Per curare le disfunzioni economiche del sistema politico italiano, stando alla teoria del vincolo esterno, è necessario sottoporre le decisioni politiche al rispetto di parametri economici concordati con altri paesi. In particolare, il mancato aggancio all’Europa lascerebbe l’Italia sola con i suoi problemi e pericolosamente esposta alle minacce esterne. Il vincolo europeo è dunque necessario per indirizzare il paese verso quelle riforme che i partiti politici non sarebbero in grado di varare e attuare autonomamente.
Nella storia d’Italia, il vincolo esterno è stato non solo una teoria ma anche una prassi. Nelle scelte di politica estera, l’Europa è molto spesso apparsa – almeno a certe élite del paese – un vincolo utile per superare il ritardo storico della nazione. Già in età liberale, le politiche di alleanza sono state interpretate più come un mezzo per importare modelli esterni di sviluppo politico che come un semplice gioco diplomatico per garantire la sicurezza.
Un riconoscimento pratico della teoria del vincolo, nel senso più propriamente economico, lo troviamo in anni recenti nel Rapporto 2020 del Gruppo di riflessione strategica della Farnesina. La collocazione occidentale del paese, si legge nel documento redatto nel 2008, è «un solido vincolo esterno rispetto agli sviluppi politici interni» e, in questo senso, «il varo dell’euro ha ancora funzionato per l’Italia come vincolo esterno virtuoso».
Non sono mancate, tuttavia, anche le perplessità di alcuni settori sulla virtuosità del vincolo. In un documento riservato dei Servizi di sicurezza, siglato il 15 giugno 1992 e intitolato «Maastricht e una stagione di dubbi», si poneva l’accento sul fatto che «alcuni settori del mondo imprenditoriale e politico nazionale considerano con favore un’attenzione italiana per una scelta mediterranea, più che europea».
Nel stesso Rapporto 2020 della Farnesina, si tendeva a problematizzare la teoria del vincolo prospettando un suo rovesciamento, nel senso di accrescere l’influenza dell’Italia in Europa come riflesso della sua solidità domestica. «Se la vecchia teoria del ‘vincolo esterno’ si basava sull’assunto – per lungo tempo corretto – che l’Italia potesse derivare forza interna dalla sua appartenenza all’Europa, oggi il vincolo appare rovesciato: solo se si darà una maggiore solidità interna – superando le difficoltà e le carenze sopra accennate – l’Italia manterrà anche un peso vero in Europa».
Il tema del rovesciamento del vincolo esterno risuona regolarmente, senza che ciò comporti un girare le spalle all’Europa. Ma anche al lettore più distratto non sarà sfuggito il pericolo di cadere in un circolo vizioso. Se la solidità italiana può prescindere dal vincolo europeo, allora si supera nei fatti la teoria del vincolo, benché se ne riaffermi il valore storico. In questo caso, però, occorrerebbe dare prova di ciò che si vuole dimostrare, non stabilirlo come presupposto di ciò che è da provare.
Cosa avrebbe prodotto questo rovesciamento? Un’Italia migliore oppure un’Europa peggiore? Se viceversa si ritiene che la solidità italiana sia ormai stabilmente alimenta dalla solidità europea e, a sua volta, la potrebbe oggi alimentare, allora occorrerebbe spiegare il meccanismo che avrebbe reso finalmente virtuoso il circolo Italia-Europa senza rinunciare alla teoria.
A mio avviso, ogni tentativo di scandagliare questa possibilità è destinato all’insuccesso se si ignora il problema del coinvolgimento del ‘popolo’ nelle scelte di politica estera. Ha dunque ragione Gianfranco Pasquino quando scrive che fatto il governo Draghi «bisogna fare gli europei». Personalmente, però, dubito del fatto che si possa produrre un effetto ‘Super Mario’ sulla teoria del vincolo esterno.
Quando Mario Monti giunse a Palazzo Chigi, molti ebbero l’impressione che l’Italia potesse finalmente influenzare l’Europa, rendendola ancor più solida. Monti ebbe un indubbio successo nel rafforzare le procedure di governo dell’Unione, svolgendo un ruolo determinante anche grazie alla capacità di riavvicinare la Germania e trovare una nuova intesa con la Francia. Ne seguì un’ondata populista nel paese. Questo fatto andrebbe tenuto in considerazione quando si riflette sulla capacità di Mario Draghi di influenzare la politica dell’Unione europea, pur nel mutato contesto economico post-Covid.
Come ha spiegato Marco Tarchi in più occasioni, anche all’interno di questo forum di discussione, il populismo è una mentalità politica radicata in Italia e con cui occorre fare i conti, evitando l’invettiva che inevitabilmente affiora quando lo si tratta come una patologia politica. Piuttosto che rovesciare il vincolo esterno, con tutte le ambiguità che tale rovesciamento inevitabilmente implica, occorrerebbe riflettere sul fatto che si tratta di una teoria che è stata fatta propria da una ristretta élite del paese.
Guido Carli teorizzò il vincolo «a dispetto» degli italiani. Nel 1993, affermò molto chiaramente che la scelta del vincolo esterno «nasce sul ceppo di un pessimismo basato sulla convinzione che gli istinti animali della società italiana, lasciati al loro naturale sviluppo, avrebbero portato altrove questo paese». Piaccia o meno, oggi questa strada non è più percorribile e non è più possibile tenere gli italiani all’oscuro dalle scelte di politica estera del paese. Da questo deriva un onere aggiuntivo, ma anche un’opportunità, sia per le istituzioni che, soprattutto, per i partiti che aspirano a una presenza non occasionale sulla complessa scena politica italiana.
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