Era da un pezzo che qualche voce dissonante avvertiva che il ‘cortotermismo’ a cui si era rassegnata la politica, sostenuta da una teoria economica ‘mainstream’ che si interessava prevalentemente di modelli di previsione a breve termine, avrebbe generato crisi dovute all’incapacità di leggere i trend di medio-lungo periodo, sia in campo politico sia in quello economico. In un tale contesto, quando la crisi scoppia, tutti sono disposti a sostenere che era imprevedibile, che era sorprendente, che si trattava di un ‘cigno nero’, salvo scoprire col senno di poi che c’erano state molte avvisaglie e che si sarebbe potuto attrezzare l’economia se non proprio ad evitare la crisi, almeno a contenerla meglio.
Ne consegue una totale impreparazione a fronteggiare le crisi, con istituzioni inadeguate, con una spesa pubblica in affanno e con i cittadini colpiti dagli effetti negativi che reagiscono troppo spesso in maniera pro-ciclica, invece che anti-ciclica.
Così abbiamo fatto con la crisi finanziaria del 2008 e con la crisi da Covid-19. E così stiamo facendo oggi con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia. L’illusione di poter legare al sistema capitalistico globale un paese come la Russia, che solo da una trentina di anni era transitato fuori da un’economia pianificata centralmente, si è miseramente infranta con i carri armati e i missili di Putin. Ma era un’illusione sostenuta da considerazioni di convenienza di breve termine. Solo con i crudeli bombardamenti russi ci si è resi conto che la ricerca dei prezzi bassi per aumentare i consumi dei paesi europei occidentali ha reso le nostre economie vulnerabili per una molteplicità di cause.
In primo luogo, a causa delle importazioni di fonti energetiche dalla Russia; in secondo luogo, per l’importazione di componenti soprattutto elettroniche dalla Cina e da altri paesi asiatici; in terzo luogo, per l’importazione di materie prime rare da molti paesi africani e asiatici; in quarto luogo, per lo sfruttamento della forza lavoro che genera reazioni di rigetto. I molti, troppi paesi, che nella votazione dell’ONU contro l’invasione russa si sono astenuti e le reazioni anti-americane di una parte dell’opinione pubblica anche nei nostri paesi europei dicono che il nostro capitalismo presenta gravi problemi.
Una dimostrazione a contrariis di quanto sopra detto è data dall’unica politica che al momento ci sta offrendo un’ancora di salvataggio rispetto all’incertezza esasperata in cui stiamo vivendo, ossia il piano europeo di resilienza noto come NGEU o Recovery Fund, il quale per la prima volta ha osato progettare investimenti sul medio-periodo, finanziandoli in maniera adeguata, per raggiungere obiettivi di mutamenti strutturali strategici. Se le economie europee non cadranno in totale recessione nel prossimo futuro, il merito sarà di questo intervento strutturale. Ma è ora evidente che non basta più.
Diversificare le fonti energetiche fuori dalla Russia sarà difficile, ma non impossibile, purchè si comprenda che i costi saranno più elevati e gli accordi dovranno produrre vantaggi anche per i paesi con i quali si stringeranno questi nuovi accordi. Garantire all’Europa prodotti intermedi, soprattutto elettronici, che si importavano dalla Cina è possibile, ma i costi del cosiddetto ‘re-shoring’ di produzioni che ormai si erano abbandonate ci saranno. Garantire all’Europa le materie prime rare richiederà una scelta di partner commerciali affidabili a prezzi più equi per loro e con contropartite soprattutto di investimenti. La forza-lavoro dovrà essere trattata sia nei paesi in via di sviluppo sia nei nostri paesi avanzati con maggiore equità, se si vogliono società nazionali e internazionali meno conflittuali. Il mantra del ‘prezzo basso’ di cui McDonald, Amazon e Ryanair sono i più noti paladini dovrà essere abbandonato.
Viviamo dunque in un periodo di grandi stravolgimenti, in cui ciascuno deve chiedersi da che parte stare e come contribuire all’innovazione sociale e politica necessaria, prendendo atto che il mondo di prima non tornerà più. L’economia deve re-inventarsi, preferendo la qualità e la sicurezza alle quantità assicurate da prezzi bassi a qualunque costo, come pure si devono ripensare gli equilibri geo-politici e le istituzioni internazionali. Come in tutti i periodi di transizione, i tassi di crescita si contrarranno e l’inflazione salirà, più o meno a seconda della durata temporale della transizione e di quanto forte è la spinta distruttiva degli equilibri esistenti. Non ci resta che sperare che siano sempre di più i cittadini capaci di ritornare alla “distruzione creatrice” schumpeteriana, attivando una forte componente creativa a fronte delle grandi distruzioni in atto.
Ferdinando Mach dice
Scelte ormai inderogabili , affrontabili esclusivamente all’inizio del quinquennio legislativo 2023-2028 . Solo
se il vincitore delle prossime politiche non avrà paura della flessione del gradimento nei primi due anni .
Il cigno verde potrebbe arrivare inoltre da un putsch interno russo che , isolando l’attuale Presidente , riscatti la miglior storia e la dignità del Paese più esteso del mondo .