Occorre interrogarci sulla società italiana all’altezza del consueto bivio che separa i pensieri degli apocalittici dai sentieri degli integrati.
Sembra utile rimarcare, sul punto, il rilievo sociale e politico che viene assumendo – proprio sulla scorta dei fenomeni rappresentati – la specifica forma di fatalismo rinunciatario che affetta intere moltitudini di nostri connazionali dinanzi agli esiti di precarietà del globalismo economico ed al declino della società meritocratica.
Precarietà e declino che paiono costituire, in speculare simmetria, la scaturigine particolare di quel malinteso internazionalismo, impermeabile al sentimento della nazionalità, produttivo del – talora distratto, talaltra entusiasta – compiacimento borghese di fronte ai processi di affermazione del globalismo economico e della corporativizzazione della società.
Nel nostro Paese, come nell’intera esperienza continentale europea, le crisi economiche dell’ultimo decennio non corrispondono mai a crisi dei consumi: anzi, l’eccesso consumistico del tempo presente – declinazione dopo-moderna del principio di piacere – pare rappresentare la conferma rovesciata del processo di crisi e della sua gravità.
Quando ci si soffermi a considerare lo sciamare atomistico, dissipativo e pulviscolare delle moltitudini di attori individuali orientate al consumo compulsivo di prodotti e servizi, la saturazione finanche plastica e visiva di luoghi, ambienti e contesti rimanda agevolmente alla raffigurazione di quel ‘fenomeno del pieno’ evocato da Ortega y Gasset ne La Ribellione delle masse. La percezione, diffusa nell’opinione pubblica nazionale, della manifesta esposizione delle istituzioni pubbliche – nell’esercizio dei propri poteri – alle dinamiche della selezione lobbistico-corporativa degli interessi meritevoli di cura e perseguimento, ingenera la manifestazione di reazioni di sfiducia, soprattutto presso le larghe frange fragili delle nuove generazioni, nell’orizzonte dell’investimento formativo e valoriale e della crescita nazionale, secondo l’affermazione di logiche esistenziali tracimanti di presente, innervate alla decostruzione e alla caduta del sentimento della prospettiva familiare, lavorativa, comunitaria.
Nella società che rinuncia all’istanza meritocratica, il produttivismo globalista di stampo postfordista si proietta a diventare produttivismo corporativo in chiave legislativa, foriero di inflazione normativa (contro ogni esigenza di ponderatezza dell’ordine giuridico), mentre – sul versante accademico-universitario – il produttivismo scientifico diviene feticismo degli algoritmi e delle mediane nella valutazione delle attività di ricerca di studiosi e cultori.
Le contraddizioni del sistema formativo vengono continuamente alimentandosi delle miopie dello specialismo disciplinare, laddove nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti d’America apprezzabilmente ricompare il richiamo alla cultura dell’ibridazione post-disciplinare, lungo la traccia di saperi universalistici di tenore sfidante e sofisticato.
Le illusorietà intrinsecamente provvisorie dell’edonismo opulento dissimulano a stento le pieghe del suo sfruttamento colonialistico-commerciale.
L’utilizzazione ormai politicamente corretta del corpo femminile si congiunge alle pratiche dell’eugenetica razionalistica, nella cornice costruttiva di ideali di vita buona situati a basamento delle corruzioni di un nuovo Stato etico.
Le tardività e le fatiche individuali, i ritardi territoriali, le inadeguatezze produttive di merci e di affetti diventano destinatarie di una gigantesca rimozione collettiva, come quella capace di inghiottire e far scomparire ogni pur flebile residuo di ragionevole meridionalismo.
Rispetto alle fattezze di tali crisi, i rimedi prospettabili sembrano impregnarsi sin dall’origine di gusto amaro, soffrendo del rischio intellettualistico che li conduce ad essere interpretabili quali guizzi intuitivi elitari, espressivi dell’impotenza e delle afasie del sistema sociale e della sua classe dirigente.
La mancata pacificazione nazionale lascia, dunque, riaffiorare nuovi e multiformi radicalismi di ritorno, mentre la crisi comunitaria e politica interpella a comprendere come le lacerazioni sociali derivabili dall’esaurimento delle garanzie dell’ammortizzazione familiare ed istituzionale possano diventare suscettive in maniera virale di reazioni individuali e collettive tanto pericolose quanto impreviste.
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