“Accozzaglie” o meno, gli schieramenti sono ormai chiari. Il Partito democratico che non riesce a cambiare la propria natura, perennemente diviso su tutto. Forza Italia più o meno compatta e convinta all’opposizione. Il Movimento 5 stelle schierato per un “no” ormai d’ordinanza e gli altri partiti sparpagliati qua e là (Lega, sinistra e destra per il “no”, Ncd diviso).
Come potrebbero orientarsi gli elettori? Decideranno di seguire oppure no le indicazioni di voto dei propri partiti (o politici) di riferimento? Non potendo prevedere il futuro, è solo grazie ad analisi sui dati storici che possiamo provare a valutare se ed in che misura gli elettori hanno in passato deciso di seguire le indicazioni di voto dei propri partiti. Per farlo, mi sono divertita a calcolare i flussi elettorali nelle quattro città più popolose dello stivale (Roma, Milano, Napoli e Torino) prendendo in considerazione le elezioni politiche del 2006 ed il referendum costituzionale dello stesso anno. Utilizzando il metodo di Goodman a livello di sezione elettorale è infatti possibile stimare (con un certo margine di errore) come hanno votato al referendum gli elettori dei vari partiti alle precedenti elezioni. Tale metodo permette infatti di stimare i flussi elettorali, e cioè gli interscambi di voto fra partiti nel corso di due elezioni successive, sulla base dei risultati delle sezioni elettorali. Scegliere il 2006 significa escludere dall’analisi il voto pentastellato, ma è parsa una scelta obbligata in quanto il referendum sulle trivellazioni, l’unico post terremoto elettorale del 2013, non è paragonabili per portata e rilevanza ai referendum sulla Carta costituzionale.
L’analisi ha regalato risultati interessanti, persino divertenti. Partiamo dal centrosinistra. Nel 2006 l’Ulivo si era schierato contro la riforma di Berlusconi. Senza troppe differenze tra Nord e Sud, l’elettorato ulivista ha risposto all’appello per il “no” in maniera piuttosto compatta. Tranne che a Roma, nelle altre grandi città meno del 4% degli elettori dell’Ulivo ha votato difformemente alle indicazioni del proprio partito. In molti (più di un quarto dell’elettorato ulivista) hanno preferito astenersi piuttosto che “disobbedire”, ma una media del 70% ha comunque deciso di seguire le indicazioni di partito. Nella capitale, invece, circa il 90% è rimasto fedele al partito, mentre un 10% ha votato a favore della riforma, il tutto accompagnato da livelli di astensione prossimi allo zero.
La sinistra (più o meno) radicale, rappresentata nel 2006 dagli elettori di Rifondazione e Comunisti Italiani, ha bocciato in pieno la riforma, non votando per il “sì”, ma dividendosi più o meno equamente tra il “no” e l’astensione (solo a Roma l’astensione dell’elettorato di sinistra è stata di gran lunga più consistente del voto contro la riforma). Il resto dell’elettorato della coalizione ulivista ha infine attuato un comportamento intermedio: pur votando sempre, in maggioranza, contro la riforma di Berlusconi, si è diviso tra il “sì” (a volte in maniera consistente, come a Torino e a Roma) e l’astensione.
Dall’altro lato dello spettro politico, Forza Italia si è ritrovata a (non) guidare un elettorato che potremmo definire poco affezionato piuttosto che poco disposto a seguire le indicazioni del capo politico. Un elettorato che non è andato contro le indicazioni del proprio partito, ma che, da Nord a Sud, ha via via preferito l’astensione al voto (a Milano, il 35% degli elettori di Berlusconi ha disertato le urne referendarie; questa percentuale supera il 90% a Napoli).
La Lega, a quel tempo poco presente su scala nazionale, nei due comuni del Nord analizzati si è divisa tra il voto in favore della riforma (più di due terzi dell’elettorato leghista) e l’astensione (il restante terzo). Gli altri partiti della coalizione berlusconiana hanno dimostrato di seguire poco le indicazioni di voto: in media, meno della metà di quell’elettorato si è schierato per il “sì”, dividendosi, per la parte restante, tra il “no” e l’astensione.
Quali conclusioni è possibile trarre da questi dati? Direi sostanzialmente tre. Primo, l’elettorato del Centrosinistra e della Lega si è mostrato fedele al proprio partito, ma con tendenze astensioniste. Risulta quindi fondamentale per questi due schieramenti (o forse è meglio dire tre…) cercare di mobilitare il più possibile il proprio fedele elettorato piuttosto che cercare di convincerlo. Secondo, lo stesso vale, ma in maniera più netta, per la sinistra, caratterizzata da un elettorato saldamente in linea con il partito, ma con tendenze all’astensione fin troppo marcate. Terzo, Forza Italia ha invece dimostrato di avere un elettorato scarsamente addomesticabile, soprattutto al Sud. L’elettorato di Berlusconi sembra quindi poco catturabile, preferendo l’astensione al voto in difformità alle indicazioni di partito. Se ciò rappresenti uno scarso interesse per le tematiche costituzionali o invece segnali in maniera silenziosa una posizione contraria al cambiamento della Carta fondamentale, lo scopriremo solo dopo il voto. Così come solo il 5 dicembre saremo in grado di valutare se e in che misura l’elettorato del Movimento 5 stelle, finora dimostratosi piuttosto compatto, continui a sostenere le posizioni del proprio partito, senza se e senza ma.
alberto carzaniga dice
1.non so bene se si partecipa al Forum scrivendo come sto scrivendo in questi spazi;
2.ho una prima domanda: il modello “caduta di Amintore Fanfani nella DC post De Gasperi” può essere utile per interpretare meglio la vicenda Matteo Renzi ?
3.Renzi può essere criticato sotto mille profili, ma l’unico fatto nuovo (al momento) che ha caratterizzato la fase politica italiana post elezioni 2013: ha perso il referendum, ma ha raccolto il 40% dei voti.
E’ verissimo che non sono voti suoi al 100%, ma di chi sono il 60% dei NO? Certamente nessuno può dire di avere in tasca quel 60% “spendibile” alle prossime elezioni, perché i “padroni del NO”, ammesso che esistano, sembrano al momento incapaci di prendere insieme un caffè;
4.seconda domanda: ma è vero poi che non sono capaci di prendere insieme neanche un caffè? oppure da Salvini a Di Battista a Meloni ed ovviamente a Brunetta, stanno pensando ad un sorta di operazione “Milazzo”, mutatis mutandis? sarebbe possibile una “coalizione del NO” che indichi a Mattarella uno “stefano rodotà o zagrebelsky qualsiasi” cui dare la fiducia in Parlamento, e portare il ribaltono subito sino in fondo?
5.terza domanda: modello “milano”, che sembra essere il ruolo che si sarebbe ritagliato Pisapia, probabilmente d’accordo con Sala: questo il punto di mediazione dentro il PD per affrontare le nuove elezioni? con Stefano Parisi che tenta il ruolo simmetrico sul fronte “centrodestra”?
6.ultima domanda: il linguaggio di Salvini soprattutto e dei “5stelle”, è “fascista”? quello di alcuni giornali di orbita berlusconiana, lo è pure? dal punto di vista storico, è fondata questa ipotesi?
grazie e saluti
alberto carzaniga
Viola dice
Documentazione in cifre molto utile