«Paradoxaforum» mi consentirà una personale piccola finestra della memoria. Nei primi anni duemila, ragionando nelle pause del voto d’aula a Montecitorio con Saverio Vertone, intellettuale disorganico e perciò libero e in quel tempo anche deputato, formammo insieme un sodalizio contro le parole ipnotiche. Quali fossero le parole ipnotiche è presto detto: le parole di cui, di quando in quando, si innamora la politica, trascinando con se il bla bla dei media e degli esperti prêt-à-porter (pronti sempre a dire la loro secondo la tendenza del momento), invadendo il dibattito pubblico e, purtroppo, anche parlamentare, a prescindere dal contenuto. Insomma un dire così, perché suona bene. A quel tempo una parola ipnotica di gran moda era «federalismo». Era la stagione di Bossi e del nord che (guarda guarda..) accarezzava l’autonomia differenziata al limite estremo del concetto giuridico e del centro-sinistra che rincorreva l’ipnotismo con la risposta della celebrata riforma del titolo V, che fece strada all’autonomia differenziata oggi agitata da una parte della destra (eterogenesi dei fini!). Ecco, se dovessimo dichiarare la suprema parola ipnotica di oggi diremmo senza meno «presidenzialismo». Allo stato non si sa bene cosa voglia significare la sua evocazione avanzata dalla destra di governo. Ma l’indeterminatezza non spaventa gli alacri interventori nel dibattito per sostenere ora l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, ora quella del Capo dello Stato, ora formule più fantasiose, oppure per erigere muri ideologici contro il lemma presidente, da declinarsi poi a piacere.
Chi scrive non è un appassionato di regimi presidenzialistici, però, non sarebbe onesto annebbiare oltre misura le brume già dense di una politica che lancia slogan senza sapere né spiegare, levando strali contro, solo per marcare un antagonismo. In realtà il presidenzialismo è una forma di governo presente in paesi democratici, nella forma piena, quella americana, o in quella ‘parziale’, nota come semipresidenzialismo, presente in Francia. Si caratterizza in entrambi i casi con l’elezione popolare del Capo dello Stato – in via diretta in Francia e attraverso ‘grandi elettori’ scelti dal popolo negli USA. Quanto ai poteri di cui gode il Presidente in America investono direttamente anche l’Esecutivo: Biden, in altri termini, ha i poteri di Mattarella e di Draghi insieme, mentre in Francia Macron esercita il potere esecutivo in modo ‘diarchico’ dovendo dividerlo con il Capo del governo da lui nominato. Se la maggioranza che sostiene l’Esecutivo è la stessa che ha eletto il Presidente della Repubblica francese, tutto fila liscio e Macron sta sereno. Se, invece la maggioranza non gli è favorevole monsieur le Président si ridimensiona. Chiedo scusa per la brutale semplificazione, ma va più o meno così. In Italia abbiamo una forma di governo parlamentare: il Presidente del Consiglio e il suo governo ricevono la fiducia – revocabile – dal Parlamento e il Capo dello Stato, che viene eletto dal Parlamento, non ha poteri di Governo. Il Presidenzialismo (o il semipresidenzialismo: non s’è capito ancora bene cosa vuol fare la Destra) può funzionare in Italia sì o no? Non sarebbe una bestemmia ma un mutamento radicale di sistema che non si può fare con piccoli interventi chirurgici. Allora, mi si consenta, si diceva una volta, il punto non è presidenzialismo sì o no e quale, ma ‘come’.
Da trent’anni più o meno assistiamo ad una manomissione della Costituzione con metodo ‘chirurgico’, senza una visione di riforma organica, in grado di calare le modifiche in un contesto coerente. In verità si è proceduto in questi anni anche a riforme organiche poggiandole sulle maggioranze che sostenevano il governo (vedi Berlusconi con la riforma presidenzialistica nel 2006 e Renzi, con l’abolizione del bicameralismo perfetto nel 2014), con effetti naturalmente partigiani. E le riforme costituzionali non si possono fare così. Né con meritorie ma inutili commissioni bicamerali, o peggio – come pure si è letto – con minicommissioni bonsai espresse dal parlamento. Avrebbe dunque senso un accordo oggi tra tutte le forze politiche per eleggere con voto popolare (proporzionale con preferenza) una commissione per la revisione di alcuni aspetti della seconda parte della Costituzione, da sottoporre poi a referendum popolare. Sarebbe il momento giusto per rimettere in asse l’impianto costituzionale dopo tante sconnesse manomissioni che sono state approvate con lo strumento dell’art.138 della Costituzione, quasi sempre al servizio delle maggioranze governative. Ciò che servirebbe, dunque, è un nuovo patto costituzionale, dopo 75 anni, tra i nuovi soggetti politici, ormai neanche più parenti prossimi dei partiti del CNL, e il popolo italiano. Niente più poli esclusi, dunque, ma un patto tra diversi. Come avvenne alla Costituente.

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