Una compianta amica e collega di tanti anni fa, divenuta scettica nei confronti del comunismo e dell’URSS ma rimasta estranea al mondo borghese e all’Occidente capitalistico, aveva deciso di non occuparsi più di filosofia e di ideologia politica per dedicarsi allo studio della filosofia della scienza – una disciplina lontana dal marxismo esistenzialistico e fenomenologico dei suoi lavori accademici. Dietro tale svolta, v’era l’idea che solo la fisica, la matematica, la biologia etc. avevano a che fare con il ‘reale’ e che, pertanto, soltanto sul loro terreno – e non su quello che delle ‘repubbliche immaginarie’ su cui esercitava il suo sarcasmo Machiavelli – si potevano trovare delle certezze (non certo riguardate come gli «aridi veri» di Leopardi) e non delle opinioni, sempre per definizione mutevoli e inaffidabili.
A questo scientismo della mente si accompagnava la fiducia (sansimoniana, si direbbe, anche se la filosofia di Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon non l’affascinava minimamente) nella capacità della scienza e delle tecnologie di trasformare radicalmente il pianeta e i suoi abitanti: in meglio, ovviamente. A suo avviso, non si potevano coltivare le scienze esatte senza essere interiormente trasmutati dallo spirito laico, in senso lato, che le caratterizza e che ne ha segnato la nascita. A cominciare da Bacone, lo scienziato ha fatto proprio il monito dell’Ulisse dantesco «fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e canoscenza» e l’«Umano ardir» forte della «pacifica filosofia sicura» ha relegato dogmi e tradizioni religiose nei secoli bui del Medio Evo.
Chi studia la fisica galileiana e newtoniana non può certo credere alle superstizioni religiose e vedere nel mondo una foresta lussureggiante di Spiriti, benigni e maligni. Se la mia amica avesse prestato attenzione ai grandi reazionari dell’800, forse la sua fiducia si sarebbe dileguata. I pensatori tradizionalisti ritenevano che in virtù del peccato originale la natura umana poteva essere redenta unicamente da Cristo non dalla scienza, dalla politica, dall’economia. Per loro, le tecnologie in mano ai barbari sarebbero servite soltanto a rendere più distruttiva la loro ferocia e più facili le loro conquiste. E, del resto, le immagini televisive che mostrano talebani, milizie dell’Isis e di Al Qaeda maneggiare sofisticati strumenti di morte (si pensi alla expertise richiesta dall’abbattimento delle Twin Towers) mostrano quanta ragione avessero (purtroppo) i controrivoluzionari.
Oggi, però, alle speranze dello scientista sono succedute quelle del ‘mercatista’. Non è la scienza che porterà la civiltà ai popoli non europei ma l’economia di mercato. Quando si ha la libertà di vendere, produrre e acquistare dove è più conveniente – non importa dove e da chi – il potere dispotico degli Stati, prima o poi, si vedrà costretto a piegarsi agli interessi e ai bisogni collettivi che il modo di produrre capitalistico esalta e moltiplica incessantemente. Solo in uno stato, rassegnato a farsi da parte (per limitarsi a far rispettare i contratti – ma ci sono scuole di pensiero libertario che non riconoscono neppure questo e vorrebbero privatizzare scuole, poste, tribunali, apparati di ordine etc.) le ‘benedizioni del mercato’ possono raggiungere, prima o poi, tutti gli strati sociali; e quando un popolo ha assaporato benessere e sicurezza non si rassegnerà certo a tornare indietro.
Prima era il laboratorio scientifico il simbolo della Liberazione, ora lo è la Borsa Valori. Per i Pangloss del mercato, non ci può essere un’economia libera senza che questa libertà si riversi sui rapporti sociali e sui rapporti politici. Ne consegue che la Cina comunista, avviatasi sulla strada maestra del capitalismo, finirà per diventare sempre più eguale all’America e all’Europa sicché rivolte come quelle di Hong Kong diverranno un brutto ricordo.
È uno stile di pensiero antico ma ingannevole. E non solo perché tende a dare concretezza di realtà a categorie scientifiche (e come tali necessariamente ‘astratte’) come «collettivismo», «capitalismo», «corporativismo», ignorando che nella storia troviamo comunità, tribù, società ‘in carne ed ossa’ che presentano ‘elementi’ di collettivismo, di capitalismo etc. più o meno numerosi ed efficaci ma non troviamo modelli economici che si calano dall’alto per insufflare la vita in materiali inerti. Insomma non esiste il Capitalismo, ens realissimum, che si è incarnato nell’Inghilterra ma esiste l’Inghilterra, sostanza storica concreta, che ha scelto un modo di produzione che definiamo (grosso modo) capitalistico.
Il secondo errore commesso dal panglossismo mercatista sta nel ritenere lo Stato moderno (e non parliamo poi del vituperato stato nazionale…) un residuo del passato, un ostacolo per «le magnifiche sorti e progressive». Esso non è, come sembrava a Machiavelli e ai padri della scienza politica francesi e inglesi, una variabile indipendente: non ha alcuna autonomia ma la sua natura e il suo agire sarebbero plasmati dalle grandi forze che muovono la storia: se queste cambiano, mutano anche i suoi connotati. Così, in questa ottica, più la Cina si avvicina al modello dell’economia di mercato, più le libertà che quest’ultima richiede si vedranno compresse sicché alla fine scoppierà la «contraddizione» (quanti concetti marxiani in questi avversari irriducibili del materialismo storico!) non più tra «modi di produzione» e forze di produzione ma tra lo Stato che vuole tenere in fasce, ovvero sotto controllo, la società civile e le energie nuove da essa sprigionate.
Purtroppo la Cina – come ci insegnano le analisi di Federico Rampini – è un mercato, per così dire ‘statalista’ dove nella dialettica Stato/mercato è il primo che ordina, modella, dirige. E si tratta di un tipo di mercato che non indebolisce lo Stato ma lo rafforza così come le tecnologie occidentali non indeboliscono i fondamentalisti ma ne fortificano la presa totalitaria sulla società islamica.
Dino Cofrancesco dice
Caro Mach
se così fosse, il paffutello isterico nordcoreano sarebbe dovuto essere sottoterra da un bel pezzo..
Ferdinando Mach dice
Professore, la sua impeccabile analisi può presto concludersi con l’estromissione del Presidente Xì ,un tecno-Mao, confucianamente pedagogo del suo popolo che già non lo ama più .
Perchè anche nelle Dittature , quando calano i consumi e la ricchezza , il conto lo paga il capo . Il vaccino cinese non protegge e tutti sono stanchi dei continui lockdown . Il fascio-comunismo
giallo non è più di moda anche se ‘di mercato’ .