Oggi tutti gli Stati spendono molto a causa dell’emergenza sanitaria, economica, sociale ed ambientale e spendono con insufficienti coperture da parte delle entrate fiscali. Per effettuare i pagamenti promessi, devono dunque ricorrere a prestiti, che ingrossano il ‘debito pubblico’. Che cosa ci dice la storia sulla sostenibilità del debito pubblico? Innanzitutto, ci dice che sono moltissimi i casi in cui lo stato debitore non ha onorato la restituzione, lasciando correre il cosiddetto ‘default’, ossia la cessazione del pagamento di tutti i debiti.
Poiché il default mette gli Stati in una situazione finanziariamente molto difficile (nessuno vuole più fare credito per un tempo più o meno lungo) e penalizza anche fortemente i creditori (le case fiorentine dei Peruzzi e dei Bardi fallirono nel Trecento a causa del default di Edoardo III), con la globalizzazione degli ultimi cinquant’anni la tendenza è stata quella di operare salvataggi e ristrutturazioni del debito, per evitare il default, operazioni sempre però dolorose per tutti.
Ma facciamo un passo indietro. Perché si è generato debito pubblico fin dall’antichità? Il motivo è legato alle emergenze: guerre, carestie, epidemie, disastri naturali hanno indotto governi che si fanno carico del buon andamento della società a chiedere risorse finanziarie a chi ha risparmi da parte per evitare che le crisi inneschino meccanismi economici perversi che portino al declino. Si è chiarito in letteratura storico-economica che i paesi che hanno goduto di un progresso di lungo periodo sono quelli che hanno evitato grandi passi indietro negli anni di crisi, piuttosto che quelli che hanno avuto i tassi di crescita più mirabolanti in qualche anno della loro storia. Se, però, il debito pubblico poi non si riesce a restituire, allora i suoi effetti positivi vengono bilanciati, a volte più che bilanciati, dagli effetti negativi del default e non ne vale la pena. Che cosa garantisce che un debito pubblico abbia solo delle ricadute positive e non si arrivi al default? Le condizioni sono due: 1) che i tassi di interesse a cui si contrae il debito siano bassi (altrimenti si innesca un’accumulazione ‘endogena’ di debito, con gli interessi sempre più alti che ogni anno si accumulano); 2) che l’indebitamento produca una condizione generale di ripresa dell’attività economica tale da far aumentare la produzione di reddito e le entrate (con cui si può ripagare il debito). La prima condizione si ottiene sulla base della credibilità che il debitore ha in relazione ai suoi comportamenti fiscali e la seconda dipende molto dal tipo di crisi che si affronta. Quando la Gran Bretagna si scontrò con la Francia all’epoca delle guerre napoleoniche ne uscì vincente, ma con un livello di indebitamento molto alto, si stima il 260% sul reddito (l’Italia è oggi al 160%). Tale debito venne riassorbito da avanzi di bilancio che la Gran Bretagna poté conseguire nella prima metà dell’Ottocento a seguito della sua economia in buona forma e anche per merito di un po’ di controllata inflazione. Va considerato che i prestiti vengono restituiti ai valori nominali ai cui sono stati emessi; se nel frattempo corre un po’ di inflazione il valore reale restituito sarà inferiore a quello nominale. Ma è a tutti noto che lasciar correre l’inflazione ha delle pesanti controindicazioni.
Quindi il vero problema del debito pubblico non sta nella sua esistenza, ma nelle condizioni a cui si è contratto. Intanto, deve servire a fronteggiare emergenze e non a coprire buchi strutturali di bilancio, come avviene in molti paesi latino-americani in cui la spesa pubblica è ordinariamente superiore alle entrate, a causa di difficoltà politiche mai risolte. E come è purtroppo avvenuto in Italia negli anni 1980, che hanno visto un aumento rapido e anomalo del debito in assenza di una emergenza. In secondo luogo, deve essere utilizzato per rimettere in carreggiata un’economia in sofferenza (il cosiddetto ‘debito buono’). E in terzo luogo deve essere contratto a tassi d’interesse bassi. È questo il motivo per cui l’indebitamento che oggi l’Italia ha acceso attraverso il PNRR non è da temere, perché gode dei tassi più bassi possibili, permessi da un soggetto – l’Unione Europea che emette le obbligazioni che finanziano tale debito – che ha un’immensa credibilità e perché si pone obbiettivi che sono proprio quelli di rimettere l’economia italiana su un trend espansivo. Dobbiamo però da un lato ricordarci che abbiamo un’eredità pesante di ‘debito cattivo’ pregresso da restituire e dall’altro lato che con i nostri comportamenti ‘virtuosi’, nel senso di realizzare quello che abbiamo promesso di fare con tale debito, ci guadagneremo quella credibilità che avevamo perso con inappropriati comportamenti fiscali in quelle stagioni politiche in cui non c’era una corretta comprensione dei meccanismi del debito pubblico.
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