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Perché non basta parlare di competenze nell’era digitale

4 Giugno 2019 di Francesco Seghezzi Lascia un commento

Nell’Industria 4.0 l’organizzazione del lavoro non è solo e unicamente organizzazione di mansioni e attività, quanto soprattutto organizzazione di intelligenze e competenze. Potrà sembrare una considerazione scontata in un momento storico in cui tutti parlano di competenze, ma non lo è. Troppo spesso infatti la formazione è intesa unicamente come una attività legata a quel necessario aggiornamento tecnico che deve per forza di cose accompagnare l’introduzione di nuovi macchinari. Il capitale umano sarà al contrario sempre di più l’elemento sul quale si gioca, almeno nei paesi più sviluppati, la competitività delle imprese. La conoscenza delle competenze presenti in azienda e la progettualità relativa alla loro evoluzione risulta quindi un processo strategico da attuare in modo costante. Ciò non solo in relazione, e questa è una sfida che sembra ancora insormontabile, ai lavoratori core, assunti con contratti standard, ma anche ai lavoratori temporanei e a coloro che hanno rapporti di collaborazione che si collocano in quell’area grigia tra lavoro subordinato e lavoro autonomo oggi sempre più diffusa. Questo poiché sempre più le imprese hanno la responsabilità nei confronti degli ecosistemi alle quali appartengono di non creare esternalità negative restituendo al mercato lavoratori che, senza formazione e complice l’innovazione tecnologica costante, avranno minori competenze di quando sono stati assunti. Ciò con il beneficio ultimo di migliorare ed allineare allo sviluppo la qualità del mercato del lavoro nel quale andranno poi a reperire i lavoratori che serviranno per gestire nuovi processi. A ciò si lega necessariamente un ripensamento dei sistemi formativi, in particolare nell’ottica di una valorizzazione dei percorsi in grado di far dialogare mondo della formazione e imprese, e della promozione di logiche di apprendimento continuo.

Perché tutto questo non sia una astrazione o un auspicio retorico serve diffondere nelle imprese la cultura di una seria e dettagliata mappatura delle competenze dei lavoratori. Difficile discutere di riorganizzazione e di formazione continua, anche a fronte della presenza di nuove tecnologie, senza la consapevolezza del capitale umano che si ha a disposizione. Mappatura delle competenze significa un processo scientificamente definito, che non lasci spazio a supposizioni o rilevazioni artigianali, per condurre a schemi chiari e completi che aiutino a maturare una visione complessiva. In questo modo sarà possibile accompagnare l’innovazione tecnologica con la dovuta formazione e, allo stesso tempo, programmare la strategia formativa a lungo termine per tutti i lavoratori. Allo stesso tempo, è importante promuovere percorsi duali per gestire l’ingresso dei giovani in azienda, dotandoli di competenze innovative e in grado di velocizzare i processi di trasformazione organizzativa, così come valorizzare una predisposizione ad imparare capace di accompagnare il lavoratore lungo tutto l’arco della vita, attraverso percorsi formativi progettati a livello territoriale e da più attori: scuole e università, imprese, sindacati e associazioni di rappresentanza, centri di ricerca, enti locali, fondi interprofessionali.

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