In molti abbiamo pensato che, se vi fosse stato ancora il Regno Unito, il Consiglio Europeo il 21 luglio scorso non sarebbe riuscito a varare il NGEU. Invece, nonostante la Brexit, qualche difficoltà si sta presentando. A luglio, l’accordo unanime ci fu, ma le condizionalità relative allo stato di diritto per ricevere i finanziamenti, concordate tra Consiglio e Parlamento Europei il 5 e il 10 novembre nell’ambito della legislazione ordinaria a maggioranza qualificata, hanno visto Polonia e Ungheria all’opposizione ritenendole non coerenti con le decisioni del 21 luglio.
Di conseguenza, per ritorsione, stanno minacciando di porre il veto all’approvazione da parte del Consiglio Europeo del Quadro del bilancio 2021-2028, in cui il progetto NGEU è innestato per le garanzie che deve fornire all’emissione di debito europeo nell’ambito di tale progetto e quindi minacciano la possibilità di implementare l’NGEU.
Polonia e Ungheria sembrano così raccogliere il testimone dal Regno Unito nel bloccare iniziative che fanno avanzare l’integrazione non solo di mercato tra i paesi dell’UE, temendo che alla fine di questo percorso vi sia il federalismo europeo. In realtà, questa motivazione molto generale e intellettualmente rispettabile si sposa molto bene con gli obiettivi politici, forse meno rispettabili, delle maggioranze attualmente al governo in questi paesi di difendere la costruzione in atto di democrazie illiberali, che le consoliderebbe al potere, trascurando l’interesse dei cittadini.
Si è determinata, quindi, una interazione strategica tra un’ampia maggioranza di Stati Membri (SM) che intenderebbe ridurre il grado di illiberalità di quelle due democrazie, minacciando di non fornire aiuti in vista di una progressiva maggiore integrazione degli SM e, dall’altro, Polonia e Ungheria (P&U) che vorrebbero difendere il loro grado di illiberalità con la minaccia di porre il veto all’approvazione del bilancio settennale. Ci si può domandare se la minaccia di bloccare la operatività dell’NGEU sia una minaccia credibile.
A prima vista, no. Ne sarebbero entrambe danneggiate, l’Ungheria perderebbe dai 10 ai 12 miliardi di euro (circa l’8% del PIL) e la Polonia perderebbe poco più di 50 miliardi (circa il 10% del PIL). Ma vi sono anche ulteriori considerazioni sia politiche che economiche, che rendono più sfumata la non credibilità della minaccia.
Politiche, di queste ho già detto: questo passo avanti nella integrazione europea metterebbe via via più in difficoltà le democrazie illiberali che i due paesi stanno costruendo e i partiti che le governano, aumentando la loro determinazione nella ritorsione. Senza trascurare il fatto che Orban ha un peso non nullo nel Partito Popolare Europeo.
Considerazioni economiche: si tratta di due economie molto integrate nel sistema produttivo tedesco allargato e quindi il legame reciproco con la Germania non può facilmente essere allentato da entrambe le parti.
Il fronte delle altre economie centro orientali ha un atteggiamento duplice: la Romania ha già manifestato insofferenza per l’atteggiamento di P&U perché ha molta necessità dei sussidi e dei finanziamenti europei, complessivamente 25 miliardi di euro, l’11% circa del PIL. Altri stanno alla finestra, mettendo sul piatto della loro bilancia non solo l’entità di aiuti e finanziamenti, ma anche il rischio di eccessive intromissioni per la valutazione del proprio stato di diritto e del livello di corruzione (Malta e Slovacchia, in primis), sperando in un annacquamento delle condizionalità.
Per rafforzare la credibilità della loro minaccia, P&U, in un incontro a Budapest la settimana scorsa, hanno siglato un accordo secondo il quale una soluzione che dovesse danneggiare solamente uno dei due troverebbe entrambe contrarie. Ciò potrebbe rilevare nel caso si piegassero a non impedire l’approvazione del bilancio e il conseguente avvio dell’NGEU e una delle due fosse riscontrata non conformarsi ai criteri dello stato di diritto, le sanzioni dovrebbero essere irrogate un paese per volta con 26 voti su 27. Durante la conferenza stampa, Orban ha anche dichiarato che l’Ungheria non ha bisogno degli aiuti UE, portando il bluff all’estremo!
Non condividono il veto i sindaci di Budapest e Varsavia appartenenti all’opposizione filo europea, confermando il cliché ormai mondiale della contrapposizione politica tra ‘città e campagna’. Entrambi stanno cercando intese con Bruxelles per accedere direttamente ai fondi regionali del bilancio UE.
In altre parole, stanno mettendo in atto quanto convenuto, circa un anno fa, tra i quattro sindaci ‘liberal’ di Bratislava, Praga, Budapest e Varsavia che stilarono il ‘Patto delle Città Libere’, con l’obiettivo centrale di scambiarsi le pratiche migliori nell’amministrazione cittadina, ma anche di cercare di convincere il Comitato delle Regioni Europee a distribuire una parte importante dei fondi regionali non solo attraverso i governi, che tendono a penalizzarli, ma direttamente alle città-regione.
Come si vede, la situazione è molto fluida. Il cuore della discussione che P&U apriranno al Consiglio Europeo il 10-11 dicembre prossimi sarà la modalità di voto sulle condizionalità, se con maggioranza qualificata o all’unanimità. Il loro timore è che, anche su altri temi come migrazione e questioni di genere, si possano eventualmente prospettare decisioni a maggioranza.
Da parte delle istituzioni europee, molte ipotesi vengono formulate circa la possibilità di aggirare il loro veto: procedere comunque suggerendo loro di accedere alla corte di giustizia europea, mentre le approvazioni dei singoli Parlamenti degli SM vanno avanti; organizzare un gruppo di collaborazione rafforzata per il NGEU a 25, lasciando che il bilancio settennale si avvii in esercizio provvisorio e quindi che, per i fondi NGEU, P&U siano escluse. Un precedente simile si presentò nel 2011 tra Regno Unito e gli altri 27 in relazione a un problema fiscale relativo alla City di Londra.
Sembra circolare molta fiducia nella possibilità di trovare un compromesso, mettendo nel conto qualche ritardo nella distribuzione dei fondi e strascichi di natura istituzionale, pure. Questa fiducia è confermata anche dal fatto che le più recenti emissioni di debito europeo da parte della Commissione hanno visto richieste pari a più di dieci volte l’ammontare offerto, nonostante tale debito sia garantito dal bilancio settennale su cui P&U stanno ponendo il veto.
L’auspicio è che il difficile compromesso non metta a repentaglio le regole dello stato di diritto e quindi la prospettiva di più lungo periodo di un percorso di ulteriore progressiva integrazione, ora che la ricomposizione tra Nord e Sud dell’UE sembra consolidarsi.
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