Dopo quasi sette secoli, l’affresco di Ambrogio Lorenzetti sulla Allegoria del Buon Governo del Palazzo pubblico di Siena conserva un incredibile fascino, non solo dal punto di vista della storia dell’arte (e dell’emozione che esso è stato ed è in grado di suscitare attraverso i secoli), ma anche per gli interrogativi che più prosaicamente pone a livello politico a qualche osservatore che voglia seguirne l’intento didascalico proiettandolo sul presente-futuro.
L’armonica idea, espressa magistralmente da Lorenzetti, della Sapienza che ispira la Giustizia (equanime dispensatrice di premi ma anche di duri castighi), a sua volta ispiratrice della Concordia fra i cittadini e della istituzione del buon governo della città politica, è andata definitivamente in frantumi?
Immaginando un Lorenzetti redivivo, il cui committente non fosse più il bene ordinato Comune di Siena dei primi decenni del XIV secolo (così come viene raffigurato nel dipinto in tutte le sue componenti), ma sia invece uno Stato contemporaneo, fondato sui valori della democrazia e della libertà, quale rappresentazione verrebbe data di questi stessi valori, attentamente declinati secondo i diritti fondamentali degli individui, e della possibilità di istituire un rapporto fra i cittadini che preveda il reciproco riconoscimento dei singoli e delle loro diverse e plurali appartenenze?
Al di là delle figure della democrazia e della libertà dei moderni, che certamente un pittore dei nostri tempi sceglierebbe di rappresentare, potremmo altrettanto facilmente immaginare che egli porrebbe ora al centro dell’affresco del Buon Governo la rappresentazione della Costituzione, così come la pensiamo oggi, secondo l’eredità recente (dal punto di vista storico) degli Stati costituzionali di diritto.
E se alzassimo ancora il tiro sul presente-futuro immaginando che sia l’Unione Europea il committente di un grande pittore incaricato di rappresentare i concetti e gli strumenti fondativi dell’Europa stessa e del suo Buon Governo? Quali elementi sceglierebbe di far figurare per scaldare i cuori e gli animi dei cittadini d’Europa, ai fini del loro reciproco riconoscimento al di là delle differenti appartenenze ai singoli Stati membri della Unione?
Naufragato all’inizio di questo millennio il progetto di una Costituzione europea, in cui tanti avevano sperato e che era stata effettivamente ratificata da molti Stati membri dell’Unione, è certo che non potrebbe essere la Costituzione l’emblema simbolo della UE, la casa comune in cui tutti i cittadini si riconoscono. Per sminuire l’amarezza degli europeisti convinti si potrebbe perlomeno pensare che i princìpi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea risultino essenziali anche per le Costituzioni dei singoli paesi membri e di conseguenza ogni cittadino UE condivida i valori europei anche attraverso la Costituzione del suo paese di appartenenza.
E se scoprissimo invece che, per esempio, proprio nel cuore dell’Europa, una nuova Costituzione come quella ungherese lascia alcuni lati oscuri sia sotto il profilo dei diritti umani e delle loro garanzie sia per quanto riguarda gli assetti istituzionali propri dello Stato di diritto? Si tratta di una Costituzione che ha appena dieci anni di vita e sulla quale, fin dal suo esordio, voci autorevoli (anche il Consiglio d’Europa, nonché il Parlamento europeo) rilevarono anomalie a vari livelli, non assolutamente risolte, anzi, negli sviluppi recenti della Ungheria di Orbán.
Omettendo poi ogni considerazione a proposito del Preambolo alla Costituzione in oggetto, che suona fin dall’esordio come un vero e proprio inno etnico identitario della ‘nazione ungherese’ e del suo glorioso passato: «Noi, membri della nazione ungherese, all’inizio del nuovo millennio, con senso di responsabilità per tutti gli Ungheresi, enunciamo quanto segue: siamo orgogliosi che il nostro Re Santo Stefano mille anni fa abbia dotato lo Stato ungherese di stabili fondamenta ed abbia inserito la nostra Patria nell’Europa cristiana.»…
C’è da chiedersi cosa succederebbe se in altri paesi europei, sulla scorta dell’idea di dover affermare una sorta di supremazia della propria identità nazionale all’interno d’Europa, venisse in mente di modificare la propria Costituzione inserendovi qualche inno storico-etnico-identitario fondato su un lontano passato. Se per esempio (sperando che si tratti di un periodo ipotetico del terzo tipo e cioè quello cosiddetto della irrealtà, come spiegavano bene a scuola gli insegnanti di latino) in Italia avvenisse una vittoria schiacciante delle forze nazionaliste come è avvenuto nelle elezioni in Ungheria del 2010 (che hanno poi portato al rapido varo della nuova Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 2012) e queste volessero inserire perlomeno un bel preambolo in Costituzione sulla scorta dell’esempio ungherese, a quale nostra eredità storica si rifarebbero?
Farebbero a gara con l’Ungheria che fa risalire la sua storia gloriosa a mille anni fa, affermando che proprio non esiste possibilità di confronto perché gli Italiani sono legittimi eredi degli antichi Romani, glorioso faro di civiltà e di pax romana in Europa e in tutta l’area del Mediterraneo? Che resterebbe allora di un sentimento comune dei valori dell’Europa se altri paesi seguissero la via ungherese di cui sopra e per la quale le istituzioni europee si sono limitate a qualche innocuo rimbrotto?
Quel che è certo, a mio avviso, è che fin da ora un novello Lorenzetti farebbe molta fatica a trovare una grande rappresentazione d’Europa in grado di scaldare i cuori dei cittadini nella prospettiva ampia di un Buon governo per il presente-futuro.
Dino Cofrancesco dice
A un liberale come me, Viktor Orban non può certo essere simpatico ma non vorrei che ogni richiamo storico-etnico-identitario diventasse una ‘Praefatio ad Hitlerum’.
Ormai l’appartenenza nazionale viene considerata una ‘qualità secondaria’(nel senso galileiano del termine) e già da tempo, quando si parla, ad es., di Giuseppe Mazzini, l’apostolo dell’unità italiana viene messo in ombra per esaltare nel patriota genovese il profeta dell’unità europea…(Tra parentesi: Santo Stefano è un simbolo ungherese, mentre Roma e il suo Impero non hanno nulla a che fare con l’idea italiana)