La nebulosa del populismo ha depositato le sue sostanze tossiche dappertutto nel nostro ordinamento, presumendo di assecondare, non di guidare verso obiettivi compatibili con l’evoluzione del sistema – come si converrebbe per una democrazia matura – gli istinti e gli umori del popolo. Un capolavoro di questo genere di prodotti fu l’abolizione di ogni risorsa pubblica destinata ai partiti, scelta che ha sancito la definitiva consegna della politica nelle mani di finanziatori privati, più o meno occulti, affermando, peraltro, la tendenza cesaristica in atto da qualche decennio nel sistema dei partiti. Del resto nel nostro paese il rapporto ‘danari-politica’ ha rappresentato da sempre un argomento spinoso, circonfuso di sospetto, dove l’inversione dell’onere della prova rappresenta la regola. Si pensi, ad esempio, a quella scia velenosa lasciata nell’immaginario degli italiani dal trattamento – economico e non – riservato parlamentare, il ‘politico’ per antonomasia.
Di lui, soprattutto da quando la gente non lo può più scegliere e le assemblee si sono riempite di cooptati forniti delle uniche qualità richieste dal capo che sono tacere e obbedire, si tende ad esplorare tutto, a partire dagli ‘stipendi’ (si chiamano però ‘indennità’) e dalle ‘pensioni’ (tecnicamente ‘vitalizi’), fino alla gamma di supposti privilegi sibariti, il tutto condito con un retrogusto un tantino urticante.
Dei rappresentanti negli Enti Locali si sa un po’ meno. Forse perché l’idea che vadano a cercarsi un consenso personale li rappresenta impegnati in qualcosa («almeno il seggio se lo guadagnano»), o forse perché quei pochi sprazzi d’informazione sulle remunerazioni dei politici negli enti territoriali hanno raccontato di consiglieri regionali pingui e di amministratori comunali sull’orlo dell’inedia, l’attenzione della pubblica opinione si spegne quando arriva a livello locale. Così passa sotto silenzio una piccola rivoluzione ‘stipendiale’ che sta investendo il mondo della politica locale, disegnata dalla legge di bilancio approvata alla fine del 2021. In quella legge, madre di tutte le spese, ai commi da 583 a 587 si prevede un aumento delle indennità di funzione dei Sindaci delle città metropolitane e dei Sindaci dei Comuni delle Regioni a statuto ordinario in una misura percentuale (e proporzionata alla popolazione), al trattamento economico complessivo dei Presidenti delle Regioni, attualmente pari a 13.800 euro lordi mensili. Questo significa, tradotto in soldoni, che il sindaco di Roma, Milano, Bari eccetera raddoppierà il suo emolumento, passando dagli attuali 6781 euro ai quasi quattordicimila dei ‘governatori’ regionali. Che, a loro volta guardano all’indennità dei parlamentari. I quali, a loro volta, si parametrano ai magistrati con funzioni di Presidente della Corte di Cassazione. Insomma: una catena. Ma questo balzo in avanti porta con sé altre buone nuove per il politico locale, perché, come per i vagoni di un trenino, anche le indennità di funzione di Vicesindaci, Assessori e Presidenti dei Consigli comunali saranno adeguate alle indennità di funzione dei corrispondenti sindaci, partendo da subito per aumentare gradualmente, fino a raggiungere l’obiettivo posto dalle nuove norme entro il 2024. Naturalmente chi fosse interessato a capire se gli conviene intraprendere la carriera politica nel municipio della sua città, sperando, magari chissà, di essere chiamato a qualche incarico in amministrazione, può approfondire la portata degli emolumenti e delle classi demografiche traendo notizie ufficiali dalla legge di bilancio 2022 e dai commi citati. Buona lettura.
A noi due chiose finali. La prima. Perché si è trovata così poca traccia nei media nazionali di una notizia che certamente non è trascurabile, per il merito e per la portata politica che assume? E non si dica che il cortocircuito tra Covid e guerra ha spazzato via il dibattito politico interno, perché quel poco (o quel nulla) che succede viene doviziosamente enfatizzato nei pastoni e nei talk del nulla pneumatico ogni giorno con dosi massive. Seconda chiosa, legata alla prima: peccato questo silenzio, perché fa perdere una buona occasione per parlare di politica e di professionalità, dunque di competenza e di remunerazione, stracciando tutte le bugie pelose che circondano la ‘questione numismatica’ della politica. Perché il provvedimento assunto nella legge di bilancio non solo è giusto, ma anche assai tardivo: è ragionevole chiedere ad una persona che regge le sorti di una città metropolitana (appunto Roma, Milano, Bari ecc.), chiamata ad essere al tempo stesso supermanager e responsabile politico (e penale) di comunità sterminate, a cui viene chiesta efficienza massima dal primo giorno di presa in carico della funzione, di farlo per un tozzo di pane e con la schiena perennemente esposta per quella specie di impropria responsabilità oggettiva a cui ti consegna l’apposizione di mille firme per atti che non potrai conoscere mai compiutamente? La domanda potrebbe essere: quanto guadagna a parità di responsabilità e di lavoro un manager del settore privato? La politica, si dirà, è vocazione ed anche servizio. È vero. Ma non può essere respingente.
Gli antichi greci, inventori della democrazia, concepirono l’indennità per le cariche pubbliche. Persino per i cittadini che partecipavano all’agorà, cui veniva riconosciuto un gettone di presenza.
Via, allora, questa falsa pudicizia. La questione non è il soldo, ma la competenza e l’onestà. Ma questa è un altra storia.
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