paese membro ma rimettere in carreggiata quanto sta chiaramente deragliando non per piccoli errori di guida ma per il gravissimo vizio di fondo di non aver ascoltato il cuore degli europei. Da questo punto di vista, il recupero della dimensione sociale dell’Unione Europea e il predisporre efficaci meccanismi di solidarietà trasversali nell’Unione, più che azioni di riparazione, sono ingredienti essenziali per il ritorno della legittimità perduta.
Naturalmente ciò vale assumendo che, diversamente dal Paradiso perduto di John Milton, gli europei vogliano l’Eden.
antonio padoa-schioppa dice
Non direi che sia stata “affidata l’unificazione europea esclusivamente alla logica del libero mercato”.
I Trattati non dicono questo. E sin dai tempi della Ceca, al contrario, la logica di fondo dell’UE è stata di bilanciare il mercato con regole e con interventi del potere pubblico. Che poi i governi nazionali resistano è altro problema.
Giovanni Ferri dice
Il fatto che il progetto di unificazione sia stato “in pratica” affidato a una logica di mercato emerge chiaramente da molti aspetti. Ne cito solo uno macro (ma ve ne sono anche molte altre micro): la deliberata mancanza di una unione di bilancio che alimentasse un budget centrale dell’UE, tale da compensare le esigenze diversificate dei vari paesi membri (per i quali i budget nazionali venivano nel frattempo sempre più irrigiditi dal Patto di Stabilità) supportando anche un sistema di welfare minimo in tutti i paesi membri.
Come argomenta Paul De Grauwe (Economics of Monetary Union, Oxford Univ. Press, 2016, 11th ed), la mancanza di un’unione di bilancio a fianco di quella monetaria è stata determinante nell’aggravare la crisi del debito sovrano greca e nell’ampliarla per contagio a Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia. Tale “dimenticanza” della necessità di un’unione di bilancio, a sua volta, si basa sull’ipotesi di mercati efficienti da soli ad assicurare gli equilibri macroeconomici, senza bisogno di politiche economiche del governo.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti quanti lo vogliano vedere: l’euro ha rischiato di esplodere (l’ha salvato solo il coraggio di Draghi con il famoso discorso alla City “Whatever it takes”) e l’Europa è attraversata da una crisi sociale da cui non si vede l’uscita.