In quanto (ex)Professore di chiara, ancorché un po’ obsolescente, fama, vengo periodicamente da più parti intervistato sugli studenti che protestano in nome, per conto, a favore dei palestinesi. Spesso mi si vuole fare dire che sono degli ignoranti, faziosi, da deprecare. E lo si vuole sentire da me, uomo di sinistra che ha un limpido pregiudizio, che non abbandono, a favore degli israeliani, del diritto ad esistere dello Stato d’Israele (trovo lo slogan «from the river to the sea Palestine will be free», assolutamente efferato) e del suo diritto alla rappresaglia proporzionata. Da mesi, Netanyahu si è consapevolmente e deliberatamente esibito in una reazione sproporzionata, deprecabilissima, da sanzionare.
La mia risposta alle domande è che gli studenti hanno tutto il diritto di protestare, di fare assemblee, di sfilare in cortei, di organizzare dibattiti, meglio se invitando, non solo palestinesi e simpatizzanti. Lo possono fare anche nelle sedi universitarie, meglio senza interferire con il diritto degli altri studenti a frequentare le lezioni che desiderano e con il diritto/(dovere) dei docenti a tenere quelle lezioni. Però, aggiungo subito senza esitazioni, ci sono tre limiti invalicabili al diritto di parola degli studenti, e dei professori e dei più o meno cattivi, nei diversi significati dell’aggettivo, maestri: i) nessun incitamento alla violenza; ii) nessuna affermazione di odio razziale, sì, questo è l’aggettivo più appropriato; iii) nessuna discriminazione di religione e di genere, accostamento non banale, come ci ricorderebbero le donne dall’Iran all’Afghanistan.
Poi, spingo l’analisi più in là. Quegli studenti non sono isolati, privi di retroterra, meno che mai marziani. A casa con i parenti, fra i loro amici, nelle loro reti di relazioni, in Italia, incontrano consenso e sostegno. Insomma e purtroppo, quegli studenti attivisti sono per una molteplicità di ragioni, piuttosto rappresentativi di un’opinione pubblica o di bolle di opinioni pubbliche che neanche troppo in fondo la pensano come loro. Rappresentano anche una zona grigia più ampia, quella dei sedicenti pacifisti.
Non mi contengo e, grazie alle mie innegabili e innascondibili esperienze e conoscenze internazionali, guardo fuori dal paese dello stivale. È molto facile vedere proteste studentesche non dissimili, in qualche caso anche peggiori dal punto di vista dell’ordine pubblico, in special modo nelle prestigiose università USA: da Harvard a Berkeley, e inglesi: Oxford e Cambridge, ma non solo. Per di più, non sembrano pochi neppure i docenti giustificazionisti.
Cerco di capire senza nessuna intenzione di giustificare. Ribadisco il no all’incitamento e alla pratica della violenza, all’odio politico, sociale, culturale, alle discriminazioni in tutte le sfumature possibili. Ma non mi basta e sono certo che non basta neanche a chi gentilmente mi sta leggendo. Dove e come riprendere il bandolo della matassa? Veritas vos liberabit. Già, ma, in quanto convinti e forse troppo compiaciuti democratici, abbiamo lasciato troppo spazio alle «verità alternative». Da dove ricominciare?
Alessandro Cavalli dice
Condivido completamente. Però mi chiedo perché due anni fa, gli stessi studenti non si sono mobilitati in difesa degli ucraini, vittime dell’invasione russa ?
Michele Magno dice
Grazie, prof. Pasquino